La peronospora ha fatto strage di vigne: “Niente vino e niente lavoro”
Lo sfogo, sottovoce, di un bracciante del Vulture: “Se non lavoriamo perdiamo giornate, contributi e diritti alla disoccupazione”
“Se non lavoriamo, perdiamo giornate, contributi e diritti alla disoccupazione”. E’ un racconto sottotono quello che abbiamo raccolto alle falde del Vulture, tra Rionero e Barile, accanto a vigneti quest’anno massacrati dalla peronospora. Sono le 7:30 di mattina e non ci sono mezzi al lavoro. Manca il rumore delle pompe che avrebbero dovuto disinfettare le lunghe file di viti.
“In questo periodo”, ci racconta un addetto alle vigne, con preghiera di non essere inquadrato, “avremmo dovuto fare i trattamenti in attesa della vendemmia di ottobre”. Invece a guardare viti e tralci, grappoli non se ne vedono. Tutto rinsecchito e in preda alle erbacce. “Si può salvare solo il legname – aggiunge – sperando che il prossimo anno si possa fare almeno metà delle quantità prodotte negli anni passati”.
I grappoli, come si può notare, non si sono proprio sviluppati, così “sono almeno 15 giorni che non lavoriamo più nei vigneti, ci siamo arresi”. Produttori in crisi di nervi e lavoratori senza giornate da segnare sul calendario. “Non so quante giornate riusciremo a maturare a fine anno – ci confessa lo stesso lavoratore agricolo – poi i nostri contratti sono particolari, per maturare giornate e contributi dobbiamo fare quanto più lavoro possibile. E’ così che a fine anno, in base alle giornate, maturiamo l’assegno di disoccupazione”.
In un’annata come questa, unica e malvagia per i lunghi filari di Aglianico, anche l’umore di chi ci opera quotidianamente ne risente. “I produttori avranno le loro perdite, ma noi operai, che siamo pure tanti, avremo delle ripercussioni notevoli, come non si era mai visto prima”. Niente trattamenti tra giugno e luglio, e poi, soprattutto, niente vendemmia, o quasi. Sono poche, infatti, le vigne che si sono salvate dalla peronospora. Che ha trovato le condizioni ideali tra maggio e giugno, con le piogge insistenti, per estendersi mano a mano su tutte le aree di pregio al di sotto del vulcano spento (il monte Vulture).
La stima dei danni si nota ad occhio nudo. E anche i laboriosi addetti alle vigne iniziano a stimare le proprie perdite, di qui a fine anno. “Lo diceva mio nonno: la vigna è tigna, quest’anno niente vino, niente vigna, né lavoro “, si congeda così il bracciante con cui abbiamo chiacchierato. L’assegno di disoccuppazione quest’anno sarà particolarmente leggero. E se di questi tempi, ogni anno lavorava tra i filari, fino a bruciarsi al sole di luglio, ora può solo osservare, in silenzio, pochi grappoli e secchi che cadono giù dalla pianta. “Bisogna salvare almeno il legname (i tralci, ndr)”, ribadisce, volgendo già lo sguardo all’anno che verrà.
Il vigneto che abbiamo visitato con il bracciante