Il Servizio sociale professionale nella società del bisogno

4 luglio 2023 | 13:24
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Il Servizio sociale professionale nella società del bisogno

Mettere al centro i diritti delle persone per superare la vecchia logica del “bisognoso”

Quando ti tolgono i diritti diventi un bisognoso. La carità, la presunta benevolenza e la malintesa solidarietà verso i poveri e le persone fragili, spesso ci portano fuori strada. Un bambino che ha fame, non ha “bisogno di mangiare”, ha il diritto di mangiare, di avere un’istruzione, di giocare, di vivere in un ambiente dignitoso, di avere l’educazione, la formazione che gli garantiscano opportunità per il futuro. Un disoccupato rimasto senza reddito, non ha “bisogno della mensa” e dell’uovo di Pasqua, ha il diritto al lavoro e a una vita che valga la pena di essere vissuta. La persona anziana in condizioni precarie di salute, non ha “bisogno di cure”, ha il diritto alla salute, all’assistenza sanitaria e sociale, ha diritto alle cure. La persona senza tetto che dorme sotto i ponti, non ha “bisogno” di un tè caldo, ha diritto a una casa, a un lavoro, alla salute. E fino in fondo, non ha bisogno di una casa o di un lavoro, ha diritto ad una casa e ad un lavoro.

Eppure, nei testi normativi sugli Enti di Terzo Settore (ETS), quel sostantivo, “bisogno”, abbonda come acqua in un fiume in piena. Addirittura, nella sentenza della Corte Costituzionale n.131 del 2020, è scritto a proposito di co-progettazione e co-programmazione tra P.A. e ETS: “… della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della società del bisognoAltrove leggiamo: La co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni. E poi ancora “la mappatura dei bisogni”, e così via, ad uso comune nella prassi dei servizi sociali comunali.

Ora, qui evitiamo di fare un trattato sul significato della parola bisogno in tutti i campi delle scienze sociali, ci basti evidenziare i fatti: molte delle condizioni di vita indesiderabili di una persona sono spesso inquadrate, sia dalle istituzioni sia dagli operatori sociali, nella categoria del bisogno. In tal modo scompaiono i diritti, non solo dal linguaggio, e si de-politicizzano quelle condizioni di vita indesiderabili. Non solo, il bisogno in luogo di un diritto, alleggerisce di molto le responsabilità politiche di governanti e amministratori e mette il sonnifero alle potenzialità reattive del “bisognoso”. Ecco, l’altra conseguenza è che il soggetto del diritto – il povero, il disoccupato, l’emarginato, eccetera – si trasforma in “bisognoso”.

In questa società dei bisogni, sono scomparsi i diritti. E quando ciò accade siamo di fronte al sistematico disinnesco di qualunque detonatore di ribellione sociale e politica.  Qui è il nodo. Certi bisogni devono essere collocati nella loro giusta dimensione politica, vale a dire nella dimensione dei diritti costituzionalmente garantiti. Parlo di quei bisogni che nascono dalla distruzione sistematica della dignità delle persone. Gli operatori sociali è sui diritti che devono concentrare il loro lavoro, perché il loro lavoro è “politico” in quanto sociale. Soddisfare bisogni individuali – mediamente di questo si tratta – è un lavoro che, sottratto in tal modo alla dimensione dei diritti, allontana i servizi sociali dalla loro funzione “politica”. Mettere al centro i diritti consente un rovesciamento positivo sia delle modalità di lavoro degli operatori, sia degli obiettivi del servizio sociale. La politicizzazione del lavoro sociale e dei suoi destinatari spinge a una trasformazione radicale dell’approccio anche metodologico. Il welfare generativo – che in un paio di libri di circa 20 anni fa definivo welfare per lo sviluppo – è impossibile da realizzare in mancanza di una dimensione politica del lavoro sociale.

Nei Piani sociali di zona in circolazione prevale la lista dei bisogni accertati alla meglio, contornata da analisi del contesto ricche di numeri senz’anima. Accanto all’elenco dei bisogni, una bella lista della spesa. I diritti scompaiono e con essi gli obiettivi di emancipazione e di riscatto delle persone attraverso la conquista di spazi per l’esercizio delle libertà sacrosante.

Siamo in una società fondata sul consumismo e sui bisogni, appunto sul bisogno di consumare. E non è un caso se il bisogno di consumare – oggetti e beni di status culturalmente e socialmente imposti – è tra i pochi bisogni a non avere nulla a che fare con i diritti fondamentali.

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