Il salario minimo e l’elemosina di Stato
Un Paese così umiliato e una destra così cialtrona e pericolosa, a parte il ventennio fascista, non si erano mai visti. Mentre la cosiddetta sinistra ha perso il lume della visione e mostra di non aver colto l’insegnamento di Rocco Scotellaro…
Prima l’elemosina dei 380 euro alle famiglie con un reddito inferiore ai 15mila euro e con almeno un nucleo di 3 persone. Un’elemosina condizionata e umiliante nella misura in cui obbliga i percettori a comprare prodotti alimentari stabiliti dal Governo. Prima ancora l’abolizione di fatto del Reddito di Cittadinanza. Ora in arrivo il no del centrodestra in parlamento al salario minimo. Insomma, i servi dei poteri forti neoliberisti fanno i compitini con diligenza e senza errori. Un Paese così umiliato e una destra così cialtrona e pericolosa, a parte il ventennio fascista, non si erano mai visti. E’ vero, il salario minimo non è una grande soluzione, la soluzione è sempre la stessa: salario giusto, perciò meglio inglobarla nella contrattazione sindacale. Tuttavia, in qualche modo, e comunque sia, garantirebbe un po’ di dignità ad almeno 3 milioni di lavoratori sottopagati e sfruttati più degli altri. Puntare sulla riduzione del costo del lavoro, in luogo del salario minimo, come qualcuno pensa, va bene, ma è oggi un diversivo. Che cosa si deve detassare? Il lavoro nero, quello sottopagato, quello che è fuori dai radar dei diritti?
Se il parlamento non dovesse accogliere la proposta del salario minimo garantito vorrei vedere quei 3 milioni di sfruttati scendere in piazza a fare casino. Magari insieme ai percettori dell’elemosina dei 380 euro e magari insieme agli studenti che continuano ad abbaiare senza mordere. Mi piacerebbe anche vedere a loro fianco gli altri lavoratori, quelli meno precari e meno sfruttati. Sognare una rivoluzione pacifica è ancora possibile?
Un tempo c’erano padroni proprietari di uomini e donne. Decidevano vita e morte degli schiavi. Padroni tutelati dalle leggi delle istituzioni che essi stessi governavano. E’ orribile che un uomo sia proprietario di un altro uomo. Solo a pensarci ti si rabbrividisce l’anima. Una proprietà privata ignobile. Uno schiavismo che purtroppo, sotto altre forme e modalità diverse rispetto ai tempi della colonia inglese della Virginia, non ha mai smesso di esistere.
Oggi ci siamo evoluti. La “religione” neoliberista ci impone di essere padroni e proprietari di noi stessi, imprenditori di noi stessi, titolari del “nostro capitale umano”. In pratica schiavi di noi stessi. Liberi di assumere farmaci per risolvere qualunque problema, di ingoiare alimenti che ci obbligano a comprare i farmaci, di sprecare acqua per assetare gli assetati, di sprecare cibo per affamare gli affamati. Attraverso questa libera schiavitù siamo tornati ad essere di proprietà dei padroni. I nuovi padroni non ti obbligano a portare il risciò, non ti obbligano a raccogliere il cotone o a piantare patate. No. Ti seducono con la libertà: la libertà di consumare, di competere contro gli altri esseri umani, di sgomitare, di produrre senza sosta, di aspirare alla ricchezza, di imitare i deficienti che scorrazzano in tv e sul web. Attraverso questa presunta libertà ci tengono per la cavezza, senza pietà. In una società di narcisisti senza specchio molta gente indossa i finimenti del mulo nello stesso modo con cui si indossano i monili. E’ tutta qui la faccenda che riguarda il cosiddetto italiano mediano.
Tutti gli altri in virtù del paradigma neoliberista sono dei falliti, incapaci di gestire se stessi, di competere, di sgomitare, di farsi strada, di liberarsi da soli dalle loro condizioni di precarietà, povertà sfruttamento, schiavitù. E dunque, per evitare problemi di ordine pubblico gli diamo l’elemosina di Stato. E’ un modo per mettere il sonnifero alla ribellione, quella organizzata, intelligente. Il rischio invece è che si innescano fenomeni di ribellismo che danneggerebbero ulteriormente le classi subalterne.
Ecco, il punto è che la cosiddetta sinistra e le cosiddette forze progressiste, con il loro riformismo debole, non hanno capito fino in fondo, quello che Rocco Scotellaro aveva capito benissimo: aiutare i poveri senza “attivarli”, è come anestetizzare il potenziale di ribellione e le prospettive di riscatto. Attivarli significa aiutarli a formarsi una coscienza politica, non in una dinamica elettorale, ma in una dinamica di lotta. Attivarli significa renderli protagonisti diretti – senza strumentali mediazioni – di un’idea di riscatto che si traduca in azione politica. Un’azione che non abbia come traguardo gli esiti delle piccole rivendicazioni, ma che apra a nuovi orizzonti di società e di civiltà. Gli ultimi, i “reietti”, i nuovi ceti subalterni, ormai non vanno più a votare. Nel frattempo personaggi improbabili, che non hanno mai vissuto un giorno da poveri, parlano continuamente di povertà. A destra e a sinistra propongono non soluzioni ma pezze al buco: il salario minimo, le pensioni a mille euro e così via. Alla Stellantis di Melfi si accontentano di una navetta in più che trasporta il carico umano dalla Basilicata alla Campania. Siamo a questo punto.
Occorrerebbero mobilitazioni di massa di quelle che non si vedono dai tempi dell’autunno caldo del 69. E’ necessaria una svolta. Certo, oggi è più difficile, molto difficile che ciò accada. I mutamenti antropologici delle società occidentali provocati da 60 anni di offensiva neo liberista contro i movimenti e le culture dell’insorgenza anti capitalista, hanno spoliticizzato la vita sociale e civile mercificandola e piegandola alle fauci del finto libero mercato. Tuttavia bisogna provarci, adeguando strategie e azione alle condizioni del nostro tempo. Non esistono scorciatoie né alternative. Se si continua ad attribuire significati di successo e di conquista alle magre e umilianti concessioni dei “padroni di tutto”, un giorno anche l’aria da respirare sarà un bene ingabbiato nella sfera dei bisogni e sottratto alla sfera dei diritti. E’ una metafora, estrema, ma molto chiara spero. L’alternativa alla mobilitazione di massa è la dichiarazione di sconfitta: “hanno vinto loro”. Rimane tuttavia valido il monito di Marco D’Eramo nel suo libro Dominio: “Nulla di buono fu mai ottenuto dalla società senza un conflitto, senza una lotta, senza un’insurrezione, senza una rivolta dei dominati contro i dominanti, degli ‘ignobili’ contro i ‘nobili’.