L’Autonomia Differenziata rischia il naufragio
Un Paese disunito, con una spesa pubblica orientata al Nord, nessun piano di infrastrutture e nessuna idea su come recuperare il gap Nord Sud. Scontenti al Nord e scontenti al Sud: i primi che continueranno a sentirsi fregati e i secondi che grazie al dibattito sulla Autonomia hanno scoperto di essere fregati
Tra abbandono di saggi, emendamenti, anche della maggioranza di governo, e audizioni pare sempre più chiaro che l’Autonomia Differenziata di Calderoli sarà seppellita da un semplice sillogismo: per fare l’Autonomia occorre garantire gli stessi diritti civili e sociali in tutte le parti di Italia, per farlo occorre definire i Livelli Essenziali della Prestazioni (LEP), per garantire gli stessi LEP in tutte le regioni italiane serve una montagna di soldi ( almeno 100 miliardi anno secondo SVIMEZ).
Questi soldi non ci sono: amen! Questo è, e questo appare purtroppo in ombra nel dibattito e nelle varie manifestazioni contro l’autonomia e tra valutazioni di incostituzionalità e appelli alla Unità d’Italia si perde di vista il dato essenziale: se per garantire LEP omogenei a tutto il Paese, e rispettare così i principi di uguaglianza costituzionale, servono 100 miliardi anno questo significa che sino ad oggi parti del Paese hanno LEP inferiori al resto e che la Costituzione non viene rispettata e da tempo immemore.
Possiamo quindi far finta di non vedere, di non capire ma tutto quello che emerge dalla discussione sul progetto ‘spaccaitalia’ di Calderoli è che al Sud siamo figli di un dio minore, dove la spesa pubblica corrente è di 5.000 euro l’anno in meno rispetto al Nord Ovest, che per i 20 milioni di abitanti del Mezzogiorno fanno cento miliardi anno in meno: la metà del PNRR! Per non parlare del gap infrastrutturale Nord – Sud. Questo secondo i dati dei Conti Pubblici Territoriali, forniti dalla Agenzia per la Coesione vigilata dalla Presidenza del Consiglio, che rendono evidenti i numeri che smontano tutti i pregiudizi sulla spesa pubblica al Sud che mangia tutte le risorse prodotte dal Nord operoso.
Il vero problema e che quando naufragherà l’Autonomia Differenziata tutto tornerà come prima: un Paese disunito, con una spesa pubblica orientata al Nord, nessun piano di infrastrutture e nessuna idea su come recuperare il gap Nord Sud. Scontenti al Nord e scontenti al Sud: i primi che continueranno a sentirsi fregati e i secondi che grazie al dibattito sulla Autonomia hanno scoperto di essere … fregati.
Ogni anno piangeremo lo spopolamento e i nostri giovani che emigrano al Nord o all’estero e ci racconteremo al bar tutte le solite tiritere inutili perché mai abbiamo deciso di prendere in mano la situazione e agire.
Per questi motivi ci pare che non sia sufficiente dire no all’Autonomia ma la società civile, il ceto dirigente imprenditoriale e politico del Mezzogiorno dovrebbe esprimersi e chiedere che la questione meridionale venga riportata al centro del dibattito e, soprattutto, produrre un piano di visione sul futuro del Sud e su questo chiedere l’intervento dello Stato.
Ci si aspetta quindi che tutti i partiti, e tutti i partiti in qualche misura hanno flirtato con l’idea secessionistica della autonomia differenziata, si esprimano sul futuro del Sud. Hanno strutture e mezzi per farlo: è loro dovere. Dire no all’autonomia differenziata, ad un progetto morente già di suo, è troppo facile. Occorrono proposte per il Mezzogiorno e la sua crescita.
Ma di tutto ciò non c’è traccia, a parte il solito bla bla bla che non ha mai funzionato, e ci si avvia alla prossima tornata elettorale regionale sul modello Molise, dove in assenza di una iniziativa politica si è votato con le solite logiche personali e clientelari e senza un ‘sogno’, una speranza di evoluzione e di sviluppo su cui chiamare a raccolta gli elettori.
Il risultato è che i pochi e poco entusiasti elettori hanno dato il proprio voto a chi al momento gestisce il potere centrale e sembra più capace di soddisfare le solite piccole e grandi clientele. Lo stesso percorso che si sta seguendo in Lucania.
C’è però la possibilità per la società civile lucana di utilizzare quanto previsto nello statuto regionale, art. 19 sulla partecipazione dei cittadini alla politica, che prevede l’uso di referendum consultivi di indirizzo regionale.
Però la politica lucana, e il Consiglio regionale, non è stata sino ad ora in grado di emanare le leggi attuative di uno statuto in vigore da anni e anni per cui quei cittadini diligenti che vorrebbero contribuire con proposte e discuterle e metterle nelle mani sapienti della politica e dei politici sono privi degli strumenti legislativi per raccogliere le firme e sono privati dei propri diritti di partecipazione alla vita politica, e lo statuto regionale diventa così carta straccia.
Con lo scopo di suscitare un dibattito collettivo nella società lucana, non solo sulla autonomia differenziata, un gruppo di cittadini che si riconoscono nei principi della Carta di Venosa, hanno chiesto da mesi, e al momento senza risposta e nonostante l’aiuto di alcuni consiglieri regionali, al Presidente della Prima Commissione, il leghista Gianuario Aliandro, di esporre le richieste referendarie e chiedere l’emanazione di una norma per raccogliere le firme. E da mesi aspettiamo l’intervento dell’ex leghista il presidente del Consiglio Regionale Carmine Cicala per l’emanazione delle norme per la raccolta delle firme.
Ma a quanto pare il manovratore leghista non ama essere disturbato. Possibile che per fare valere i propri diritti di partecipazione alla vita politica i cittadini invece di trovare ascolto debbano rivolgersi alla magistratura? Sul serio? A questo è arrivata l’incomunicabilità tra il Palazzo e i cittadini?