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Il medico non è un “superiore”

15 luglio 2023 | 13:34
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Il medico non è un “superiore”

Fare attenzione alla relazione con il paziente: spesso l’accompagnatore è indispensabile

Di seguito pubblichiamo la lettera alla redazione di Lucia Colicelli su quanto accaduto a una donna con l’Alzheimer  che si è sottoposta  una visita medica in una struttura pubblica lucana. 

“Giorni fa una donna a cui è stato diagnosticato il morbo di Alzheimer è stata sottoposta a visita oculistica in una struttura sanitaria pubblica della Basilicata. Purtroppo non è stato consentito all’accompagnatore di entrare nello studio medico. La paziente è uscita dallo stesso dopo pochi minuti con un foglietto in mano!

È possibile che i pazienti che si rechino a visita dai medici nella gran parte delle nostre strutture sanitarie, anche private, non possano essere accompagnati? Qual è la logica che sottende tale incomprensibile scelta? Come non rendersi conto che chi si sottopone a visita medica, anche la persona più “attrezzata” culturalmente e professionalmente, si trovi in una situazione di fragilità e, quindi, necessiti di qualcuno che la affianchi nella interlocuzione con il medico?

Non solo i disturbi cognitivi, magari associati ad una malattia conclamata, ma anche lo stress emotivo del paziente può interferire sulla sua capacità di esporre al medico i propri problemi di salute e di comprendere i suggerimenti e le prescrizioni terapeutiche. La presenza di un accompagnatore durante la visita medica, lungi dall’essere una concessione, deve essere una scelta motivata che, oltre ad esprimere il rispetto e la considerazione della dignità dell’assistito, facilita il processo diagnostico e l’efficacia del percorso terapeutico.

La relazione medico-paziente da sempre è stata caratterizzata dalla supremazia del primo o al massimo da un suo atteggiamento paternalistico e da una condizione di vulnerabilità del paziente. È pur vero che il medico in tale rapporto è colui che detiene la conoscenza scientifica, ma ciò non significa che debba prevalere sul paziente e debba esercitare un potere che lascia trapelare una sorta di superiorità.

Si delinea quella che viene definita un’interazione complementare dove esiste una differenza di ruoli e di funzioni che però non implica differenza di valori e mancanza di rispetto o, di contro, un atteggiamento riverente. È ovvio che sia più semplice e anche più sbrigativo avere a che fare solo col paziente e gestire in modo unidirezionale il rapporto, spesso dimenticando che si tratta di una persona e non di un una “parte di essa”.

Tale atteggiamento, proprio di una visione organicista-settoriale, è stato ancor più esasperato dall’eccessiva specializzazione della medicina che ha comportato una maggiore attenzione su parti del corpo sempre più circoscritte, facendo perdere di vista l’approccio olistico che invece tiene conto della persona nella sua interezza. Ne deriva una grande sottovalutazione degli aspetti relazionali nel contesto terapeutico e l’incompetenza di troppi medici sui processi comunicativi. Tale lacuna non può essere superata dalla presunta e non sempre presente sensibilità personale del medico, ma deve essere acquisita, attraverso specifica formazione perché possa diventare parte integrante del suo bagaglio professionale, e il sistema sanitario deve far proprio questo modello di intervento. Fra l’altro la normativa vigente già da anni ha promosso e valorizzato la “relazione di cura tra paziente e medico che si basa sul consenso informato…In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari… ovvero una persona di fiducia del paziente stesso”. Lucia Colicelli