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Donne lucane più preparate e formate degli uomini, ma svantaggiate nel lavoro

13 luglio 2023 | 11:58
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Donne lucane più preparate e formate degli uomini, ma svantaggiate nel lavoro
Presentazione del rapporto Ires Cgil sulla condizione femminile in Basilicata

È quanto emerge dal primo rapporto Ires Cgil sulla condizione femminile in Basilicata, presentato oggi a Potenza

È stato presentato oggi a Potenza il primo rapporto Ires Cgil sulla condizione femminile in Basilicata. Sono intervenuti il direttore scientifico Ires Cgil Riccardo Achilli, la segretaria della Cgil Basilicata Anna Russelli e la segretaria nazionale Laura Ghiglione. Per l’occasione è stato anche istituito il Coordinamento regionale delle donne Cgil di Basilicata.

La condizione femminile in Basilicata, pur essendo connotata da notevoli difficoltà e ritardi rispetto al Centro Nord è, se analizzata in confronto con il Mezzogiorno, caratterizzata da alcune peculiarità. A differenza di altre regioni meridionali, la diseguaglianza di genere non si crea già dalla fase formativa. In termini di partecipazione all’istruzione ed alla formazione permanente, dai bassi livelli di abbandono scolastico, di quota di donne con titoli di studio alti, la Basilicata non è affatto in ritardo. Rispetto alla percentuale di donne laureate, la Basilicata ha persino dati migliori della media italiana. Anche le donne, che siano occupate o non occupate, che partecipano ad attività formative, risultano, in percentuale, superiori al dato italiano (il che è un indicatore di una certa attenzione da parte del Fse regionale nel garantire l’accesso delle donne alla formazione).

Tale potenziale culturale, tuttavia, si perde nel momento in cui, finita la fase formativa, le donne lucane si avventurano nel mercato del lavoro. In questo caso, le difficoltà di accesso ad una occupazione si traducono in una altissima percentuale di scoraggiamento: il tasso di attività delle donne lucane è di 12 punti inferiore a quello medio nazionale, con un gap negativo rispetto al tasso di attività maschile di ben 26 punti. Quasi una donna inattiva su cinque, un dato molto rilevante se confrontato con le medie meridionale e nazionale, è scoraggiata: in altri termini, potrebbe e addirittura vorrebbe lavorare, se le condizioni percepite del mercato del lavoro fossero migliori. L’ampio bacino di inattività è legato al fatto che le donne che invece entrano nel mercato del lavoro, finiscono in quote molto rilevanti nel limbo della disoccupazione, soprattutto le donne giovani alla ricerca del primo impiego, in uscita da un percorso educativo spesso brillante. Il tasso di disoccupazione giovanile femminile, in Basilicata, è del 36,3%, lo scarto con quello dei giovani maschi regionali è di oltre 16 punti, quasi 5 volte il corrispondente scarto a livello nazionale. Si può addirittura dire che la figura “tipica” del disoccupato lucano è rappresentata da una giovane donna, con titolo di studio medio-alto, alla ricerca del primo impiego. Tale figura spesso, in poco tempo, si scoraggia, cadendo nell’inattività (o emigrando).

In tale situazione, i motivi sono diversi, dal persistere di una resistenza culturale all’assunzione di donne, spesso di alto livello educativo, da parte di piccole imprese familiari e padronali a discendenza maschile nel sistema di governance aziendale, alla isteresi del mercato del lavoro, evidentemente a causa di politiche attive del lavoro non particolarmente efficaci, che generano, peraltro, un tasso di disoccupazione di lungo periodo (ricerca di lavoro che supera i 12 mesi) superiore a quello nazionale. Quali che siano i motivi, il risultato pratico di tale blocco nell’accesso al lavoro è costituito da un “tasso di sfruttamento” più alto a carico delle lavoratrici. Le assunzioni con contratti precari, infatti, sono di gran lunga più frequenti per le donne che per gli uomini. Solo l’11,8% delle assunzioni femminili in Basilicata avviene con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 15,9% maschile.

I contratti precari, oltre a produrre effetti negativi sulla vita, sono mediamente meno bene pagati. Anche perché l’occupazione femminile alle dipendenze in Basilicata si concentra soprattutto (in termini relativi) in settori, come i servizi alla persona a basso valore aggiunto, il turismo e ristorazione, l’agricoltura, che mediamente pagano stipendi più bassi rispetto, ad esempio, all’occupazione manifatturiera, e soprattutto a quella nei settori hi-tech, sia essa industriale o terziaria, dove la percentuale di donne lucane occupate è appena del 2,3%. Ciò fa sì che gli stipendi medi delle donne lucane che riescono a superare il grande ostacolo dell’accesso al lavoro siano di 4.300-4.400 euro annui lordi inferiori agli stipendi medi dei maschi, con una analoga differenza che si riscontra anche nel valore medio delle pensioni. Ciò fa sì che, se il rischio di caduta in povertà relativa è relativamente omogeneo fra uomini e donne, grazie al fatto che tante donne a basso reddito sono sostenute economicamente dai mariti, la caduta nelle forme più gravi di povertà assoluta è soprattutto a carico delle donne. La percentuale di donne lucane in condizioni di grave deprivazione materiale è del 10,3%, più di un punto percentuale superiore al dato maschile. Tale percentuale nasconde situazioni di solitudine, dove cioè non vi è sostegno familiare: anziane vedove del marito, donne single con figli a carico. In misura crescente donne immigrate.

A tale situazione concorre anche una carenza di servizi. Solo il 7,3% dei minori lucani viene preso in carico dai servizi per l’infanzia, peraltro concentrati solo sulle tipologie più tradizionali (nidi e micro-nidi, sezioni primavera) mentre i nidi aziendali (per l’assenza di un welfare aziendale) o i servizi domiciliari, che pure potrebbero creare occupazione a disposizione anche di donne con livelli di formazione non specialistici, specie nelle aree interne, sono pressoché inesistenti. Evidentemente, la carenza di servizi di conciliazione, con una situazione mediamente peggiore anche rispetto ad altre regioni meridionali (in particolare Puglia, Sardegna o Abruzzo e Molise) dipende da politiche sociali inadeguate ed incide sulla povertà, sui bassi redditi e sulla precarietà lavorativa delle donne, privandole di servizi che consentirebbero loro di dedicare più tempo alla loro professione.
Un approfondimento specifico riguarda il tema della violenza sulle donne, che può essere analizzato sia con una vecchia indagine specifica dell’Istat (risalente al 2014) sia con dati più aggiornati (al 2021) sul numero di reati-spia di violenza sulle donne denunciati all’Autorità giudiziaria. Il tema delicato della violenza di genere va analizzato tenendo conto di alcuni caveat metodologici sui dati. Soprattutto nei contesti meno sviluppati, i casi di denuncia o di ammissione di aver subito violenza sono minori, per cui le statistiche ne risultano sottostimate rispetto all’entità reale del fenomeno. Questo perché, in contesti più tradizionali la violenza domestica può essere considerata, da alcune fasce della popolazione, come un fatto normale, o vi può essere minore fiducia nella giustizia.

Fatta questa importante premessa metodologica, l’ultima indagine su base regionale condotta dall’Istat sul tema, risalente all’ormai lontano 2014, colloca la Basilicata nella migliore posizione fra tutte le regioni italiane, con una percentuale di donne di età compresa fra 16 ed i 70 anni che ammette di aver subito una violenza nella propria vita pari al 23,7%, ben al di sotto della media nazionale (31,5%) ed anche al di sotto di altre regioni caratterizzate dal rischio di “omertà”, come quelle del Sud. Le percentuali di reati-spia della violenza sulle donne, denunciati dalle Forze dell’Ordine e aventi donne come vittime, vedono prevalere lo stalking, con una incidenza, rispetto al medesimo reato denunciato nel Sud e nell’Italia nel suo insieme, analoga a quella della popolazione lucana. Anche la violenza sessuale è un reato con una incidenza analoga a quella della popolazione. Viceversa, reati come le percosse o i femminicidi (che nel 2021 non sono mai stati denunciati in Basilicata) hanno una incidenza inferiore, anche se non di molto, a quella della popolazione.

In sostanza, sembrano prevalere, a carico delle donne lucane, i reati più direttamente connessi alla sfera sessuale e relazionale, mentre quelli più frequentemente commessi in famiglia, come le percosse o gli omicidi, sembrano meno diffusi, anche se, ovviamente, come già detto, i reati commessi entro le mura domestiche possono risentire di una scarsa propensione a denunciare, o comunque essere meno facilmente rilevabili dalle Forze dell’Ordine. Complessivamente, i reati-spia di violenza sulle donne denunciati nel 2021 costituiscono il 3,2% del totale di tali reati al Sud (a fronte di una incidenza della popolazione lucana del 4%) e lo 0,8% del totale nazionale (a fronte di una incidenza di popolazione dell’1%) quindi, come anche rilevava l’indagine del 2014, non sembrano esservi livelli di allarme sociale significativamente maggiori rispetto alle altre regioni, anche limitrofe. Tenendo anche conto del fatto che i dati potrebbero essere sottovalutati per via di una minore propensione a denunciare o far emergere le violenze contro le donne, anche rispetto ad altre regioni del Sud.