Basilicata. I luoghi sconosciuti, quelli dell’anima

6 luglio 2023 | 14:36
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Basilicata. I luoghi sconosciuti, quelli dell’anima

Salviamoli dallo spopolamento della speranza: quella non è in vendita

C’è una Basilicata sconosciuta. La trovi nei piccoli paesi arroccati sulle montagne o coricati nelle valli assolate e isolate. Quei paesi che si sono arresi all’esodo, all’isolamento fisico e finanche sociale. Sono figli di una diaspora silenziosa, lenta e inesorabile. Nel corso di un secolo sono andati via in cinque o dieci o trenta per volta, anno per anno. Con la speranza in tasca e niente altro. Qualcuno è tornato, per morire nella stessa terra di nascita. Le radici, quelle non ci sono più. Strappate da quella stessa modernità che ha innescato la diaspora silenziosa. Magari trovi radici essiccate, tatuate sui volti rigati dei vecchi, superstiti di un luogo senza più memoria, ma con l’anima che respira.

C’è una Basilicata sconosciuta dove l’anima delle stagioni respira a fatica. Dove il futuro è rimasto indietro, è remoto, mentre il passato è appena presente e risale come un’eco di speranza. I soliti “uomini della modernità”, quelli che sanno come va il mondo, provano a vendere quel che rimane: “il turismo delle radici”, “la promozione delle aree interne”. Soldi. I soldi sono un malocchio sull’esistenza di quei luoghi. Una dannazione. Quel che rimane davvero in quei piccoli paesi arroccati sulle montagne e coricati nelle valli è il silenzio. Quel silenzio che educa all’ascolto.  Non vendete anche quello. Lasciatelo libero di circolare tra vicoli e piazze, tra finestre e balconi. Lasciatelo libero tra i volti della gente, libero nella loro lingua. Quei volti che raccontano un’unica storia: la storia per cui il loro paese è il mondo, è la visione del mondo (Weltanschauung). Ed è un mondo indulgente e indugiato, che si è difeso fin quando ha potuto dai mercanti delle vite altrui.

Il silenzio, il silenzio si dipana nella ritualità che ancora resiste. Non vendete anche quella. La ritualità vive in armonia con il silenzio, non bisogna disturbarla con il baccano delle feste senz’anima. Lasciate che la festa sia “una forma di gioco, un’autorappresentazione della vita che non ha obiettivi”. Lasciate che la festa sia una forma intensa della vita, una vita che fa riferimento a se stessa invece di subordinarsi a uno scopo. Lasciate che la festa non abbia alcuna finalità al denaro.

In quei paesi, pochi,  c’è ancora un tempo abitabile, un tempo che indugia, innescato in una ripetizione senza routine. C’è ancora una percezione simbolica che conserva la memoria delle cose che durano a prescindere dagli uomini. In quei luoghi respiri ancora un equilibrio emotivo, avverti un sentimento di comunità che non ha nulla da spartire con il “campanilismo”.

Dunque, i piccolissimi paesi arroccati sulle montagne e coricati sui valloni assolati, quelli ai margini del dannato marketing turistico, sono sconosciuti nella loro anima che ancora respira nei luoghi. Ed è per quell’anima che bisogna conoscerli e riconoscerli. Che si attirino “pellegrini” non turisti. “I pellegrini e i turisti appartengono in realtà a due ordini molto diversi. I turisti viaggiano per non luoghi svuotati di senso, mentre i pellegrini sono legati a dei luoghi che consentono il raduno e il legame tra esseri umani” (Byung-Chul Han, 2021). Ed è il raduno il tratto essenziale di quella Basilicata sconosciuta.

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Per contattare l’autore: michelefinizio@basilicata24.it