A Potenza il campanilismo frena lo sviluppo
Una città che potrebbe andare oltre i confini della montagna su cui è nata mettendo a valore le sue grandi potenzialità
Leggo da Treccani: “il campanilismo è attaccamento esagerato e gretto alle tradizioni e agli usi della propria città.” In che cosa si manifesta questo attaccamento gretto ed esagerato? Analizzando post e commenti sui social appare evidente tra i potentini un uso smodato della parlata locale. Non si tratta del dialetto, sia chiaro. Si tratta, invece, di una parlata scritta, sulla base dei suoni, che distrugge quanto di bello possa esistere nella fonetica autentica del vernacolo locale. Tutto qui? No. Esiste, è evidente, una tendenza ad esagerare ogni cosa. Una mostra di qualunque cosa diventa un grande evento culturale internazionale che cambierà il mondo. La candidatura a città dei giovani 2024, solo per fare un esempio, diventa causa di eventi e cotillon, passerelle e retorica, come se il traguardo fosse già stato raggiunto. Basta un premio per il gelato più buono o per la patata lessa migliore del Sud, e si scatena l’arena del circo. Perché? Perché si fa a Potenza.
La squadra di calcio non è come le altre, tipo quella di Picerno che milita anch’essa in serie C e che è anche lucana. “La squadra del Potenza rappresenta la Basilicata, la cultura lucana, l’appartenenza alla regione.” Quella di Picerno no? “No, perché noi siamo il Capoluogo”. Lasciate che siano i lucani a decidere. La tendenza ad esagerare, o meglio a gonfiare la realtà, si manifesta anche nel turismo e nell’arte. Potenza “città d’arte”, Potenza “città turistica”. Si campa di slogan e di autoreferenzialità. Il campanilismo si manifesta anche nella forte tendenza all’imitazione. Se non hai le attrazioni, le devi inventare, ma qui si preferisce imitare o peggio copiare.
Tuttavia Potenza ha grandi potenzialità. Bisogna, però, abbandonare l’inseguimento di chimere dannose e la coltivazione di illusioni condite in un brodo di banalità e di vanità. Vanità che si chiamano città d’arte, città turistica. Meglio sarebbe un pensiero che concettualizzi diversamente queste affermazioni: città delle tecnologie applicate all’arte; città nodo strategico della mobilità nella rete turistica regionale. Farlo è più difficile che dirlo, ma se neanche lo si pensa diventa impossibile da fare e da dire.
La città potrebbe diventare davvero l’hub della mobilità regionale, fulcro nevralgico della rete dei trasporti, nodo avanzato dell’industria terziaria, centro strategico di servizi sanitari ad alta specializzazione, luogo naturale della ricerca e dell’università. Una città vocata alla sperimentazione delle tecnologie applicate all’organizzazione urbana. L’asse di una ruota che armonizza contrade, campagne, persistenze della tradizione contadina in un quadro di interazione tra memoria e futuro. Una città al centro delle culture della tecnologia, dove, per esempio, le arti si sperimentano nelle forme più varie suggerite dalle tecniche di avanguardia. La città del teatro e del teatro di avanguardia, della musica. Potenza è ricca di gruppi teatrali e di musicisti. In questo settore bisognerebbe fare sul serio.
E invece, a parte il banalismo campanilistico, oggi, solo per fare un esempio, siamo in presenza di una città che non valorizza l’Università e di una Università che non valorizza se stessa e nemmeno la città. Abbiamo un ospedale con potenzialità enormi ma avviluppato nella rete delle convenienze, dei piccoli e grandi egoismi, della diffusa mediocrità e supponenza di manager, di politici e, senza fare di tutta l’erba un fascio, di primari di seconda fila. E’ una questione di gruppi dirigenti ad ogni livello.
Ma se si continua a far finta di non vedere queste potenzialità e di riflesso le criticità, se si continua con la prospettiva di imitare Matera, Venosa, Tricarico, Maratea, Metaponto e così via, mettendosi in competizione, perdente, con quel patrimonio, il futuro si annerisce. E siccome qui non ci sono castelli interessanti, aree archeologiche di grande prestigio, beni architettonici (a parte il ponte Musmeci) di elevato interesse nazionale e internazionale, la faccenda del turismo si fa complicata. Certo, non bisogna abbandonare queste aspirazioni. Tuttavia dovrebbero essere prioritarie le potenzialità appena descritte.
Se si vuole insistere con questa storia del turismo e dell’arte, allora si faccia come a Bilbao. Una bella “operazione Guggenheim”. Quel museo rappresenta la rivoluzione di una città, nota esclusivamente per il terrorismo basco, fondamentalmente sonnolenta, chiusa nei suoi recinti industriali e minerari, da decenni ormai è diventata, grazie al Museo, una delle città più visitate in tutta la Spagna. Bilbao grazie a questa grande operazione è oggi la città del Guggenheim e non più del terrorismo basco. I bilbainos non hanno preteso di imitare l’attrattività del patrimonio storico-culturale-architettonico di Toledo, Malaga, Cadice, Valencia, e così via. Hanno aggiunto un valore a tutto il resto. Ecco, Potenza può aggiungere valore a tutto il resto anziché servirsi di quel valore per inseguire chimere.
Qui, invece, si fa ancora gretto campanilismo. Roba da comunità tribale. Se proprio si vuole insistere anche sul turismo si immagini un evento culturale o scientifico permanente, originale, unico, capace di attrarre decine di migliaia di visitatori da tutto il mondo. Lancio a vanvera nella speranza di spiegarmi: un museo unico nel suo genere, una rassegna internazionale dei vini dei Paesi del mediterraneo, un centro sperimentale di arte e tecnologia, e così via con la parola che passa ai creativi e giovani volenterosi di cui la città è piena. Rimane tuttavia prioritaria la strada delle potenzialità, prima illustrate. Naturalmente per forgiare il ferro in modo originale occorre un fabbro visionario.
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