La Chiesa lucana a gamba tesa nella politica regionale
Il documento della Consulta delle aggregazioni laicali, presentato a Potenza il 21 giugno, non convince e nemmeno i vescovi. Le perplessità su certe manovre a scopi elettorali
Bisognava prendere la parola 30 anni fa. In tutto questo tempo occorreva evitare di assistere allo scempio e al saccheggio interno ed esterno della regione. Certo, non è mai tardi. Ma prendere la parola oggi, non due o tre o cinque anni fa, a pochi mesi dalle elezioni regionali, suscita almeno qualche perplessità. Magari è una coincidenza. Negli ultimi 24 mesi abbiamo assistito all’esposizione di strette di mano e abbracci, in circostanze diverse, tra prelati e personaggi legati al mondo degli affari e dell’editoria, anche cattolica. Un crescendo di iniziative a cui hanno partecipato politici, sindacalisti, giornalisti, magistrati e personaggi in cerca d’autore. Una lenta manovra, ben studiata, di medio termine finalizzata a cosa? Forse, ci sono tutti gli indizi, lo scopo è uno solo: tirare la volata ad ambiziosi lucani di ritorno, e ai loro mondi, in vista della campagna elettorale prossima. Ecco a che cosa servirebbero i palcoscenici allestiti in tutto questo tempo.
La festa dell’Avvenire, sponsorizzata nel 2022 e nel 2023 anche dal Gruppo Macchia, non a caso, oltre che dalla solita azienda di servizi socio-sanitari di Angelo Chiorazzo, è uno di questi palcoscenici addobbati proprio negli ultimi due anni in Basilicata. Ma l’osservatore più attento sa che le feste travestite da eventi sportivi, sociali, culturali, ormai abbondano in capo al Gruppo Macchia-Chiorazzo e ad altri che al momento sono nella penombra. Nella crisi profonda del Pd e del M5S in Basilicata, il duo d’affari Macchia-Chiorazzo, rappresenta una speranza di salvataggio per i soliti personaggi che non vogliono mollare il potere, a destra e a sinistra. Ed è questo uno dei rischi delle grandi manovre di cultura, spettacolo e sport, seguite alle manovre societarie preparatorie della marcia lenta verso il potere politico. Non convince il filantropismo interessato di chi bacia le mani ai prelati, generosamente offre oboli per la causa di madre Chiesa e nello stesso tempo grazie a quel mondo ottiene capitale di prestigio e di reputazione. Non convince Macchia filantropo, benefattore disinteressato. E’ sufficiente non chiudere gli occhi e non tapparsi le orecchie per capirlo. I lucani più avveduti sanno, come già abbiamo scritto più volte che non è con l’alternativa a Bardi che cambieranno le cose, anzi. Occorre un’alternativa al sistema Basilicata, quel sistema, uguale a se stesso, che tiene in ostaggio la regione da oltre 30 anni.
E veniamo al documento di sintesi del percorso sinodale di ascolto e confronto sui temi sociali, economici e culturali della Basilicata: ” Segni di speranza, costruttori di futuro”, della Consulta regionale delle aggregazioni laicali. (Qui il testo). Illustrato a Potenza alla presenza dei vescovi. A parte i copia e incolla, non di frasi, ma di concetti recentemente elaborati da altri e che rappresentano una piccola novità nel contenuto, il resto è – chiedo scusa – retorica purissima. Una predica alla politica che ormai non ha più bisogno di sermoni, ma di azioni forti di ribellione da parte dei cittadini. Quel documento è un’”omelia” che evita di scavare nelle radici profonde dei problemi: La “raccomandazione” non è e non deve essere la carta di ingresso nel mondo del lavoro e per contrastarla c’è bisogno di una politica partecipata, oseremmo dire: “dolce”, che diriga, gestisca eticamente… Di frasi del genere è pieno il documento, e c’è da chiedersi perché. Che c’è di nuovo? Evitare di analizzare le radici rende tutto più semplice, ma anche superficiale. Manca l’autocritica, il sale che nutre la ricerca della verità e delle soluzioni.
Tuttavia, il documento assume molta importanza in questa fase di crisi morale, economica, sociale, politica. Il mondo laicale cattolico bussa alla porta della società e chiede un confronto nella speranza che dalla dialettica emergano idee e soluzioni per il futuro della Basilicata. La società lucana è, nella stragrande maggioranza dei suoi residenti, cattolica. E’ dunque la Chiesa lucana che deve interrogare se stessa, mentre opportunamente e legittimamente chiama a raccolta il mondo intero. Ma devono interrogarsi anche alcuni esponenti laici della Chiesa, frequentatori delle stanze che contano e loro stessi detentori del potere politico in questi lunghi anni.
Leggiamo nell’appello che chiude il documento: In questo vogliamo impegnarci come uomini e donne che abitano la città e ne condividono le problematiche. Lo vogliamo fare confortati dall’appello che già trent’anni fa Giovanni Paolo II ha rivolto al popolo lucano parlando a Pisticci Scalo al mondo del lavoro: La vostra terra può contare su un grande capitale umano, incomparabilmente più importante di ogni altra potenzialità della natura. (…) Non si è dunque condannati al sottosviluppo, alla disoccupazione e all’emarginazione. (…) Siate ottimisti! Non cedete alla tentazione della mediocrità e dell’abitudine!” Ecco, trent’anni fa. Alla buon’ora.
Oggi, però, appare inopportuno che la Chiesa chieda il bonus gas per sé, al presidente della Regione, come ha fatto la Conferenza episcopale lucana a firma di monsignor Ligorio, con l’obiettivo – come egli scrive – di “alleggerire il peso economico che la crisi energetica ha accentuato ancor più sulla gestione quotidiana di realtà che non vivono per sé, ma operano soprattutto per il servizio anche sociale che offrono alle comunità”. Si tratterebbe di un beneficio e i benefattori non si possono criticare.
La sala durante la presentazione del documento