Corruzione, arrestato un giudice: presunti abusi nella gestione dei fallimenti
La misura cautelare disposta dal gip di Potenza su richiesta della Procura ha coinvolto un magistrato pugliese, un avvocato e tre commercialisti
Un giudice, attualmente in servizio al tribunale di Bologna, e un avvocato e tre commercialisti sono stati arrestati e posti ai domiciliari dalla Guardia di Finanza di Lecce nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Procura potentina. Le accuse contestate a vario titolo nel provvedimento cautelare emesso dal gip del tribunale di Potenza sono concussione, corruzione in atti giudiziari, turbata libertà degli incanti ed estorsione.
Raggiunti dalla misura cautelare sono Pietro Errede attualmente Giudice al Tribunale di Bologna, all’epoca dei fatti in servizio nelle sezioni Fallimentare ed Esecuzioni Immobiliari, nonché Misure di Prevenzione del Tribunale di Lecce, ed i professionisti salentini – a vario titolo titolari di incarichi giudiziari ovvero di incarichi professionali ottenuti nel contesto di procedure giudiziarie, quali curatele, amministrazioni giudiziarie in sede di Misure di Prevenzione, procedure esecutive immobiliari e liquidazioni giudiziarie – Massimo Bellantone, Alberto Russi, Marcello Paglialunga e Emanuele Liaci.
Le indagini, -fa sapere la Procura di Potenza in una nota-avviate nel settembre 2021 sulla base di denunce circostanziate, si sono sviluppate grazie all’indispensabile supporto del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Lecce attraverso escussioni testimoniali, intercettazioni telefoniche ed ambientali, acquisizione di copiosa documentazione, studio di tabulati telefonici, messaggistica ed atti giudiziari, attività svolte con dalle fiamme gialle anche con il diretto coinvolgimento di magistrati della procura potentina.
Essenziali l’apporto delle attività di intercettazione delle investigazioni informatiche e bancarie e le dichiarazioni di alcuni testi e parti offese, scrupolosamente verificate e riscontrate, che hanno dato un decisivo contributo consentendo di acquisire un quadro indiziario, ritenuto grave dal Gip, dimostrativo di un uso strumentale dell’attività giudiziaria utilizzata per procacciare utilità personali non solo al magistrato (vacanze, preziosi, device, feste, ecc), ma anche ai professionisti che ruotavano intorno a lui che beneficiavano degli incarichi dati dal magistrato e che per questo lo ricambiavano”.