A cosa servono le medaglie?

16 maggio 2023 | 22:40
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A cosa servono le medaglie?
A sinistra la foto di Cartier Bresson "Vicinato" a destra com'è oggi (da Affari Italiani)

La Basilicata tra mito e realtà, tra favolismo e storytelling, al tempo del rovescismo storico letterario

Si celebra il passato ma non si studia più la storia, ridotta ormai a una disputa. La storia è diventata un’opinione, ognuno ha la propria. Ormai chi la studia più?

Con le recenti celebrazione dei 120 anni dalla nascita di Carlo Levi è riaffiorato il ciclico antilevismo lucano, su questo giornale ne ho già parlato diffusamente. Ora stiamo celebrando i 100 anni dalla nascita di Rocco Scotellaro, ma siamo ancora all’inizio, vedremo che cosa accadrà.

“Siamo figli della miseria o siamo figli della storia”? Questo è il refrain politico che ci ha accompagnato negli ultimi ottant’anni. Una domanda con due possibili risposte, e ognuno sceglie l’opzione preferita. Ma la realtà è più complessa e articolata. La classe politica lucana ha utilizzato gli ultimi anni a nascondere la condizione di miseria invece di adoperarsi per superarla. Ha lottato contro lo stereotipo e così facendo ha contribuito a fortificarlo nel tempo.

“Siamo figli della miseria o siamo figli della storia?” Questa domanda, quasi amletica, nasce anche dalla confusione seminata ad arte tra mito e realtà, tra storia e storytelling.

La domanda esistenziale è la sintesi delle profonde contraddizioni che hanno caratterizzato la Basilicata negli ultimi anni. Dualismo e contraddizioni che hanno radici profonde in un dubbio mai sciolto. Tuttavia, decidere, su quali basi poi, che siamo figli della miseria o della storia è una domanda mal posta, anzi confonde e scompagina la ricerca di senso. La verità forse è un’altra: siamo figli della storia che ci siamo costruiti ad arte o magari siamo incapaci di capirla davvero la nostra storia.

La Basilicata oggi è il risultato di una rappresentazione e di una narrazione piegate agli interessi delle classi dirigenti e del potere politico, frutto di marketing culturale e territoriale. Ma è anche il prodotto dell’incapacità dei lucani di fare i conti con il passato e con chi quel passato l’ha svelato: Carlo Levi, Rocco Scotellaro e di recente il professore Giovanni Caserta. L’incapacità di fare i conti con le ferite, per questo mai rimarginate. Sfuggire alla propria storia ha alimentato per contrappeso narrazioni fondate su un approccio da storytelling con l’uso disinvolto di Wikipedia, un luogo virtuale, una enciclopedia in cui chiunque può scrivere la storia che vuole a piacimento, tagliata su misura per ogni convenienza e circostanza anche da intellettuali e politici.

La dualità della nostra terra parte proprio dal nome, Basilicata prima, poi chiamata Lucania per volontà del governo fascista e infine ritornata Basilicata nell’Italia repubblicana e democratica.

Riportare la storia con i piedi per terra è il compito che si è dato il professor Caserta con il suo saggio “Dalla cronaca alla storia. Il 21 settembre 1943 a Matera”. Un compito arduo che solo gli storici dotati di determinazione e di coraggio sono in grado di affrontare: quello di decostruire il mito.

Il bisogno di essere i primi

Matera è la città in cui si sono dipanate negli ultimi 80 anni vicende storiche, culturali, politiche controverse. La miseria estrema dei contadini nei Sassi, “vergogna nazionale”, sembra essere all’origine del bisogno di compensazioni della borghesia locale responsabile di quella miseria e di quella vergogna, e dei suoi eredi. Una città dunque che sembra essersi riscattata non rimuovendo le cause profonde dei suoi mali antichi, non risolvendo i guasti culturali delle sue classi dirigenti, ma ottenendo in cambio premi, medaglie, onori e riconoscimenti, anche a costo di manipolare fatti e circostanze. “Noi siamo stati vittime di una maledizione negli anni ‘50” continuano a ripetere in un refrain anacronistico i vecchi e nuovi revisionisti per convenienza. E non si chiedono mai perché quegli anni di laboratorio sociale e politico siano stato un fallimento, si sceglie sempre il ruolo di vittima, è più confortevole.

Dall’uscita del Cristo si è fermato a Eboli è stato tutto un susseguirsi di rivendicazioni, contro quella descrizione poetica e tragica della condizione nei Sassi. Nessuno volle guardarsi nello specchio del Cristo. Ieri come ora.

Perché i lucani non riescono a storicizzare quella condizione di miseria, perché non riescono ad accettare quella che fu definita “vergogna nazionale”? Perché a Levi non si perdona di averla resa pubblica. Eppure Levi li difese quei Sassi negli anni seguenti, dando ai Sassi abbandonati la dignità di “fori contadini”, di pari rilievo con i “fori imperiali” di Roma.

Prima di Levi, quella vergogna la denunciò Zanardelli nel 1902 e di quella miseria parlò Francesco Saverio Nitti nel 1910 nella commissione parlamentare di inchiesta sulla condizione dei contadini meridionali. Il Cristo certificò al mondo sia l’esistenza storica che geografica della Lucania.

Eppure oggi i famosi Sassi di Matera sono abitati dai notabili della città, non più dai contadini, ci sono alberghi a centinaia di euro a notte.  Oggi è tutto capovolto. Ai contadini hanno rubato finanche le case. Ma i sassi li hanno scavati i contadini, non sono un’invenzione delle archistar. I Sassi nel 1993 verranno, giustamente, consacrati dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità. Comincia così la mitizzazione storico culturale dei Sassi, finendo con l’oscurare la tragedia sociale e umana che quei luoghi testimoniavano.

La parola d’ordine sembra essere: dobbiamo essere i primi!  Costi quel che costi. La classe politica e dirigente ha caparbiamente utilizzato gli ultimi ottant’anni a rincorrere tutti i primati possibili ed anche impossibili.

Ma la Basilicata non è solo Matera, la Basilicata è un territorio complesso e articolato. Già negli anni ’20 del secolo scorso, il grande linguista Gerard Rohlfs si era accorto dell’importante e variegata realtà linguistica. E questo lo sa bene Patrizia Del Puente, professoressa ordinaria di Glottologia e Linguistica, che si è trasferita in Basilicata per continuare quella ricerca. Studia i dialetti da vent’anni e ci racconta, con il suo Atlante linguistico della Basilicata, quanto siano poliedriche le nostre origini, ci ha preso per mano e guidato in un mondo sconosciuto a molti lucani. Un lavoro immenso sulle radici e sull’identità di una regione che viene ostacolato dalla politica, ma questa è un’altra storia.

Una medaglia d’oro non si nega a nessuno

Tutto partì nel 2008 quando si cominciò a preparare il dossier per presentare la candidatura di Matera a capitale europea della cultura. Bisognava raccontare Matera al mondo intero.

Dopo una prima commemorazione nel 1944, a un anno di distanza, seguiranno anni di silenzio e di disattenzione interrotti solo grazie alla pubblicazione di un articolo di Carlo Levi, Tre ore a Matera. Questa è la svolta decisiva. Quell’articolo, ci racconta Caserta, è “un bel pezzo di letteratura, com’era, del resto, nello stile e nella poetica di Levi”.

Quindi fu Carlo Levi nel 1952, romanzando i fatti ascoltati da un emigrato materano a New York che nel 43 era già bello e partito per l’America, a dare la svolta decisiva al racconto di quei fatti. Con un lungo articolo dove spiega in modo romanzato fatti che non conosce. Ma noi sappiamo quanto bene volesse alla Basilicata Levi e quanto ne volesse ai contadini di cui si è fatto interprete storico svelandone le condizioni al mondo intero. Con il Cristo ci descrive fuori dal tempo e dalla storia, e nelle Tre ore a Matera ci fa ritornare nel tempo e nella storia.

Nel saggio di Caserta del 2008 c’è tutto ciò che sarebbe bastato a mettere la parola fine a una vicenda che è andata avanti per anni, restituendo il giusto peso, e il giusto senso, a quegli accadimenti dolorosi, la strage per mano nazista prima che i militari tedeschi abbandonassero la città al suo destino.

I lucani non si arrendono mai. Una medaglia richiesta con insistenza da decenni per i fatti avvenuti a Matera il 21 settembre 1943. Una circostanza “storica” raccontata da più parti e con versioni diverse e spesso inverosimili. Il 23 gennaio scorso su queste pagine è stata pubblicata la recensione del librodello storico Giovanni Caserta, “Dalla cronaca alla storia”, che analizza fatti, circostanze e argomenti di un episodio trasformato negli anni in presunta “insurrezione dei materani contro i nazifascisti” . Circostanza quest’ultima costruita caparbiamente attraverso decenni di narrazione politica nel quadro di una cultura orale che ha alla base il principio per cui una favola ripetuta all’infinito diventa una verità.

Già nel 1969 Matera ottenne la medaglia d’argento al valore militare. Con quel riconoscimento è stato certificato un episodio nei fatti ambiguo, che ha, però, aperto la strada alle ripetute richieste della medaglia d’oro al valor civile, richieste sempre fortemente appoggiate dalla politica. Senza che vi fossero state significative novità sul piano storiografico, accadde allora che il mito venisse consacrato e pubblicamente legittimato nella manifestazione ufficiale del 21 settembre 1969 alla presenza del ministro della Difesa l’onorevole Gui e dell’onorevole Emilio Colombo.

Nel 2009, per iniziativa dei senatori Antezza, Bubbico e Chiurazzi viene presentato in Senato un disegno di legge per il conferimento al Comune di Matera della medaglia d’oro al valore civile “per il comportamento eroico ed umanitario dei propri cittadini durante i tragici eventi del 21 settembre 1943”.

Ci riprovano, il 22 dicembre 2014, con una proposta di legge alla Camera della deputata Antezza, a circa due mesi di distanza dalla proclamazione di Matera Capitale Europea della Cultura. La relazione della parlamentare materana, è una fotocopia di quella del 2009 presentata al Senato.

Curioso il contenuto delle relazioni a sostegno delle proposte di legge, articolate con enfasi, affermazioni retoriche e spesso inesatte. Si parla di una città “insorta contro i tedeschi”, “la prima nel Mezzogiorno e prima dell’insurrezione napoletana del 28 settembre ‘43”. Viene il capogiro a leggere la sequenza, ma la cosa più sorprendente è trovare, nella scarna bibliografia a sostegno della richiesta, il libro di Giovanni Caserta “Dalla cronaca alla storia – 21 settembre 1943, un libro che sostiene esattamente il contrario della tesi dei parlamentari. Tuttavia, i parlamentari lucani lo inseriscono lo stesso.

Si rivendica la medaglia d’oro con la solita retorica del vittimismo di chi avrebbe subito “un’ingiustizia”: perché a Napoli sì e a Matera no? Il paragone tra le ore convulse di Matera del 21 settembre e le quattro giornate di Napoli del 28 settembre è una forzatura assurda. Si mette a confronto un episodio sporadico, un incidente casuale come accadde a Matera, con una sollevazione popolare armata e organizzata, durata fino alla cacciata dei tedeschi a Napoli. Cosa ci vogliono dire, che i materani sono stati più capaci ed hanno impiegato poche ore a “liberarsi” e invece i napoletani 4 giorni?

Può consumarsi in meno di due ore una lotta armata contro l’esercito tedesco? Può essere intesa la costellazione, non preordinata, delle azioni commesse in quelle ore e delle scelte compiute come un’insurrezione? Un conto è riconoscere il carattere di strage a quell’evento luttuoso, altro è definire la sequenza di atti e azioni di quelle ore nei termini di una “lotta armata”, come viene definita nelle proposte di legge.

Tuttavia i fatti, come ha ben spiegato Giovanni Caserta – che certamente è un antifascista – nel suo libro, raccontano una storia diversa. Fatti che, seppure tragici, non giustificano la medaglia d’argento al valor militare e ancor meno quella d’oro al valor civile.

Ho fatto una ricerca, pur non essendo una storica di professione e sono andata indietro nel tempo per capire perché la Commissione del tempo non ritenne quell’episodio un atto d’insurrezione e di liberazione.

Già nel 1949, l’onorevole lucano Gaetano Ambrico fa richiesta della medaglia e interroga il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno “per conoscere se intendono conferire al popolo di Matera che, primo nell’Italia meridionale, seppe dar prova di patriottismo, cacciando i tedeschi e pagando con 24 vittime della barbaria teutonica la sua ferma volontà di liberazione”. Sarà il ministro della Difesa, Randolfo Pacciardi, a rispondere nella seduta alla Camera del 14 novembre dello stesso anno. Dopo una disamina puntuale degli accadimenti e le precisazioni del caso, che il lettore può verificare leggendo l’atto parlamentare, il ministro conclude: “la competente Commissione non ritiene che vi siano gli elementi che giustifichino la concessone di una ricompensa al valore alla Città, in quanto, come risulta dai fatti sopra esposti, la reazione della cittadinanza non assunse un aperto e generale atto di ribellione, ma solo sporadiche e limitate reazioni di autodifesa di persone isolate o di piccoli gruppi”. Qui il documento originale

Fatto sta che dopo 73 anni, nel 2016, Matera diventa medaglia d’oro al valore civile o, se volete, medaglia d’oro ai valori della Resistenza. Un successo politico per interessi politici, un’altra ricompensa che si aggiunge al riconoscimento, nell’ottobre 2014, di Matera Capitale Europea della Cultura. Una cosa è certa, oltre la tragedia, oltre quelle drammatiche ore, il 21 settembre del 1943 a Matera non c’è stata alcuna insurrezione popolare contro il nazifascismo o contro l’occupante tedesco tra l’altro alleato fino all’8 settembre.

I conti con la storia

Con quella medaglia, Matera fascista chiuderà con il fascismo senza fare i conti con il fascismo, come accadde in tutto il Paese con o senza medaglie. Con tutte le risorse impiegate nel recupero dei Sassi e con le altre ricompense, chiuderà con la “vergogna nazionale”, ma non farà mai i conti con la miseria né con i responsabili di quella miseria e di quella vergogna. Dov’erano i borghesi e i notabili”, i latifondisti della città del piano, quelli che gestivano il potere, quando migliaia di materani vivevano come bestie ammassate e affamate nelle caverne dei Sassi? Dov’erano questi signori quando in quel famoso 21 settembre si sentirono sparare dei colpi d’arma da fuoco? E soprattutto dov’erano durante il regime fascista? Si nascosero nei sassi, ci racconta Giovanni Caserta, lui che in quei sassi ci è nato e cresciuto.

All’indomani dell’attribuzione della medaglia d’oro così si esprimerà Giovanni Caserta sui giornali locali: E così Matera è medaglia d’oro ai valori della Resistenza. Il riconoscimento arriva con un ritardo impossibile di 73 anni. Qualche città, a questo punto, potrebbe ambire ad una medaglia d’oro ai valori del Risorgimento. […] L’annuncio viene puntualmente accompagnato dalla notizia che la pratica fu rivista e fatta propria dal sindaco Salvatore Adduce (PD), che ne dette incarico all’on. Bubbico (PD), sottosegretario agli Interni, il quale ne fece edotto il ministro Alfano (ma di quale partito?). Oggi la città di Matera e la sua classe politica hanno doveri verso la nazione, verso la regione e soprattutto verso la comunità, molto più impegnativi. […] Devo anche dire con franchezza che, nella lotta al fascismo e al nazismo, non vedo inferiore la sollevazione di Rionero, dettata dalla fame. Ancor di più mi affascina la Repubblica di Maschito, che, dopo la caduta del fascismo e dopo l’armistizio, durata appena dal 15 settembre 1943 al 10 ottobre 1943, si dette un primo sindaco contadino e analfabeta. 

Narrazione tossica e domande senza risposta

Ci sarebbe anche da chiedersi come mai Rocco Scotellaro non parli di quel 21 settembre 1943. Nessuno degli storici e ricercatori dell’Unibas si fa questa domanda? Perché nessuno di loro ha fatto chiarezza su quella vicenda approfondendone gli aspetti più controversi e fornendo finalmente una versione storiograficamente accettabile? Anzi qualcuno lo fa, Donato Verrastro dell’Unibas si presta nel racconto orale in una trasmissione di Rai Scuolae ripercorre le vie di Matera con una scolaresca, telecamere al seguito, per convincere gli studenti e i telespettatori che Matera è la prima città del Mezzogiorno ad essere insorta contro il nazifascismo. Perché Verrastro non ha scritto un libro?

Forse perché quella narrazione inverosimile del 21 settembre ’43 a Matera, che ha consentito il conferimento della medaglia d’oro al valore civile, ha invaso il web, la Tv, i giornali, le piazze. Persino Giovanni Floris nella sua trasmissione su La7 afferma che Matera è stata la prima città del Mezzogiorno ad insorgere contro i nazifascisti. Lo avrà letto anche lui su Wikipedia? Chi ha avuto interesse a creare pagine web in cui si scrive che Matera è la prima città del Mezzogiorno d’Italia ad essere insorta contro il nazifascismo?

Cos’è una narrazione tossica?  Si prende una storia che sia comprensibile a tutti, la si decontestualizza e semplifica, manipolandone così il contenuto e farlo diventare un quesito esistenziale. Parte così il sistema comunicativo di narrazione e contro-narrazione, generando due fazioni opposte. A quale fine? Al fine di dimostrare che siamo “figli della storia” anche noi.

È il segreto del racconto orale, ripetuto all’infinito, tanto chi studia più la storia? Ebbene, la sensazione è che nel caso materano, siamo di fronte a una narrazione tossica caratterizzata da più elementi in base alla provenienza, alla convenienza, allo spessore culturale del narratore: dolo, indolenza, consapevolezza. Ed è una faccenda, la tossicità della narrazione, che riguarda tutta la Basilicata, da sempre: semplificare, non verificare, manipolare, mentire, perseverare. Sono tutte tecniche che minano la salute della struttura cognitiva collettiva, che bloccano qualunque possibilità di sviluppo del pensiero e del pensiero critico.

“Noi siamo stati vittime di una maledizione negli anni ‘50” questo il refrain di gran parte della classe politica della Basilicata. La parola chiave è dunque “vittimismo”, quella particolare condizione della personalità collettiva di sentirsi vittime di azioni lesive da parte di altri, anche quando le prove del contrario sono evidenti.

Chi è rimasto fuori dal tempo e dalla storia in Basilicata è proprio la classe politica, e non solo, che ha costruito quella narrazione, insieme con il giornale redivivo, La Gazzetta del Mezzogiorno, che dà voce al cappellismo provinciale. Non è stato Carlo Levi ma la classe politica della Basilicata nel suo “immoto andare” a bloccare il futuro in un eterno passato.

A che servono le medaglie? Ecco, ora è più chiaro, servono a non fare i conti con la storia. Che valore ha una medagli conferita a distanza di 73 anni dai fatti? A che serve vincere, arrivare primi se dopo 72 anni lo scorcio dei Sassi immortalato dal grande fotografo Henri Cartier-Bresson nel 1951 è ancora un cantiere a cielo aperto? Di chi è la responsabilità?