Matera, cinquant’anni fa lo studio sullo stato di conservazione dei Sassi: irrisolte alcune criticità
L’associazione Energheia lo rende digitale. Rimangono irrisolte le numerose discontinuità dell’ammasso calcarenitico che possono creare non pochi problemi di instabilità dei versanti più esposti
Cinquant’anni fa, in occasione del concorso internazionale, veniva pubblicato lo “Studio geologico tecnico e stato di conservazione dei Sassi di Matera” a cura del prof. Vincenzo Cotecchia, l’associazione Energheia lo rende digitale. Di seguito la nota di Michele Morelli dell’Associazione Energheia.
Il professore Vincenzo Cotecchia è stato un ingegnere e geologo che ha applicato all’ingegneria metodi e conoscenze naturalistiche, geostrutturali, geomorfologiche, petrografiche e geomeccaniche sia cimentandosi nell’attività professionale di alto livello sia trasferendo il bagaglio dell’esperienza
acquisita nella ricerca scientifica e nella didattica e alta formazione. Pioniere in Italia della geologia applicata all’ingegneria. Il testo che Energheia si appresta a pubblicare ne è la dimostrazione. Il professore Cotecchia ha sempre sottolineato la necessità di approfondire la conoscenza della geologia applicata all’ingegneria e di ampliarla all’idrogeologia, alla stabilità dei pendii, alla meccanica delle rocce e alla geotecnica. Una visione complessiva difficile da trovare in altri specialisti del settore.
Nello studio, pubblicato in occasione del concorso internazionale dei Sassi, vengono analizzate le caratteristiche geologico-tecniche degli antichi rioni rupestri della città di Matera. Lo studio analizza i seguenti ambiti: stratigrafia, tettonica, morfologia e topografia, meccanica delle rocce, dissesti dei manufatti e stabilità degli stessi, stato di conservazione in genere e condizioni igienico-sanitarie dei Sassi.
I Sassi occupano la parte alta del versante destro della stretta e profonda Gravina di Matera, costituito da calcareniti quaternarie in trasgressione sui calcari mesozoici di base. Sede di “stazioni preistoriche” e parzialmente abitati già in età romana ed ellenistica, offrono un classico esempio di come nel tempo, sotto la spinta dell’espansione demografica e di complessi fattori socio-economici, un impianto “urbano” si modifica nelle sue strutture e nei suoi confini. I Sassi devono l’originalità della loro fisionomia essenzialmente alla costante tendenza dell’uomo di adattare il tessuto urbano alle caratteristiche fisiologiche del territorio preesistente modellandolo, se necessario, alle proprie esigenze. Nel modellamento molto spesso irrazionale e nell’espansione sempre disordinata e priva di scelte ingegneristiche, scrive il Prof. Cotecchia, va ricercata la causa prima dei gravi dissesti statici che hanno colpito e colpiscono i manufatti dei Sassi.
L’aspetto peculiare del tessuto edilizio sta nel modo con il quale strutture e manufatti poggiano sulla superficie o si inseriscono nel sottosuolo di terrazze strette e sovrapposte, ottenute con tagli in roccia verticali e subverticali, con spianate e talora con parziali colmate. In gran numero grotte, cisterne d’acqua, manufatti d’ogni tipo, dimensione ed epoca sono scavati o poggiano sulla calcarenite di ciascuna terrazza. L’analisi stratigrafica rileva un assortimento granulometrico ampiamente variabile da punto a punto, messa in risalto dall’erosione differenziale che gli agenti idrometeorici operano sulle superfici. Lo studio delle caratteristiche tettoniche della zona nei calcari di base, secondo il Prof. Cotecchia, rispecchia abbastanza fedelmente quello regionale. I calcari si presentano in genere molto fessurati. Anche la formazione calcarenitica mostra d’essere stata interessata da faglie. In particolare, il Prof. Cotecchia individua quattro faglie, la più significativa sembra essere quella della
Civita.
Il torrente Gravina di Matera, con la sua valle stretta, profonda e sinuosa, costituisce l’elemento fisiografico che condiziona la morfologia dell’intera zona. Il versante destro (quello dei Sassi), la sua attuale configurazione a gradinate multiple, con pareti ovunque verticali e subverticali allungate in genere grosso modo parallelamente alla Gravina, è essenzialmente il risultato, secondo il Prof. Cotecchia, dell’opera dell’uomo.
Per quanto riguarda le caratteristiche geomeccaniche della calcarenite, lo studio evidenzia la presenza di discontinuità nell’ammasso roccioso.
Il susseguirsi ed il sovrapporsi alla rinfusa, senza alcun ordine apparente, di innumerevoli tagli in roccia, terrapieni, cisterne di acqua, grotte ed edifici lasciano chiaramente intendere come, più che a precise scelte ingegneristiche ed architettoniche, le numerose espansioni subite nel tempo dell’area urbana ed i rinnovamenti verificatisi nel tessuto edilizio preesistente siano stati dettati sempre da esigenze di carattere squisitamente economico ed accompagnati da progressivi rimodellamenti della superficie del terreno, nonché dalla realizzazione di opere e strutture in sotterraneo.
Oggi ben poche tracce rimangono del primitivo aspro paesaggio descritto in antichi documenti, fatto di grossi spuntoni di roccia, affioranti qua e là e variamente modellati dall’erosione idrometeorica e delle acque incanalate, e di ciclopici macigni distaccatisi dalle parti sommitali del pendio. Un aspro paesaggio marcato da un regime torrentizio abbondantemente alimentato, durante le piogge, dalle acque di ruscellamento superficiale provenienti dalle collina del Castello, della Nera e della Macamarda.
La fognatura dei Sassi è quasi dappertutto di tipo misto smaltisce anche le acque di tutta la parte della città che gravita a ridosso degli antichi rioni. Si concentra in due collettori principali che, correndo a mezza costa sulla sponda destra del Torrente Gravina di Matera, scaricano le acque a valle del centro abitato. Tutta la fognatura è in stato di conservazione precario, con perdite diffuse un po’ dappertutto. L’acquedotto presenta perdite diffuse, e l’inefficienza del sistema, scrive il Prof. Cotecchia, compromette la stabilità del tessuto urbano.
Fogna a cielo aperto nella Gravina
I manufatti dei Sassi sono interessati da dissesti statici di vario tipo ed entità, le condizioni statiche delle grotte sono ovunque decisamente migliori.
Lo studio evidenzia che le discontinuità sviluppantisi in prossimità del bordo della Gravina e dei grabiglioni sono quelle maggiormente aperte o che comunque tendono ad aprirsi. E’ interessante notare che anche le lesioni di distacco, presenti nelle murature degli edifici e la direzione di ribaltamento dei manufatti o di parte di essi, risentono del “richiamo” esercitato dal vuoto prodotto dalla Gravina e dai grabiglioni. I dissesti derivanti dall’opera dell’uomo, i più significativi, che agiscono come causa sia ricorrente che contingente, secondo il Prof. Cotecchia, si possono addebitare a difetti di costruzione dei tessuti edilizi. Il tessuto edilizio – nel quale tra l’altro rientrano anche le grotte, i tagli in roccia, le colmate ed i rilevati, le opere di fognatura e di acquedotto – rappresenta nella maggior parte dei casi la causa prima, determinante dei dissesti. I vuoti dovuti a grotte e cisterne, secondo il Prof. Cotecchia, determinano complesse distribuzioni e concentrazioni di sollecitazioni, difficilmente valutabili. In talune zone il rapporto vuoto – pieno raggiunge valori anche dell’ordine del 50%. In ogni caso, a meno che non intervengano altre circostanze (infiltrazioni d’acqua, orientazione sfavorevole delle fratture, ecc.), la presenza di una grotta difficilmente da sola è causa di gravi dissesti.
Lo studio mette in evidenza l’importanza del corretto smaltimento delle acque (sia bianche che nere) ai fini della conservazione dei Sassi in quanto, è bene sottolinearlo, le infiltrazioni di acque nel sottosuolo costituiscono una continua e seria minaccia per la stabilità dei Sassi. A tal proposito lo studio segnala la necessità di realizzare adeguate opere a seconda che si tratti dello smaltimento delle acque nere o di quelle bianche. Risulta estremamente urgente provvedere alla raccolta ed allontanamento delle acque pluviali da tutta la zona, mediante canalizzazioni e fogne che evitino nel modo più assoluto e scrupoloso le infiltrazioni ed i ristagni di acqua.
Per quanto riguarda le cisterne, lo studio raccomanda di evitare accumuli d’acqua senza prima verificare lo stato di conservazione dell’ammasso tufaceo. I distacchi dei blocchi rocciosi elementari (che a loro volta sono determinati dalla spaziatura e dall’estensione dei piani di frattura), dipendono da molteplici fattori: dalla posizione spaziale dei piani di discontinuità rispetto al pendio ed alle sollecitazioni su di essi agenti, dall’entità e dal modo con cui i carichi applicati agiscono, dalla maggiore o minore rugosità dei piani dei giunti , dalle proprietà meccaniche della roccia e dalla natura dell’eventuale materiale di riempimento delle fratture.
Particolarmente importante, secondo il Prof. Cotecchia, è la risultante delle pressioni idrauliche che l’acqua di infiltrazione esercita nei giunti. Le forme di dissesto che si osservano su entrambi i versanti in calcarenite della Gravina sono riconducibili essenzialmente a crolli ed a scivolamenti di blocchi di varie forme e dimensioni. I crolli, che come è noto, sono fenomeni discontinui caratterizzati da una rottura relativamente brusca e da un moto con forte accelerazione iniziale, sono determinati dal distacco di masse rocciose di norma sporgenti, già sottoposte a sforzi di trazione cd interessate dall’innesco di una fessurazione fortuita e rapidamente estesasi. Lo scalzamento al piede del pendio o della scarpata è prodotto vuoi dall’erosione fluviale vuoi dall’erosione idrometeorica, vuoi dall’uomo. In qualche caso, essi sono conseguenti a scivolamenti avvenuti nel sottostante pendio. Sul versante sinistro della Gravina, segnala lo studio, gli scivolamenti di tipo a blocco sono più frequenti e coinvolgono maggiori volumi di roccia. Le condizioni di stabilità del versante in calcarenite della Gravina, direttamente ed indirettamente interessato dai Sassi, possono e devono essere migliorate facendo ricorso ai molteplici moderni sistemi di intervento.
L’analisi del Prof. Cotecchia si conclude con l’invito ad approfondire le diverse problematiche ai fini dell’adozione di tecnica operativa in grado di stabilizzare i fenomeni di dissesto. Lo studio di dettaglio, condotto sullo stato e sulle caratteristiche di fratturazione della calcarenite e sugli scivolamenti cinematicamente possibili, fornisce tutti quei dati e quelle informazioni di base indispensabili per impostare un razionale progetto di intervento e per un’oculata scelta delle tecniche da adottare.
La recente chiusura precauzionale del sentiero 406, che collega i Sassi al prospicente altopiano, sta a significare con quanta superficialità e leggerezza si è intervenuti nel recente passato realizzando opere (ponte sospeso e passerelle in acciaio lungo il percorso) senza aver analizzato i tanti fenomeni di
dissesto lungo il percorso (come la mancata bonifica della vecchia discarica di porta Pistola che rende inutili i ripetuti interventi di sistemazione del sentiero). Blocchi in scivolamento e muri di sostegno di terrazzamenti prossimi al collasso noti da tempo, segnalati anche dal Prof. Cotecchia nel lontano 1973.
A cinquant’anni dallo studio molto è stato fatto, molto resta da fare. In moltissimi ipogei continua a piovere, così come le acque bianche continuano a scorrere con le nere creando continui sovraccarichi degli impianti di sollevamento provocando sversamenti diretti nel torrente. Rimangono irrisolte le
numerose discontinuità dell’ammasso calcarenitico che possono creare non pochi problemi di instabilità dei versanti più esposti. Forse è il caso, dopo cinquant’anni, di aggiornare lo studio del Prof. Cotecchia e programmare opere necessarie, evitando inutili forzature, prima che sia troppo tardi.