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“Neanche il permesso per piangere mio figlio”

21 marzo 2023 | 18:57
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“Neanche il permesso per piangere mio figlio”
Tina, lavoratrice Tis

La storia di Tina, lavoratrice precaria di Ferrandina, che rientra nel progetto regionale Tis. “Non abbiamo diritti, nè ferie. Quando è morto il mio angelo non ho avuto neanche il tempo di elaborare il lutto”

“Mamma non mi abbandonare, mi disse mio figlio, ma fu l’ultima volta che gli parlai. Quella sera era in un letto di ospedale”. Dopo due settimane il giovane Alessio, a soli 19 anni, spirò, in terapia intensiva, all’ospedale San Carlo di Potenza per le conseguenze di una endocardite che non gli lasciò scampo. Era novembre 2020. E la madre, Tina, lavoratrice Tis (tirocini di inclusione sociale) vive col rimpianto di non essergli stata vicino in quelle ultime settimane di vita.

“Una mattina mi chiamarono dal San Carlo per chiedermi il consenso per una tracheotomia che si era resa necessaria, e mentre mi chiamavano, io lavoravo, perché non puoi lasciare, non hai permessi, non hai nulla”. Un dolore “indescrivibile” il suo, reso ancora più atroce da un’occupazione, quella coi Tis, che non conosce permessi, ferie, malattie, infortuni. “Ci pagano a giornate, ore, firme quotidiane, e per ogni giornata che saltiamo, va tutto a sottrarsi alla paga da fame che riceviamo”.

Tina cura il verde pubblico in una villa comunale di Ferrandina e segue il percorso dei Tirocini regionali da ormai 14 anni. “Dovevamo partire con dei tutor e con una formazione per inserirci nel mondo del lavoro  – spiega – ma ciò non è mai accaduto”. E’ una sorte che condivide con altri 1800 lavoratori atipici lucani, tra Tis e Rmi (reddito minimo di inserimento) che si battono per essere ‘stabilizzati’ dalla Regione e che hanno allestito da un mese dei gazebo proprio davanti al Palazzo regionale, a Potenza, per far sentire la propria voce. “Da quando sono entrata in questo percorso ho solo e sempre lavorato, non ho mai avuto un tutor e le cose sono rimaste sempre così”. La paga è di “580 euro al mese per noi del Tis  – chiarisce – e non c’è mai una data fissa in cui ti pagano. Siamo quasi a fine marzo e ancora dobbiamo ricevere la mensilità di febbraio”.

Ma sono i diritti a mancare, vergognosamente. “Anche dopo aver subito la perdita del mio povero angelo, non ho avuto neanche il tempo di elaborare, dovevo andare al lavoro per non perdere giornate e non vedermi decurtare la paga. Ho altri 3 figli da crescere e sono una madre sola”.

Zero diritti, quindi, paga a giornata e “tanto rammarico per non aver potuto assistere mio figlio prima che se ne andasse. Certo, se avessi saputo…”. Ma Tina si fa forza per non far mancare nulla agli altri figli di cui uno ancora piccolo. “Quando è nata l’ultima bimba la portavo col passeggino nella villetta che pulisco. Veniva con me, anche pochi giorni dopo il parto dovevo lavorare se volevo mangiare, non avevo diritti”. E “quante rinunce”, sottolinea. Alcune volte “anche per comprare un piao di scarpe ai ragazzi, dico loro che se ne parla il mese prossimo. Pensate che sia bello per un genitore non poter accontentare un figlio?” Ma intanto “il lavoro chiama e ogni giorno non lavorato è un paio di scarpe in meno, anzi un pezzo di pane in meno”. Già, perché anche per mangiare non è semplice “…ma lasciamo perdere. Alcune volte si ricorre anche ai pacchi della Caritas, sennò come fai. Vorrei cambiare lavoro, ma chi mi prende. Ci sono problemi coi giovani qui in Basilicata, figuriamoci per chi ha passato i 50”.

Ma il cruccio più grande resta quello di non essersi potuta fermare neanche dopo la dolorosa perdita del suo “angelo”. Infine si rivolge ai vertici regionali e all’assessore  Galella: “Ma a voi sembra normale un lavoro del genere, e se fosse un vostro familiare a operare nelle nostre condizioni, non fareste lo stesso nulla per cambiare le cose?”.