Autonomia differenziata e Unità d’Italia sono un ossimoro

17 marzo 2023 | 15:29
Share0
Autonomia differenziata e Unità d’Italia sono un ossimoro

Oggi il 162esimo anniversario della nascita dello Stato Italiano: il presidente Mattarella dica qualcosa

Oggi è il 162 esimo anniversario dell’Unità d’Italia e quale migliore occasione per i sindaci e i movimenti contro l’autonomia differenziata per manifestare proprio oggi a Napoli il dissenso rispetto al DDL Calderoli.

Dissenso che nasce innanzi tutto per alcuni aspetti di violazione della costituzione, ma su questo lascio la parola ai tanti che ne sanno più di me, ma ci sono altri temi, a mio modo di vedere, più rilevanti dell’attacco alla costituzione perché prima di questa si mette in discussione il Patto Unitario e i diritti fondamentali dell’Uomo secondo la Carta Europea dei Diritti Fondamentali.

Discriminazione territoriale 1: i LEP

Il DDL Calderoli sulla autonomia differenziata rispetto al precedente DDL Gelmini, e all’accordo preliminare del governo Gentiloni, supera il costo storico, come criterio per la distribuzione delle risorse pubbliche tra le regioni, con l’introduzione dei LEP (Livelli Essenziali di Prestazione), e non è poco.

Infatti all’articolo 2 si legge che l’attribuzione di funzioni relative a materie riferibili ai diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei relativi LEP.

Secondo SVIMEZ il finanziamento dei LEP così definiti vale almeno 100 miliardi di euro anno.

Se SVIMEZ ha ragione, questo implica che per garantire gli stessi diritti di cittadinanza in tutte le regioni occorrono 100 miliardi anno e questo significa che fino a quando non si metteranno sul tavolo questi soldi ci saranno regioni dove questi diritti civili e sociali non saranno garantiti e che fino a ora non lo sono stati. E da quando? 162 anni? Siamo quindi in presenza di una discriminazione su base territoriale rivolta contro una minoranza della popolazione italiana? Si tratta di una violazione dei Diritti dell’Uomo previsti dalla relativa convenzione Europea (Titolo I art. 14) e garantiti  dalla Corte di Giustizia per i Diritti Umani? (CEDU)

Discriminazione territoriale 2: il PNRR 

La finalità che ha portato l’Unione Europea alla distribuzione dei fondi NGEU tra i vari paesi europei è la diminuzione dei divari economici tra i paesi membri.

Per la ripartizione dei fondi del PNRR in Italia non si è adottato alcun criterio oggettivo e tantomeno quelli utilizzati dalla UE. Anche qui c’è una discriminazione frutto di una prepotenza del Nord e senza nessuna base razionale nella ripartizione dei fondi (perché il 40% e non il 30, il 20 o il 60 o il 90%)? Da rilevare che a tutela dei diritti dei cittadini in questo caso c’è la Corte di Giustizia Europea che ha come ruolo quello di ‘garantire che il diritto dell’UE venga interpretato e applicato allo stesso modo in ogni paese europeo, garantire che i paesi e le istituzioni dell’Unione rispettino la normativa dell’UE’. È il caso che i cittadini ricorrano alla Corte di Giustizia Europea?

Discriminazione territoriale 3: se parte il Nord parte il Paese (fake!) 

Secondo quanto si legge nella Storia della Basilicata di Cestaro – De Rosa gli eroi risorgimentali Albini, Racioppi, D’Errico volevano la caduta dei Borbone per l’assenza di infrastrutture pubbliche, in particolare l’assenza di una via di collegamento veloce tra lo Ionio e il Tirreno. I contadini invece ebbero la promessa della quotizzazione delle terre cosiddette usurpate e la fine dei diritti feudali. Ancora oggi, dopo 162 anni, manca un collegamento veloce tra lo Ionio e il Tirreno, la costruzione della ferrovia Salerno – Reggio Calabria iniziò 30 anni dopo l’unità d’Italia tanto che Zanardelli restò colpito dal fatto che ancora nel 1902, 41 anni dopo l’Unità, la Basilicata si attraversasse a dorso di mulo.  Nel mentre il resto del Paese correva e la quotizzazione delle terre ci fu nel 1950, 90 anni dopo l’Unità, quando ormai il Paese si lasciava dietro il suo passato contadino e iniziava lo sviluppo industriale, per precisa scelta politica solo al Nord. Negli anni ’80 si cercò una tardiva, e quindi inutile e fallimentare, industrializzazione del Sud quando il mondo mutava pelle con lo sviluppo dei servizi e la globalizzazione. Quando poi si pensò di fare un minimo di infrastrutture al Sud, come con la Lauria – Candela, occorreva entrare in Europa e non se ne fece nulla. Negli ultimi venti anni la follia liberista, che ancora ci pervade, ha messo in crisi anche il Nord, che pensa ancora una volta di sfangarla a spese del Sud.

Oggi ci sono tre regioni italiane, Sicilia Calabria e Campania che sono tra le dieci regioni europee con la più alta percentuale di popolazione a rischio povertà. Nel numero 663 del 2012 dei Quaderni del dipartimento di Economia e Statistica della Università di Pisa, non propriamente un sito Neoborbonico, si legge che fatto 100 il PIL pro capite medio italiano nel 1871 la Campania era a 107, la Sicilia a 94 e la Calabria a 69. Nel 2019 secondo i dati Eurostat la Campania è a 64, la Sicilia a 62 e la Calabria a 67. La conclusione possibile è una sola: le classi dirigenti e politiche che si sono susseguite hanno peggiorato, significa: e quindi fatto peggio, il lascito dei Borbone e che lo Stato al Sud è ASSENTE da 162 anni e che mentre i politici e la classe dirigente del Nord non si è mai vergognata di difendere i propri interessi quella del Sud invece si vergogna di difendere gli interessi della propria terra.

Lo si vede chiaramente oggi dove a partire da Bardi per passare a Occhiuto, Emiliano, De Luca e compagnia cantando privilegiano gli interessi del proprio partito rispetto a quelli del proprio territorio.

Discriminazione territoriale 4: il residuo fiscale

Spesso si fa riferimento al residuo fiscale per giustificare la richiesta di maggiori risorse pubbliche ove c’è maggiore produzione di PIL. Come noto, ma non a Calderoli, a Meloni e alla Lega, il residuo fiscale fu definito dal premio Nobel nel 1986 James Buchanan nel suo libro ‘Federalism and Fiscal Equity’ come differenza tra quanto ogni singolo individuo paga allo Stato sotto forma di imposte e quanto riceve in termini di servizi e prestazioni. Per un insieme di cause in alcune zone si concentrano individui con maggiore residuo fiscale. Se si appartiene però ad una unica comunità politica ogni cittadino che si trasferisce da una parte all’altra di questa comunità, a parità di reddito, ha il diritto di mantenere lo stesso residuo fiscale. Tradotto se un pensionato di Milano decidesse di trasferirsi a Napoli avrebbe diritto ad avere gli stessi servizi sanitari, di trasporto eccetera, ma non è così. Il residuo fiscale, così come definito in dottrina economica, rappresenta un diritto individuale non regionale contrariamente alla vulgata. Affermare invece quello che si afferma normalmente non solo mette in discussione, proprio per questo principio, l’Unità Nazionale, ma rappresenta anche il perpetrarsi di una menzogna comune: che la spesa pubblica sia superiore al Sud che al Nord. In realtà la spesa pubblica nel Mezzogiorno è di circa 5.000 euro pro capite inferiore rispetto al Nord Ovest e già oggi, con un coefficiente di correlazione di 0.79, la spesa pubblica è maggiore dove maggiore è il PIL. Le regioni dove maggiore è la spesa per la coesione sociale sono: il Lazio, 3.042 euro pro capite, il Trentino Alto Adige, 2.900, Il Piemonte, 2.698, la Valle D’Aosta, 2.070 e il Friuli Venezia Giulia con 1.869 euro pro capite. In fondo alla classifica ci sono: la Sicilia, con 1.492 euro pro capite, la Calabria, 1.420, Il Veneto, 1.365, la Puglia, 1.256 e dulcis in fundo la Calabria con 1.227 euro pro capite (i dati sono ottenuti incrociando i dati INPS con quelli dei CPT).

L’attacco alla unità nazionale

In base alla scellerata riforma del Titolo V, promosso dall’allora governo Amato, uno dei salvatori della Patria insieme a Monti e Draghi che, a mio documentato modo di vedere , la Patria l’hanno invece distrutta, le materie su cui si può chiedere l’Autonomia Differenziata sono:

  • Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
  • Commercio con l’estero;
  • Tutela e sicurezza del lavoro;
  • Istruzione (fatto salvo per l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con l’esclusione dell’istruzione e della formazione negli istituti scolastici professionali);
  • Professioni;
  • Ricerca scientifica e tecnologica;
  • Sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
  • Tutela della salute;
  • Alimentazione;
  • Ordinamento sportivo;
  • Protezione civile;
  • Governo del territorio;
  • Porti e aeroporti civili;
  • Grandi reti di trasporto e di navigazione;
  • Ordinamento della comunicazione;
  • Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
  • Previdenza complementare e integrativa
  • Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
  • Valorizzazione dei beni culturali e promozione e organizzazione di attività culturali;
  • Valorizzazione dei beni ambientali;
  • Casse di risparmio e casse rurali;
  • Aziende di credito a carattere regionale;
  • Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

E se tutte le regioni la chiedessero e su tutte le 23 materie previste? Basterebbe un minimo di capacità intellettive da quinta elementare e di onestà intellettuale per capire che saremmo in presenza di una mutazione della forma dello Stato, ove non si capisce più né il senso dello Stato Centrale né le sue funzioni e dove le 21 regioni italiane dovrebbero arrangiarsi in autonomia praticamente su tutto. La nostra piccola Basilicata dovrebbe attrezzarsi per una propria politica estera, economica, una propria INPS e via dicendo.

Appare evidente che per fare un minimo di massa critica le regioni del Sud dovrebbero associarsi e costituire una Macroregione che assommi i poteri di tutte le regioni attuali, per esempio sulla sanità per stabilire dei poli di eccellenza da offrire ai cittadini in alternativa a Milano e dintorni oppure dei veri e propri consolati esteri per valorizzare la propria posizione al centro del Mediterraneo che è fulcro e punto di incontro di tre continenti e quindi dotarsi di infrastrutture adeguate che devono necessariamente essere transregionali.

Forse scopriremmo che l’autonomia, differenziata o meno, non basta e che, in tale scellerato caso, dovremmo costituirci in Stato Autonomo?

Mattarella: se ci sei batti un colpo

Capisco che il tema dei balneari sia dirimente per il nostro futuro, anzi non lo capisco, ma caro Presidente forse c’è altro su cui il Paese attende la Sua voce.

Conclusioni

Non so per quali arcani classe dirigente di questo Paese ne stia scegliendo, consapevolmente o meno, la sua dissoluzione. Non ho alcuna fiducia nel sistema giuridico italiano per come viene violata sistematicamente la Costituzione, anche da chi è tenuto per ruolo a difenderla, e ancora meno nel sistema dei partiti nazionali, perché c’è una ‘prepotenza dei ricchi’ che attraversa tutti i partiti e di cui tutti i partiti sono succubi. Questo si traduce in una maggioranza di sistema che esercita una prepotenza sistemica nei confronti di una minoranza territoriale.

Non ho nessuna fiducia nei politici e governatori del Mezzogiorno che cambiano rotta in funzione delle convenienze di partito e, all’interno di queste, delle proprie convenienze personali.

Non ho neanche molta fiducia nella capacità di mobilitazione delle masse che mi paiono sfiduciate e implose sul proprio particulare. Vedo invece il rischio di rivolte eterodirette da chi in questa situazione può rimestare nel torbido usando le pulsioni più elementari della popolazione.

Quei pochi che osano ancore pensare scevri da menzogne e pregiudizi possono contare solo su sé stessi e su quelle Corti di giustizia dove difendere le ragioni dei discriminati e dei deboli e oppressi. Difficile, se non impossibile, la strada ma non possiamo assistere inerti sullo scempio che, complice la stampa di sistema, si sta facendo di questo Paese. Ho iniziato questo scritto con la manifestazione di oggi a Napoli. Mentre scrivo è completamente ignorata dai media. Noi non saremo mai complici e mai silenti. Pietro De Sarlo