Il favoloso mondo di Franco Arminio
I paesi non si accendono o si spengono a comando sono organismi fluidi e comunità complesse
Premetto che non sono un letterato né un poeta. Ho pubblicato qualche saggio a sfondo sociologico, senza alcuna pretesa. Ho scritto molto certo, ma da editorialista e da giornalista di inchiesta, in questa veste credo di aver fornito un contributo di pensiero a chi ha voluto coglierlo. La premessa è necessaria per evitare equivoci nel ragionamento che provo a fare in questa riflessione, partendo da un mio post di qualche giorno fa in cui ho criticato Franco Arminio. La critica riguarda la sua partecipazione a una manifestazione “letteraria” nel week end di San Valentino in Umbria. Il titolo: “Comizi d’amore”. Il Tema: “Perché ci innamoriamo? Cosa ci succede? Quali sono gli stratagemmi per fare in modo che un rapporto d’amore duri al meglio e il più lungo possibile?” Mi sono permesso di osservare che Comizi d’amore è il nome di un documentario girato da Pier Paolo Pasolini circa sessanta anni fa. Un film che sbatte in faccia al Paese una realtà fatta di menzogne, di ipocrisie, pregiudizi e dunque di verità. Quel documento nasce da un’inchiesta sugli italiani e la sessualità. Un capolavoro della narrazione antropologica. Ebbene, in quella manifestazione in Umbria nessuno cita Pasolini, la qual cosa potrebbe ad alcuni apparire marginale, ma non lo è. Più deludente il fatto che a quel titolo sia stato associato un monologo che si sarebbe dovuto chiamare “Comizio d’amore per me stesso”.
Arminio fugge dalle critiche sollevate in quel post e mi scrive in privato: io non c’entro, è una iniziativa degli organizzatori, mai mi sarei permesso, eccetera. Tuttavia quel titolo “Comizi d’amore” compare molto prima, in un’intervista video ad Arminio su YouTube del giugno 2020, anche in quel caso di Pasolini neanche l’ombra, chi ce lo ha messo quel titolo e che c’entra con l’intervista?
Insomma, dalla vicenda emerge un Franco Arminio che rifiuta ogni critica se non quella a lui favorevole. Incapace di accogliere il pensiero degli altri nel campo della sua elaborazione artistica. Respinge. Lui ha il suo mondo e tu devi entrarci o restarne fuori, senza battere ciglio. Emerge un Franco Arminio respingente, arrogante con chi lo chiama a prendere posizione sugli insulti subiti da una donna per causa di un articolo su Carlo Levi in risposta a Gaetano Cappelli. Lo chiama ad esprimersi, in quella circostanza, su Carlo Levi e sulle amenità di Cappelli. All’appello Arminio risponde “ma che vuoi?”. Un colpo duro per chi lo ha seguito, per chi lo ha sentito parlare di gentilezza e ha letto con interesse i suoi libri. È dunque possibile in Basilicata confrontarsi apertamente su temi culturali degni di partecipazione collettiva senza rischiare insulti e subire gratuita arroganza?
Emerge un poeta, uno scrittore, che ormai è sulla strada di un altro orizzonte: quello dello spettacolo. Ed ecco che la sua letteratura consolatoria, le sue poesie accovacciate sulla bambagia di una “paesologia” da museo, non sono altro che materiale per uno spettacolo di retroguardia. Lui consola e poi ha la pretesa di orientare. Orientare verso dove non si sa. Certo è che al mondo di cui parla e poetizza, Arminio sottrae energia vitale e ne annulla la portata rivoluzionaria. La sua è una letteratura da rete globo, da telenovela brasiliana tipo “anche i ricchi piangono”. Arminio semplifica e in quella semplificazione gioca e dice: “Le persone non leggono, ma se leggono vogliono essere consolate e orientate”. Orientate verso il vittimismo per creare il suo personalissimo codazzo? I paesi non si accendono o si spengono a comando sono organismi fluidi e comunità complesse. Il semplicismo non regge.
La fase contemporanea del capitalismo o, se volete, del neo liberismo, è proprio di questo che ha bisogno: che la gente si consoli, che i media e i social veicolino sentimenti di piacere, di piacevolezza, di falsa catarsi collettiva. Non a caso le critiche positive alla poesia di Arminio partono tutte da certi mondi editoriali e giornalistici. Nascondere e annullare il negativo dalla vita delle persone, e dal loro sguardo sul mondo, è deleterio. Nei libri di Arminio si celebra la netta separazione tra negativo e positivo, due poli che non si incontrano che non dialogano che rifiutano il confronto. E’ tutto bello, caldo, consolatorio, lento, quel mondo che esiste ormai nella debole fantasia del poeta e che appunto richiama ricordi, sensazioni, scenari, odori. Ricordi nei quali molta gente si riconosce come in un banale “c’era una volta”. Nulla a che fare con Scotellaro, Levi e Pasolini e mi auguro che questi scrittori mai vengano associati a chi produce una letteratura piatta, consolatoria e per un turismo mordi e fuggi.
L’approccio consolatorio e paternalistico, direi ludico, di Franco Arminio piace alle multinazionali del petrolio che agiscono indisturbate in Basilicata. “La Luna e i Calanchi” e festival simili, insieme alla poesia “da rete globo” e da scaffale del supermercato sono un regalo a loro molto gradito. Ed è proprio grazie a quel festival che Arminio comincia la sua ascesa utilizzando i luoghi e le atmosfere rese immortali dalle parole di Carlo Levi. Nulla contro il poeta, la mia è una critica alla sua poesia e come ogni critica è un’idea incompiuta, un’opinione senza verità. Non so se Arminio condivide, non credo. Anche perché intorno a lui si è costruita una piccola e chiusa comunità di tutori e adulatori inaccessibile a chiunque volesse fornire un contributo critico. Avere amici devoti è una gran fortuna, ma è anche un limite che frena la crescita dell’artista.