Basilicata. Il sistema autoreferenziale nella gestione delle risorse pubbliche: oltre i GAL
Laddove si muovono soldi pubblici si mettono in moto organizzazioni politico-imprenditoriali efficientissime, sulla base di regole non scritte. Si aprono e si chiudono circuiti d’affari nati all’occorrenza e dismessi al momento opportuno
Eccoci arrivati al riepilogo dell’inchiesta sui GAL lucani. Chi ha seguito tutte le puntate probabilmente si è fatto un’opinione sul funzionamento del sistema che gestisce le risorse pubbliche destinate “allo sviluppo delle aree rurali”. Proviamo a riepilogare i tratti essenziali che ci aiuteranno a fare qualche domanda. Intanto, va detto che il Programma Leader della UE è una buona idea. È un modo intelligente di investire sui territori più marginali, con il coinvolgimento degli attori locali e con lo scopo di costruire tessuti economici a vocazione territoriale con spinta a percorsi di sviluppo duraturi. Alla base vi è lo sviluppo locale di tipo partecipativo (Community Led Local Development, CLLD) denominato L.E.A.D.E.R. Si tratta di uno “strumento più importante e innovativo delle politiche comunitarie per lo sviluppo locale integrato e sostenibile dei territori rurali. LEADER, acronimo di Liaison Entrée Actions de Development de là Economie Rural (collegamento tra le azioni di sviluppo dell’economia rurale), si basa sul cosiddetto approccio “bottom-up” e pone al centro dell’attenzione i GAL, costituiti da un partenariato pubblico – privato, che hanno il compito di elaborare e realizzare a livello locale una strategia di sviluppo pilota, innovativa, multisettoriale e integrata.”
Detto questo, con la nostra inchiesta abbiamo però scoperto che questo strumento non funziona dappertutto e non viene applicato con successo, almeno in Basilicata. Perché? In parte la Corte dei Contiha descritto le ragioni per cui i GAL lucani hanno deluso. Il 20% degli 80 milioni di finanziamento è servito a pagare le spese di funzionamento, vale a dire 16 milioni di euro circa per pagare direttori, tecnici, animatori, comunicatori e così via. Gli altri? Affidamenti diretti e appalti per realizzare progetti i cui risultati sono nell’ombra. Milioni di euro, “per concorrere allo sviluppo delle aree rurali” senza alcun risultato significativo. È stato alimentato un sistema di spesa delle risorse pubbliche per sagre, eventi e quant’altro, che – è sempre la Corte dei Conti a dirlo – rischia di apparire agli occhi dei cittadini eccessivamente autoreferenziali e per certi versi assimilabili ad organismi di diritto pubblico caratterizzati da pesanti condizionamenti della struttura politico/amministrativa”. Dobbiamo aggiungere – da giornalisti – che agli occhi dei cittadini è apparso nulla, poiché l’opinione pubblica è stata scarsamente coinvolta e quindi disinteressata.
Noi abbiamo provato a puntare i riflettori su un mondo praticamente invisibile al cittadino medio, ma molto conosciuto e utilizzato dalle cosiddette organizzazioni di rappresentanza imprenditoriale, dalle associazioni professionali, dagli esponenti politici a vari livelli. Siamo andati oltre le considerazioni della Corte dei Conti, e abbiamo scoperto che il problema del cattivo funzionamento dei GAL lucani non è soltanto dovuto all’approccio autoreferenziale, ma alla struttura portante che decide le forme e le modalità di impiego delle risorse. Gran parte del denaro finisce in una serie di iniziative “meteora”, che si dileguano, senza lasciare impronte nelle dinamiche di sviluppo, in un tempo breve. Progetti locali attraverso i quali si trasferisce denaro a società di formazione, consulenza, marketing, animazione. Una parte viene distribuita alle ditte, imprese collegate alle organizzazioni di rappresentanza. Il resto abbondante fino al 30% è assegnato alle strutture tecniche e di direzione costituite da personale gradito ai partiti e a singoli esponenti di partito.
Il GAL assegna risorse ai Comuni per iniziative turistiche o di promozione culturale, per esempio, i quali affidano l’esecuzione a società o persone fisiche, che direttamente o indirettamente sono legate ai soci rappresentati in Consiglio di amministrazione o nel vertice tecnico del GAL. I soci non rappresentati negli organi statutari possono partecipare alle procedure di evidenza pubblica e non raramente sono aggiudicatari, anche indirettamente attraverso aggiudicazioni a aziende o società in qualche modo collegate. In altri casi si verifica lo scambio: società, aziende, e rispettivi consulenti, manager, professionisti, coinvolti nella compagine societaria di un GAL ricevono affidamenti da un altro GAL e viceversa.
Questo sistema nasce da accordi a monte, all’origine della costituzione dei diversi GAL e della candidatura delle diverse strategie di sviluppo locale. Lo abbiamo visto nella prima puntata parlando della regia dell’Associazione “Pensiamo Basilicata” in diretto collegamento con i partiti politici.
Chi decide i vertici? La politica in raccordo con le più importanti organizzazioni socie e partner dei diversi GAL. Tutto appare sotto forma di accordi di spartizione, comprese le quote di partecipazione dei privati che variano in base al territorio interessato dai Piani d’azione.
Abbiamo riscontrato tra i soci e i partner società e aziende inattive, oppure partecipate da società fiduciarie, fatto quest’ultimo che impedisce di conoscerne i proprietari. Associazioni con indirizzi improbabili, schede incomplete, siti ufficiali con carenza di dati e informazioni. Eppure tanto clamore sui social: foto, video, pranzi, degustazioni, rassegne…Con le solite facce in primo piano. Non è soltanto una questione di soldi, ma di relazioni, di consenso elettorale, di conferma o rinforzo del potere locale nei territori.
E poi le persone, in un modo o nell’altro connesse direttamente o indirettamente tra loro o con i rispettivi riferimenti politici. E ci sono tutti: dalla Lega a Italia Viva-Azione, dal Pd a Fratelli d’Italia e così via. Spesso attraverso propri esponenti che agiscono non per il partito ma per se stessi, in base agli interessi, alle convenienze reciproche e al peso specifico sul territorio, si accordano su tutto. Ai vertici ex sindaci, ex candidati, ex sostenitori di tizio o caio, ex portaborse, a cui – è quello che appare – bisogna garantire una retribuzione. Abbiamo scoperto che persino i portavoce, gli addetti stampa di quel Comune o di quell’organizzazione o di quel politico sono beneficiari di opportunità nei Gal. Non mancano i giornali o siti che prendono risorse allo scopo di omaggiare ogni passo compiuto da tizio o caio per il progetto o l’iniziativa Pinco pallo.
Un panorama, quello dei GAL, che si mostra e a tinte fosche, in “chiaro scuro – come scrive la Corte dei Conti – più scuro che chiaro”. L’oscuro lo abbiamo percepito, ma solo percepito, negli scambi transnazionali, nei progetti transfrontalieri, gli eventi all’estero, per esempio in Romania, realizzati con società e consulenti dai legami invisibili eppure importanti. Due domande restano aperte al momento. Una riguarda le modalità di rendicontazione e il circuito della fatturazione: esiste concordanza tra gli importi delle fatture e le spese reali sostenute? L’altra riguarda i proprietari e soci delle società destinatarie di risorse e opportunità: in alcuni casi i soci o i proprietari non sono in chiaro, in altri appare strana la relazione tra l’amministratore unico e la compagine dei proprietari. Insomma, c’è ancora molto da chiarire. Proveremo a scavare alzando lo sguardo ai piani alti del sistema di gestione delle risorse pubbliche. I GAL e le altre opportunità legate alle aree interne sono un pezzo del tutto, e neanche il più grande. Un fatto è chiaro, laddove si muovono soldi pubblici si mettono in moto organizzazioni politico-imprenditoriali efficientissime, sulla base di regole non scritte. Si aprono e si chiudono circuiti d’affari nati all’occorrenza e dismessi al momento opportuno. Circuiti mutevoli, spesso invisibili, ma governati dalle stesse 30-40 persone che, in base a una gerarchia del Potere – non necessariamente politico –, si scambiano ruoli e si dividono le opportunità.
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