Che cosa hanno in comune Dostoevskij e Sciascia?

9 gennaio 2023 | 17:13
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Che cosa hanno in comune Dostoevskij e Sciascia?

Con il saggio La metafisica del sottosuolo, Antonina Nocera, insegnante e divulgatrice siciliana, propone un inedito confronto tra i due grandi autori

Con il saggio La metafisica del sottosuolo, Antonina Nocera, insegnante e divulgatrice siciliana, esperta dell’opera di Fëdor Dostoevskij, propone un inedito confronto tra due grandi autori: Dostoevskij, appunto, e Leonardo Sciascia. Un confronto non agevole, che parte da una dichiarata, aperta distanza di Sciascia dall’autore russo. Nondimeno, nella disamina proposta dalla Nocera, le distanze apparentemente siderali sembrano accorciarsi, il gelo iniziale pare sciogliersi, in favore di un dialogo su un terreno comune che si schiude sulle intenzioni di approfondimento dell’indagine sull’uomo che animano l’opera di entrambi gli autori. Così, la malinconia delle nevi fradicie è un denominatore comune rispetto a quella che scaturisce nella canicola rovente che brucia le campagne di Sicilia; la riflessione sul male e sulla libertà, cifra dell’avventura dei Karamazov, la morte paralizzante degli innocenti, trovano un riscontro profondo nello scavo psicologico del poliziesco di Sciascia, Il contesto, come nel comune nucleo generatore dei delitti.

Il suo blog, bibliovorax.it, molto frequentato, contiene molti suoi scritti divulgativi. Come è nato? Come è nata, inoltre la sua passione per Dostoevskij?   
Il blog è nato nel 2016 con l’intento che lei acutamente ha colto: fare divulgazione di contenuti attinenti alla critica di un testo, operazione che rientra parzialmente nel concetto di recensione, ma che di fatto è qualcosa di più. Con il tempo si sono unite validissime collaboratrici come Ivana Rinaldi che cura la rubrica Parole resistenti e Gabriella Grasso che cura la sezione Limoni, dedicata alla poesia. La mia passione per Dostoevskij ha origini più remote, risale alle prime letture universitarie, ho conosciuto tardivamente l’autore russo e credo che sia stato un bene. Fu amore a prima lettura.

Mesi fa, un’aspra polemica coinvolse proprio la figura di Dostoevskij, tirato in ballo nella scia mediatica russofoba scaturita con l’esplosione del conflitto in Ucraina. Eppure, una figura come quella dell’autore russo ha tanto da dire all’uomo del nostro tempo. 
Ricordo molto bene questa immotivata e stupida russofobia. La cosa più grave è stata il coinvolgimento di alcune istituzioni universitarie che hanno contribuito a fomentare un ridicolo senso di distanziamento dal mondo e dalla cultura russa, criticati in toto senza distinguere il momento storico e politico che stavamo vivendo. Questo processo sommario ha coinvolto anche Dostoevskij, per fortuna tutti gli slavisti e gli intellettuali in generale hanno preso le distanze e ridimensionato la questione.

Nella sua nota conclusiva a La metafisica del sottosuolo, Federico Fiore scrive che “i romanzi sono specchi”. Cosa potremmo vedere, oggi, specchiandoci a nostra volta nell’opera di Dostoevskij, come in quella di Sciascia? 

È un’ottima metafora. A mio parere la letteratura può essere specchio, può essere anche una lente di ingrandimento, un cannocchiale, una lente deformante, a volte. L’importante è vedere in questi “specchi” non solo la riproduzione dell’immagine migliore di noi stessi, o di quella che “vorremmo vedere”, ma le parti più scomode e indicibili. Ecco, che lo specchio della letteratura esercita la sua massima funzione; nel caso di Dostoevskij quella di scoperchiare i sottosuoli e di metterci in contatto con ciò che la ragione tiene debitamente a bada. Lo stesso Sciascia, sulla scorta del suo amato Borges, aveva sviluppato questa idea di letteratura come una sorta di vita a doppio fondo in cui ritrovare un barlume di verità, un’altezza di pensiero e di etica. Leggere Sciascia e Dostoevskij oggi è un ottimo esercizio per aggiungere un tassello a quell’enorme mistero che riguarda l’uomo e il suo rapporto con la società.

Ha recentemente dato alle stampe un nuovo saggio critico, contenuto in “Il poema del grande Inquisitore”, edito da Castelvecchi. Le va di raccontarci qualcosa di questa nuova iniziativa editoriale? 
Il saggio collettaneo da lei citato è un nuovo contributo nel campo della saggistica letteraria e filosofica a cura di Antonio Coratti e contiene oltre al mio, anche i lavori di quattro studiosi di diversa formazione, tutti gravitanti nell’ambito dell’ insegnamento universitario. L’idea è stata di creare un lavoro multi-prospettico su uno dei testi fondamentali della letteratura mondiale, su cui esiste un’ampia mole di saggi critici, La leggenda del grande Inquisitore, capitolo del romanzo I fratelli Karamazov. Si è deciso pertanto di lavorare sulla nuova traduzione del capitolo, a cura di Stefano Maria Capilupi e di dialogare, ciascuno con le proprie competenze, con questo denso e complesso testo.

Qualche indiscrezione sui suoi nuovi progetti?
Molti e variegati, dalla saggistica, che non abbandono, alla narrativa. Se tutto va bene, dovrebbero “nascere” nel 2023.

Antonina Nocera