Antisemitismo e razzismo in aumento: la risposta migliore è nella Costituzione

27 gennaio 2023 | 09:28
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Antisemitismo e razzismo in aumento: la risposta migliore è nella Costituzione

Il messaggio ai ragazzi e alle ragazze del Prefetto di Potenza, nella Giornata della Memoria

Di seguito il messaggio del Prefetto di Potenza, ai ragazzi e alla ragazze in occasione della Giornata della Memoria.

“Qualche giorno fa, in occasione del viaggio della memoria e della visita al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, organizzata con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), il Ministro dell’istruzione e del merito Valditara ha dichiarato che “in alcuni paesi europei il 20 per cento degli studenti nemmeno sa cosa sia stata la Shoah, mentre l’antisemitismo sta risorgendo in Europa: vuol dire che non abbiamo lavorato abbastanza con le coscienze”.
Ecco, vorrei partire di qui! Oggi sono 78 anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Quel 27 gennaio 1945, ricordiamolo sempre, l’esercito russo abbattendo i cancelli di Auschwitz, mostrava al mondo l’abisso degli orrori e delle aberrazioni in cui il genere umano era precipitato.

Ad Auschwitz, i soldati russi trovarono 7000 prigionieri, malati e ormai allo stremo, lasciati lì a morire dai nazisti in fuga. Ma la maggior parte dei detenuti erano stati trasferiti, con un’ulteriore tappa di crudele accanimento persecutorio, le terribili «marce della morte».
Tra loro c’era anche Donato Di Veroli, uno degli ultimi Testimoni della Shoah. Di Veroli è scomparso a luglio dello scorso anno e – con la morte di Pietro Terracina, a dicembre 2019 – era l’ultimo degli ebrei romani ancora viventi deportato, poco più che ventenne, a Birkenau dopo il rastrellamento del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943. Donato Di Veroli (matricola con il tatuaggio numero A-5372), dopo la liberazione, tornò a Roma, ma con grande riservatezza non ha voluto mai raccontare della sua esperienza nel campo e dell’orrore a cui ha dovuto assistere, ricostruendo con coraggio una vita ed una famiglia dalla forte identità ebraica.

Secondo l’analisi dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) e dello scrittore e storico Marcello Pezzetti, i sopravvissuti ebrei italiani custodi della Memoria sono ormai una decina: Sami Modiano, 92 anni, da Rodi a Birkenau all’età di 13 anni; Edith Bruck, 91 anni, scrittrice e regista, deportata a 13 anni prima ad Auschwitz e poi in altri campi di sterminio (Dachau, Christianstadt e, infine, Bergen Belsen); Liliana Segre, 92 anni, senatrice a vita, numero di matricola 75190, dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni deportati, fu tra i 25 sopravvissuti; Virginia Gattegno, 99 anni, matricola A24324, ultima testimone veneziana; le sorelle di Fiume Andra e Tatiana Bucci, rispettivamente di 83 e 85 anni, testimoni dell’orrore degli esperimenti di Mengele; Arianna Szorenyi, 89 anni, anche lei di Fiume, matricola 89129, portata ad Auschwitz e poi a Bergen Belsen dalla Risiera di San Sabba, ad appena 11 anni; Diamantina Vivante Salonicchio, 94 anni, sopravvissuta a Ravensbruck; e, infine, Goti Bauer, 98 anni, detenuta a Fossoli e poi deportata ad Auschwitz-Birkenau, da oltre venti anni infaticabile Testimone della Shoah con gli studenti di Milano, dove risiede.
Sono gli ultimi nove custodi della Memoria, ancora viventi. Cosa accadrà quando sarà scomparso anche l’ultimo di loro?
Care ragazze e cari ragazzi, mi rivolgo a voi. Auschwitz, il più grande e più letale dei campi di sterminio, con le sue grida, il suo sangue, il suo fumo acre, i suoi pianti e la sua disperazione, la brutalità dei carnefici, è un evento drammaticamente reale che rimane e va oltre la storia e il suo tempo, simbolo del male assoluto, definito come l’inferno sulla terra.

Dobbiamo però ricordare che il terreno che ha generato l’Olocausto è stato seminato da una politica che ha costruito la discriminazione e l’esclusione sociale, che ha spezzato il vincolo di unità della famiglia umana, che ha prodotto in Germania le leggi di Norimberga del 1935 e, in Italia, le leggi razziali – o, meglio, razziste – del 1938. Dopo, vennero la notte dei cristalli, la guerra, i rastrellamenti e i campi di sterminio.
Nell’ordine nuovo, vagheggiato da Hitler prima e da Mussolini dopo, non c’era posto per la diversità, la tolleranza, l’accettazione, il dialogo. La macchina della propaganda si era messa in moto a tutti i livelli per fabbricare minacce improbabili e nemici inesistenti. Per gettare il marchio di infamia sugli ebrei furono utilizzati tutti i mezzi di indottrinamento allora a disposizione: giornali, radio, cinema, manifesti, libri per bambini, trattati pseudo scientifici, vignette.
Dove la propaganda non bastava, arrivavano il terrore e la violenza. Per lo sterminio si fece ricorso agli strumenti più avanzati e alle più aggiornate teorie d’organizzazione burocratica e industriale. L’eliminazione dei diversi (ebrei, dissidenti, disabili, malati di mente, omosessuali, rom e sinti) era il prodotto finale delle fabbriche della morte.
Nel 2020, in occasione del ventennale dell’istituzione del “Giorno della Memoria”, ho incontrato Furio Colombo, intellettuale e giornalista che, da parlamentare, con impegno e passione civile, ha ispirato ed è riuscito a far approvare all’unanimità, il 20 luglio 2000, la legge 211 sulla memoria dell’Olocausto. Ricordo perfettamente quella giornata, quado insieme abbiamo condiviso riflessioni sull’importanza che può avere, ancora oggi, celebrare la Memoria e su come essa debba servire ad aiutarci a costruire il futuro, concordando su quanto sostenuto da Alberto Asor Rosa quando ha detto che «Nostro compito non è ricordare l’Olocausto, ma pensarlo. Ricordarlo in quanto avvenimento storico è semplice: difficile è pensarlo nella tragica simultaneità e perennità dei suoi significati possibili».
Voglio dire che le vicende della Shoah e quelle del sistema di oppressione nazifascista debbono investire e coinvolgere una pluralità di istanze, di destinatari e di linguaggi.
Oggi e nel futuro, non dobbiamo mai dimenticare qual è stato il mito fondante e l’obiettivo perseguito da quel sistema criminale: in sintesi estrema, una società senza diversi. Quando il benessere dei popoli o gli interessi delle maggioranze si fanno coincidere con la negazione del diverso – dimenticando che ciascuna persona è diversa da ogni altra – la storia spalanca le porte ad immani tragedie.
Per questo, abbiamo il dovere di intendere il Giorno della Memoria come invito, costante e stringente, all’impegno e alla vigilanza.
Oggi in Italia e nel mondo sono in aumento – lo ha ricordato anche il Ministro Valditara – gli atti di antisemitismo e di razzismo, ispirati a vecchie dottrine e a nuove e perverse ideologie. E’ vero, si tratta di minoranze. Ma sono minoranze sempre più allo scoperto, che sfruttano con astuzia i moderni mezzi di comunicazione, che si insinuano velenosamente nelle scuole, negli stadi, nei luoghi del vivere comune.
La riproposizione di simboli, di linguaggi, di riferimenti pseudo culturali, di falsi documenti, basati su ridicole teorie cospirazioniste, sono tutti segni di un passato che non deve tornare in alcuna forma e che richiedono la nostra più ferma e decisa reazione.
Resto fermamente convinto – lo ripeto anche oggi e lo dico principalmente a voi, studentesse e studenti – che la risposta deve partire, anzitutto, dalla difesa dei valori democratici contenuti nella Costituzione repubblicana. La nostra Carta ha marcato la linea di divisione tra civiltà e barbarie, nascendo dalle ceneri della Resistenza; abbiamo il privilegio, ma al tempo stesso il dovere, di declinarla quotidianamente, quale corollario del riconoscimento di eguali diritti e dignità ad ogni persona, con l’obiettivo dichiarato 75 anni fa – ma sempre attualissimo – della cooperazione internazionale per una convivenza pacifica tra i popoli e gli Stati. E tutti sappiamo bene quanto oggi questo bisogno di convivenza pacifica sia urgente ed attuale!
Mi avvio a concludere, non prima di aver ricordato brevemente due storie.
La prima è quella che ho personalmente scoperto qualche tempo fa, dalla lettura di questo graphic novel, che narra la storia vera di Jan Karski, militare e partigiano polacco, incredibilmente sopravvissuto a un gulag, al Ghetto di Varsavia, alle torture delle S.S., ai bombardamenti e, soprattutto, testimone diretto dei campi di concentramento di cui per primo, a luglio del 1943, denunciò gli orrori a Winston Churchill e a Franklin Roosevelt, senza essere creduto. Nel 1944, Jan Karski si è trasferito negli Stati Uniti, dove ha insegnato presso l’Università di Georgetown, scrivendo libri e raccontando la sua storia sulle atrocità della Shoah sino alla sua morte, il 13 luglio del 2000.
Jan Karski, candidato al Nobel per la pace, cittadino onorario di Israele, incluso nell’Elenco dei Giusti delle Nazioni, racconta così della sua esperienza nel campo di smistamento di Belzec «Quella folla di persone pareva in preda a spasmi di delirio. Si muovevano avanti e indietro come se fossero caduti in una specie di trance collettiva. C’era chi gridava, chi agitava le braccia, chi litigava, chi bestemmiava, chi sputava. La fame, la sete, dovevano aver precipitato tutte quelle persone nella follia. Sapevano che presto sarebbero partite per una destinazione ignota e questo le riempiva di un terrore animale».
L’altra vicenda è quella di Esther Hillesum, detta Etty, scrittrice olandese di origine ebraica – forse la voce più importante che ha provato a raccontare l’Olocausto, dopo quella di Anna Frank – morta ad Auschwitz il 30 novembre 1943, perché non aveva voluto essere indifferente alla sorte tragica di altri esseri umani. Nel 1942, la giovane Etty, dalla sua condizione privilegiata di dattilografa al Consiglio Ebraico che le avrebbe potuto dare la possibilità di salvarsi, scelse invece di condividere il destino del suo popolo e di andare a lavorare come assistente sociale nel campo di transito di Westerbork, in Olanda.
Dopo alcuni mesi di andirivieni dal campo, il 7 settembre 1943 salì sul treno per Auschwitz da cui non fece più ritorno, convinta di trovare nell’aiuto e nella prossimità agli altri la sua ragion d’essere.
«Ma cosa credete? – scrive Etty nel suo diario – Credete che io non veda il filo spinato, non veda il dominio della morte? Li vedo. Ma vedo anche uno spicchio di cielo. E questo spicchio di cielo, ce l’ho nel cuore. E in questo spicchio di cielo che ho nel cuore, io vedo la libertà e la bellezza». E ancora: «Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile. Io voglio essere un cuore pensante». Michele Campanaro, Prefetto di Potenza