UNESCO: perché la libertà d’espressione è sempre più debole
Si abusa dalla giustizia, si mantengono leggi punitive e se ne fanno di nuove, si lasciano proliferare le cause e le querele temerarie e nascono nuovi espedienti come il turismo giudiziario
La libertà di espressione non gode buona salute e negli ultimi anni ha perso terreno pressoché ovunque. Non è una sensazione. È la diagnosi contenuta in un autorevole studio dell’UNESCO reso noto il 9 dicembre 2022 e tradotto in italiano da Ossigeno per l’Informazione (LEGGI su www.ossigeno.info ). Con uno sguardo dall’alto, il documento dell’Agenzia delle Nazioni Unite descrive i problemi generali e quelli di ciascuna parte del mondo, indica i deludenti risultati delle battaglie dell’ultimo decennio e raccomanda ai governi dei singoli paesi di fare meglio la loro parte con alcuni interventi concreti.
Come si manifestano i problemi? Innanzitutto con il sempre più ampio “uso scorretto del sistema giudiziario per attaccare la libertà di espressione” ovvero con quelle azioni legali che in Italia si chiamano querele o cause temerarie e in inglese si chiamano schiaffi (SLAPP). In secondo luogo, con le nuove leggi prodotte nei vari paesi hanno fatto fare passi indietro a questa fondamentale libertà. Dal 2016 a oggi, dice l’UNESCO, in 44 paesi 57 leggi e regolamenti nuovi o modificati contengono un linguaggio eccessivamente vago o punizioni sproporzionate tali da mettere in pericolo la libertà di espressione ‘online’ e la libertà dei media. Inoltre stanno aumentando le querele, le cause civili per diffamazione e le “azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica” (SLAPP) non soltanto in Italia ma nel mondo.
Purtroppo, dieci anni di campagne volte a depenalizzare la diffamazione (cioè a regolarla con il codice civile e a punirla senza il carcere) si sono conclusi con un sostanziale fallimento o, come dice l’UNESCO, con “una battuta d’arresto”. Nell’80% dei Paesi del mondo la diffamazione è ancora regolata (come in Italia) principalmente dalla legge penale e in molti paesi i colpevoli sono passibili (come in Italia) della pena detentiva. Eppure è sempre più condivisa, dice l’UNESCO citando numerosi autorevoli pareri, l’opinione che giudicare le accuse di diffamazione a mezzo stampa come un reato abbia un effetto raggelante sulla libertà di informazione, e che il carcere sia una punizione sproporzionata per queste violazioni. Eppure dieci anni fa la depenalizzazione si stava diffondendo anche all’interno di Paesi che poi invece hanno mantenuto o addirittura reintrodotto la morsa della via penale. Che cosa è accaduto?
In questi anni, diversi Paesi hanno imboccato la strada opposta: hanno reintrodotto o inasprito le norme sulla diffamazione semplice e a mezzo stampa e sull’ingiuria, hanno promulgato nuove leggi per rafforzare la sicurezza informatica e a combattere le “notizie false” e l’incitamento all’odio, hanno visto aumentare le cause civili per diffamazione, di solito preferibili, ma spesso tali da “turbare” la libertà di espressione e il lavoro dei giornali e dei giornalisti, per le richieste di risarcimento sproporzionate e i costi legali proibitivi.
Sulla scena sono apparse nuove forme di compressione del diritto d’espressione: il “forum shopping” che, ricorda Unesco, si riferisce alla pratica di selezionare il tribunale in cui intentare un’azione sulla base della prospettiva dell’esito più favorevole o di mettere in difficoltà l’accusato; le SLAPP basate sulle accuse di diffamazione usate spesso per spingere i giornalisti a non pubblicare determinate notizie contenuti e per scoraggiare i loro colleghi.
QUALCHE NUMERO – Nell’Europa centrale e orientale è aumentato il ricorso alla legge penale per punire la diffamazione, che è un reato in 15 dei 25 stati della regione, e nella maggior parte di essi prevede sanzioni detentive. Dieci paesi hanno abolito tutte le disposizioni generali contro la diffamazione e l’insulto e altri quattro hanno attuato una parziale depenalizzazione.
RACCOMANDAZIONI – Unesco raccomanda agli Stati che non l’hanno già fatto di abrogare le leggi penali sulla diffamazione e sostituirle con un’appropriata legislazione civile in linea con gli standard internazionali. Le organizzazioni della società civile e gli operatori dei media sono invitati a impegnarsi nelle campagne di difesa e sensibilizzazione volte a mobilitare i cittadini e a garantire che le sentenze internazionali e regionali siano pienamente attuate a livello nazionale. Allo stesso tempo, il supporto e la pubblicazione di casi di violazione particolarmente significativi può aiutare a spingere verso modifiche legislative e l’abolizione del reato di diffamazione. Anche il supporto legale fornito ai giornalisti è fondamentale per incoraggiare chi è preso di mira a proseguire nel suo lavoro e può portare a legali e politici concreti e positivi.
Lo studio dell’UNESCO è stato pubblicato il 9 dicembre 2022 nella collana “World Trends Report on Freedom of Expression and Media Development”. La versione italiana, a cura di Ossigeno per l’Informazione, è a questo LINK ed è accompagnata dai commenti di Giuseppe Federico Mennella, segretario generale di Ossigeno, dell’avv. Andrea Di Pietro, coordinatore dell’Ufficio di assistenza Legale Gratuita di Ossigeno, e di Alberto Spampinato, presidente di Ossigeno.