Lucani: quelli che parlano, quelli che ridono e quelli che stanno a guardare

28 dicembre 2022 | 16:17
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Lucani: quelli che parlano, quelli che ridono e quelli che stanno a guardare
Il convegno svoltosi a Potenza per i 135 anni de La Gazzetta del Mezzogiorno

Cronaca del delirio di onnipotenza di uno scrittore provinciale che si diverte a bullizzare i grandi della storia

Cronaca del delirio di onnipotenza di uno scrittore provinciale che si diverte a bullizzare i grandi della storia. Gaetano Cappelli è un codardo, parola mia.

Tutto nasce dall’articolo su Carlo Levi «ce l’ha coi terroni» di Gaetano Cappelli e dalla mia replicaalle sue bizzarre teorie sul Cristo si è fermato a Eboli, dove decostruisco, punto su punto, la fallace teoria e il rovescismo storico-letterario dello scrittore lucano. Trovare le prove del disprezzo di Levi è ormai diventata un’ossessione: è sua la responsabilità di aver inchiodato la Basilicata a una dimensione preistorica, ci ricorda ciclicamente il Cappelli.

S’inerpica, Cappelli dico, nell’illusione di decostruire e delegittimare con articoli e post sui social i protagonisti della letteratura del ‘900. È in cerca di una nuova visibilità. Cosa si è disposti a fare pur di guadagnare qualche follower in più!

Prendo di nuovo la pubblica parola, mio malgrado, perché nessuno lo farà per me. I lucani sono fatti così, fanno finta di niente: ci sono quelli che parlano, quelli che ridono e quelli che stanno a guardare.

Il bullismo letterario dello scrittore lucano inizia con Carlo Levi e finisce con Leonardo Sinisgalli «Basta con il dolore. Lasciamo in pace Cristo ed Eboli» rituona dalle pagine del giornale redivivo. Bisogna fare un respiro profondo per conservare la lucidità leggendo le sue continue piroette semantiche, che semplificano e riducono la complessità a puro battutismo.

Ora è tutto chiaro: Gaetano Cappelli vuole rivoluzionare l’immaginario culturale lucano a beneficio del suo rancoroso cappellismo provinciale.

Vuole vincere il Cappelli, stabilendo una gerarchia verticale dove è solo lui a pontificare. Non accetta le regole del dibattito culturale, delegittima e mette in ridicolo chiunque osi confutare, (con argomenti e sempre rispettando l’interlocutore), il suo pensiero fallace, l’iperbole provinciale del suo solipsismo. E lo fa con una tecnica nota, vale a dire personalizzando il dibattito, spostando il discorso in altro luogo e in altro senso.

Io sono fiera di essere lucana, non ho paura dei bulli, li guardo dritto in faccia. Scrivo nella breve bio su Twitter: «nata nella terra dove Cristo non è mai arrivato, si è fermato prima», non certo per rinnegare o disprezzare le mie origini, ma perché questa è un’espressione che ha il valore di una citazione poetica. In tutto il mondo conoscono il luogo dove Cristo non è arrivato. Il famoso libro è stato tradotto in più di 40 lingue e forse proprio da qui nasce il risentimento di Cappelli.

Ma torniamo al nuovo articolo dove mi cita, senza fare il nome, ma rendendomi riconoscibile, come esempio di vittima di levismo, insieme a Sinisgalli, e lo fa sempre con la stessa tecnica: prende un pezzo di frase e decontestualizza, costruendo un capolavoro di volgarità: «Levismo che tante vittime continua a fare. Così capita di leggere nella bio di una sociologa potentina (!) èmigré che è «Nata nella terra dove Cristo non è arrivato» e chiedersi se almeno un eroico missionario comboniano sia riuscita a battezzarla!».

Ma non basta, tant’è che, nell’incontro culturale organizzato dalla Gazzetta del Mezzogiorno per i 135 dalla nascita, lo ripete pubblicamente, in diretta streaming.

Nella serata d’élite, così la chiama il direttore Oscar Iarussi, si parla di giornalismo costruttivo. Si vuole sancire un’alleanza con le classi dirigenti: Bardi annuncia la nuova legge regionale sull’editoria con relativi contributi, e il sindaco di Potenza definisce la Gazzetta come necessario presidio culturale d’informazione, accusando la stampa digitale, molto spesso improvvisata e priva di credibilità.

Gaetano Cappelli, la punta di diamante della letteratura lucana (sic) – così l’ha presentato Massimo Brancati – arriva a dichiarare che Levi può essere considerato un “razzista”, dimenticando che i veri razzisti sono gli amici di partito del sindaco di Potenza, quelli della Lega Nord che tanta sofferenza hanno causato agli emigranti lucani nel secolo scorso. Contesta il grande intellettuale Leonardo Sinisgalli, anche lui vittima di levismo, riducendolo a “collezionista d’arte e di belle gnocche”.

Cappelli recita tutte le parti in commedia, finanche il ruolo di vittima. Si lamenta, infatti, di essere stato aggredito sui giornali locali e sui social E, arrampicandosi sugli specchi, afferma che il battesimo dell’eroico missionario comboniano! “non era un doppio senso sessuale”. Ecco, negando ha confermato: un vero capolavoro.

Su Twitter, dove è stato chiamato in causa, ha risposto con le sue solite volgarità a chi lo contestava: “inutili idioti”, “minghione”. Le sue esternazioni sono state cancellate per aver violato le regole di Twitter. Ecco un paradosso del nostro tempo: la comunità virtuale lo sanziona e quella reale resta a guardare. Anzi, si compiace.

Abbiamo imparato tutti a conoscere le intemperanze dello scrittore potentino, a cui tutto viene perdonato. No, io non lo perdono. Aver negato il dibattito pubblico è cosa grave, e quelle che lui chiama repliche svelano soltanto l’arroganza di delegittimare chiunque non la pensi come lui. Vuole imporre la sua visione e ogni replica viene resa impossibile.

Tutti i partecipanti a quel tavolo, tra occhiolini che si sono scambiati e sorrisini vari, erano delle comparse: dal presidente Bardi, al sindaco leghista, fino al direttore Oscar Iarussi de La Gazzetta del Mezzogiorno, che gli riconosce persino il ruolo di Maestro. Che si fa pur di vendere qualche copia in più! La scena era tutta per Gaetano Cappelli.

Perché la Basilicata si trova nelle mani di persone come queste? Nessuno ha avuto un sussulto, nessuno ha detto una parola di civiltà. Non ho visto nessun Uomo seduto a quel tavolo, parola mia.

E viene da domandarsi: chi sarà la prossima vittima di quel rancoroso, come io ormai lo definisco, cappellismo provinciale?

*Graziella Salvatore, sociologa