L’arte e la bellezza non sono complici della crisi climatica
Imbrattare un dipinto di Van Gogh, o i muri del Teatro alla Scala, è una scemenza. I luoghi della responsabilità sono altrove
Cinque attivisti del gruppo “Ultima generazione” hanno lanciato vernice blu contro l’ingresso del teatro alla Scala, a Milano. È accaduto oggi, 7 dicembre. Meno di un mese fa un gruppo di attivisti appartenenti allo stesso movimento hanno imbrattato con una zuppa di verdura il quadro di Van Gogh ‘Il seminatore”, protetto da un vetro, in mostra a Palazzo Bonaparte a Roma. Tre settimane fa hanno lanciato del liquido nero e oleoso sul dipinto di Gustav Klimt ‘Morte e Vita’, esposto al Leopold Museum di Vienna. Gli attivisti di Just Stop Oil si spalmano della colla sulla mano e rimangono attaccati alle cornici finché gli addetti alla security non arrivano a staccarli. Le manifestazioni di protesta si sono estese in diverse città europee.
Sono alcuni degli episodi che negli ultimi mesi hanno fatto emergere un nuovo modello di protesta contro la crisi climatica del Pianeta. Proteste mediaticamente impattanti che mirano a sensibilizzare l’opinione pubblica e le classi dirigenti sui temi dell’emergenza ambientale. Non contesto il metodo, l’idea, la forma di “ribellione” che mirano ad ottenere il massimo impatto mediatico con l’impiego di risorse povere. Insomma, una forma di protesta radicale, uno scontro frontale con il resto del mondo insensibile alle sorti della Terra. Un metodo, radicalità e conflitto estremo, che andrebbe utilizzato in altre forme di lotta e di protesta nel mondo del lavoro, della marginalità, della povertà. Contesto, però, la scelta dell’obiettivo, strumentale allo scopo, cioè l’arte e la bellezza.
Ritenere che la bellezza sia nemica del Pianeta o che l’arte sia la causa del cambiamento climatico è una sciocchezza oltre che una falsità assoluta. Perché è anche questo il messaggio sbagliato che può trasmettere un gesto che insulta il dipinto di un grande artista. Perché imbrattare un quadro? L’intenzione di quei ragazzi è chiara: Siamo nel pieno di una catastrofe climatica. La scienza ci dice che nel 2050 non saremo più in grado di sfamare le nostre famiglie. Questo quadro non avrà nessun valore se ci troveremo a lottare per il cibo. Quando inizierete finalmente a sentirci?”. Ecco, quando?
Tuttavia non è sporcando la bellezza che si ottengono risultati se non, ripeto, l’impatto mediatico che, tra l’altro, suscita reazioni negative di massa. Perciò quelle azioni dimostrative distraggono dall’obiettivo e aprono dibattiti che nulla hanno a che fare con l’ambiente e l’ambientalismo. Che questi ragazzi non abbiano nulla contro l’arte è evidente: sporcano non distruggono, imbrattano, non rovinano. Tuttavia non sono i luoghi dell’arte e della bellezza il campo di battaglia più produttivi per una protesta ambientalista o per qualunque altra protesta. I luoghi sarebbero altri: non il Teatro alla Scala, ma la Borsa di Milano, non i musei ma le banche d’affari e i palazzi dei governi, le fabbriche di armamenti, le cattedrali del turbo capitalismo e i monasteri del neoliberismo. Perché se il Pianeta è in queste condizioni Van Ghog c’entra nulla, ma il modello capitalistico di produzione e consumo c’entra tutto.
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Le foto sono tratte da: Il Messaggero, Rollin Ston, Insideart