La Legge Anselmi è servita davvero a combattere il male del “potere occulto”?

5 novembre 2022 | 12:28
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La Legge Anselmi è servita davvero a combattere il male del “potere occulto”?

A quarant’anni dall’approvazione la riflessione di Andrea Leccese nel suo nuovo saggio “Col favore delle tenebre”

Nel marzo 1981 scoppia lo scandalo della P2 e scatta la reazione indignata di un’opinione pubblica non ancora assopita dalla depoliticizzazione degli anni Ottanta. Governo e Parlamento furono allora costretti a dare una risposta a quella grave vicenda, approvando una normativa contro le società segrete. Oggi Andrea Leccese, a quarant’anni dall’approvazione, si chiede – in un breve saggio pubblicato da Castelvecchi – se la cd. Legge Anselmi sia servita davvero a combattere il male del “potere occulto”. Parliamo con lui proprio di “Col favore delle tenebre” (Castelvecchi, 2022).

Cosa accadde dopo la scoperta delle liste della P2? Nel 1981 scoppia il bubbone della P2, che provoca profondo turbamento in un’opinione pubblica non ancora assopita dalla depoliticizzazione. I partiti sono allora costretti a dare una risposta a quello scandalo. Il governo Spadolini, nato col dichiarato scopo di moralizzare la vita politica italiana, si impegna a confezionare una norma contro la P2 e contro le società segrete. Fu addirittura il Presidente del Consiglio in persona a presentare il disegno di legge. Finalmente, nel 1982, il Parlamento decise di dare applicazione al divieto di associazionismo occulto contenuto nell’art. 18 della Costituzione.

Il disegno di legge fu abbozzato da un professore universitario, se non sbaglio…L’articolo non portò fortuna a chi lo aveva materialmente abbozzato per conto di Spadolini: Paolo Ungari, docente universitario, morì a Roma nel 1999 in un misterioso incidente. Precipitò nel vano dell’ascensore di un palazzo di via dell’Ara Coeli, facendo un volo di 15 metri.

Stefano Rodotà era in Parlamento. Cosa disse di quella legge? Rodotà ci aveva visto bene. Il testo ha evidentemente due gravi difetti: da un lato l’evanescente elemento costitutivo della «finalità di interferire sui pubblici poteri», che viola il principio di tassatività del diritto penale e provoca di conseguenza insormontabili difficoltà ermeneutiche, dall’altro le pene esigue che oltre a essere palesemente inadeguate impediscono agli inquirenti il ricorso alle indispensabili indagini tecniche di intercettazione delle conversazioni. La norma nasce cioè sterile, con azzerate chance probatorie. La legge del 1982 rientra a pieno titolo nella categoria della “legislazione simbolica”, con la sua tipica caratteristica della inconsapevole (o consapevole) ineffettività.

Quale fu la posizione del PCI? Dovrebbe far specie che il PCI, principale forza d’opposizione e secondo partito politico per numero di parlamentari eletti, almeno apparentemente non coinvolto nella vicenda della P2, non solo si sia completamente allineato all’orientamento governativo, ma non abbia neppure fornito alcun contributo al dibattito parlamentare su una norma asseritamente così importante. Ma l’atteggiamento dei comunisti è in realtà comprensibile, perché i tempi del compromesso storico non erano lontani e il partito non aveva mai rinunciato all’idea di partecipare direttamente al governo del Paese. Per questo, si impegnava ancora a dimostrare “senso di responsabilità”. Vale poi la riflessione che fece Pier Paolo Pasolini: «Non esiste solo il potere esiste anche un’opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito Comunista Italiano […] Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch’essi come uomini di potere».

Perché va letto questo tuo ultimo saggio? Mentre scrivevo, mi sono chiesto spesso che senso avesse uno studio del genere. Oggi penso che non sia stato tempo perso rispolverare quei fatti. Il mio saggio serve a qualcosa, prima di tutto a riflettere su due questioni molto rilevanti che riguardano la qualità della democrazia. La prima è che, mentre la norma sulle società segrete appare chiaramente inadeguata, una ipotetica P2 dei nostri giorni sarebbe ancora più pericolosa, in un periodo come questo caratterizzato dalla debolezza strutturale dei partiti politici a vantaggio di lobby e gruppi privati di ogni tipo. La seconda riguarda il ruolo delle aule legislative, che dovrebbe essere centrale nell’ordinamento italiano. La storia della legge n. 17 del 1982 ci mostra invece – nonostante il vivace dibattito stimolato dai radicali e da un deputato del calibro di Rodotà – quella tabe ormai cronica del sistema che relega il Parlamento nella posizione marginale di ratificatore di decisioni prese altrove.

Libro Leccese