Mafie e non mafie in Basilicata: analisi del potere in evoluzione
Dalla coercizione alla sottomissione volontaria: una rilettura del Sistema alla luce delle ultime inchieste della magistratura
Le vecchie mafie sono ancora attive e diffuse con concentrazioni in alcuni territori del Paese, ma allo stesso tempo articolate ovunque. Le vecchie mafie sono quelle della sub cultura della violenza e della minaccia, quelle che esercitano il potere (criminale) con la tecnica dell’avvertimento, della costrizione all’obbedienza, della sottomissione delle vittime. Le vecchie mafie con i loro riti, regole, codici esistono ancora. Tuttavia le nuove mafie quelle evolute, ancora in cammino dentro un processo di “modernizzazione”, destinate a segnare la fine delle vecchie, stanno imparando ad esercitare il potere nelle forme più avanzate. Le vecchie mafie scompariranno prima o poi, derubricate a “criminalità comune” seppure organizzata in qualche modo. Una criminalità che agisce e agirà nei settori tradizionali delle estorsioni, dello spaccio, del gioco illegale, dei prodotti contraffatti, prostituzione e così via. Insomma, la mafia come organizzazione criminale retta da violenza, omertà, riti d’iniziazione e miti fondativi, raccontata in letteratura e nella cinematografia fino ad oggi, è destinata a ritrarsi, a ridursi, ad auto emarginarsi nei recinti delle vecchie logiche criminali. In quelle logiche l’obbedienza della vittima non è una scelta, ma una costrizione determinata dal potere della violenza e della minaccia.
Il potere delle “non mafie”
“Le organizzazioni di stampo mafioso non si limitano a commettere reati, ma creano un sistema, un vero mondo parallelo e alternativo alla società legale, in cui interi territori finiscono sotto il loro controllo, condizionando direttamente o indirettamente la vita della comunità.” Questa è una definizione più o meno esatta per spiegare in sintesi le vecchie mafie. La “non mafia” non è una nuova mafia, una mafia evoluta, è un sistema di potere che agisce apparentemente nella legalità, alla luce del sole, ma in silenzio, legittimato ancor più in tempi di crisi di legittimità della politica e delle istituzioni. La “non mafia”, che altrove più semplicemente ho definito “Cosa”, non limita le libertà, le usa e le strumentalizza. Naviga nella democrazia, ma la violenta in segreto. Abita le istituzioni locali indossando orpelli politici, ma in realtà usa e abusa delle istituzioni. La “non mafia” si arricchisce sulle ingiustizie che i sottoposti liberi e volontari percepiscono giuste.
La definizione corretta delle “non mafie”, potrebbe essere la seguente: Sistema di potere politico-economico fondato sulla libera scelta dei sottoposti. Le “non mafie” agiscono nella politica, nei centri decisionali, nei mercati finanziari e nel sistema bancario, nelle istituzioni, nel lobbismo, nelle grandi partite economiche, nell’import export di armamenti e di materie prime strategiche. Si tratta di un potere che non dà ordini, ma suscita decisioni e azioni senza ricorrere a costrizioni o minacce. È un potere a cui si sceglie di obbedire. Dunque nelle “non mafie” è fondamentale la libertà o la percezione di libertà, è esclusa la repressione. Mentre nelle vecchie mafie sono fondamentali la costrizione, l’imposizione all’obbedienza attraverso la minaccia e la violenza. Nelle vecchie mafie il sottoposto, anche contro la propria volontà, deve sottostare alla volontà di chi detiene il potere. Il potere delle “non mafie” non esclude la libertà, anzi. Il loro potere raggiunge il massimo proprio nella situazione in cui gli altri si sottopongono volontariamente alla loro volontà. Insomma, gli altri seguono il potente in piena libertà. Il potere, in questo caso, si raggiunge nel momento in cui libertà e sottomissione si abbracciano, si sovrappongono in tutt’uno.
Il potere delle “non mafie” è talmente superiore che chi lo subisce vuole esattamente quello che vuole il detentore del potere e quindi “il sottoposto segue il volere del potente come se fosse il suo.” Il potere repressivo si esprime nell’imposizione delle proprie decisioni contro quelle dell’altro bloccandone le volontà. Il potere delle “non mafie” è, invece, capace di plasmare il futuro dell’altro.
Il potere delle “non mafie” agisce silenziosamente, non spara, non incendia, ma comunica, media. La relazione tra potere e violenza fisica, nelle vecchie mafie, semplifica tutto in un rapporto lineare gerarchico. Nelle “non mafie” il potere è un fenomeno complesso non ha una struttura gerarchica lineare, ma è dialettico. Qui “maggiore è il potere nelle mani di chi lo detiene, maggiore è la sua dipendenza dai consiglieri” dai consulenti, e dalla collaborazione dei sottoposti” “Il potente può impartire molti ordini, ma per via della complessità il potere fattivo passa attraverso coloro che gli suggeriscono gli ordini da impartire. Dentro questo quadro un contropotere più piccolo può infliggere danni a quello superiore. “Anche a uno sfidante debole può essere riconosciuto molto peso, quindi molto potere”. Le “non mafie” sono esposte alla reciprocità del potere, per causa delle interdipendenze che si creano nell’esercizio della mediazione tra soggetti e variabili in campo. Se il potente ha bisogno della collaborazione di altri, nasce una dipendenza del potente da altri. “Le numerose dipendenze di chi detiene il potere diventano fonti di potere per i sottoposti. Conducono cioè a una strutturale dispersione del potere.” E dunque il “non mafioso” non può decidere e fare senza tenere in considerazione gli altri. La dispersione è tuttavia un vantaggio. Quando emergono comportamenti illegali che configurano reati, diventa complicato per gli inquirenti raggiungere i vertici del potere mandanti o responsabili degli illeciti. Interdipendenze e ramificazioni, quindi dispersione, fanno da barriera o da labirinto nel percorso di indagini. Il sistema normativo (leggi, regolamenti, circolari, decreti attuativi, codici di procedura penale e civile, eccetera) sono la strada su cui camminano tutti gli affari delle “non mafie”: più le leggi sono confondibili, interpretabili, meglio funziona il sistema “legale” delle “non mafie”.
Politica e potere in Basilicata: Il sistema “non mafioso”
Qui le vecchie mafie, se mafie le possiamo chiamare, sono ormai note da anni. I clan di cui parlano le relazioni della Dia, gli arresti e i reati tipicamente criminali hanno nulla a che fare con le “non mafie”. Anche questi clan sono destinati a una derubricazione di criminalità seppure in qualche modo organizzata. Tuttavia le vecchie mafie o quelle più evolute d’oltre confini provano continuamente ad infilarsi nei settori propri delle “non mafie”, a volte riuscendoci: appalti, energia, agricoltura, edilizia, risorse in capo alla pubblica amministrazione.
Non è il consenso, ma il compromesso, quale bilanciamento del potere, a caratterizzare l’azione delle “non mafie” in Basilicata, seppure il consenso, diretto e indiretto, rimane fondamentale. In questo senso quel potere è politico, poiché la politica è una pratica del potere e del decidere. Attorno al detentore del potere si crea un’anticamera di segretari, collaboratori, servitori, consulenti, colletti bianchi di alto e medio rango ai quali è decentrato e delegato altro potere in uno spazio che può restringersi o allargarsi in base alla quantità di fiducia, fedeltà, intrighi e bugie che circolano nel palazzo. I signori dell’anticamera sono servi e padroni nello stesso tempo. L’anticamera separa in gran parte il potente dal “resto del mondo reale”. Il potente, così, mantiene i contatti direttamente con l’anticamera, mentre li perde con tutti gli altri sottoposti, obbedienti per scelta, su cui esercita il potere, sottoposti che a loro volta perdono il contatto diretto con il potente affidandosi alla mediazione dell’anticamera. In questo quadro siamo in presenza di una “dispersione”.
Le “non mafie” lucane sono in una forte condizione di reciprocità del potere. Il compromesso con le lobby è vitale. Qui la mediazione passa attraverso l’anticamera se il lobbista ha una caratura medio bassa, o passa da un faccia a faccia con il detentore del potere se il lobbista ha una caratura elevata. Chi sono le lobby che si interfacciano con i detentori del potere “non mafioso”? Le società di progettazione, quelle dell’eolico e del fotovoltaico, quelle della gestione dei rifiuti, delle forniture sanitarie, dell’industria petrolifera, delle corporazioni professionali, per citarne alcune. La “non mafia” agisce nei settori dell’evasione, dell’elusione, degli appalti, della gestione senza scrupoli delle risorse pubbliche, specializzata nello scambio di convenienze e interessi.
Il lobbismo in Basilicata viene esercitato attraverso pressioni lecite, legittime, ma anche discutibili quando l’interlocutore è un esponente delle “non mafie”. Gli stessi gruppi di pressione, in alcuni casi, sono parte del sistema di potere delle “non mafie”. Si sviluppa una reciprocità, uno scambio di forze decisionali, per cui gli uni hanno bisogno degli altri. E questo avviene sulle grandi partite come sulle piccole, sui grandi appalti e sugli affidamenti minori, sulle decisioni politiche strategiche come su quelle tattiche. Le “non mafie” agiscono su vasta scala e su territori circoscritti. Esponenti e detentori del potere “non mafioso” sono sia nelle istituzioni e nel più ampio spazio politico, sia nei luoghi della produzione di ricchezza economica. Sono sia nella società civile sia nelle organizzazioni di categoria. Qui si sovrappongono, sono un tutt’uno. Agiscono liberamente nel campo di libertà percepito dai cittadini. Soddisfano bisogni e desideri, richieste e favori, carriere, assunzioni. Capitalizzano la scelta libera dell’obbedienza di vasti settori della popolazione. L’obbedienza a quel potere diventa la chance per i cittadini di accrescere le probabilità che si realizzino i personali desideri. Il potere “non mafioso” plasma il futuro di chi se lo lascia plasmare. E sono molti. Li troviamo nei posti chiave della pubblica amministrazione, della sanità, dell’Università. E poi quelli di più basso rango assunti nelle aziende pubbliche e private: impiegati, operai, addetti alle pulizie, eccetera. In fondo alla scala tutti coloro che hanno uno scarso valore in termini di mantenimento del potere “non mafioso”: quelli che le aziende definirebbero “waste” spazzatura, incapaci di assumere valore di cliente. Nel nostro caso sono tutti gli esclusi, incapaci di reagire, di opporsi, di insorgere al sistema “non mafioso” perché, in molti casi, aspirano a farsi plasmare. Ma anche perché lasciati soli da una politica e da una società civile incapaci di organizzarli e coinvolgerli in una reazione collettiva. Eppure, nelle realtà più circoscritte come la Basilicata qualcosa è possibile, dai municipi ai luoghi più centralizzati del potere. La “non mafia” qui è più visibile, identificabile. “Anche i più deboli possono trasformare la propria mancanza di potere in potere facendo un uso abile degli strumenti di opposizione sociale in termini culturali e di azione politica”.