A suon di legnate: il referendum per l’annessione al Piemonte e il Dna degli italiani
Ignorare le dinamiche su cui è nato lo Stato unitario non ci aiuta a capire perché nel nostro DNA ci sia sempre l’idea che a risolvere i nostri problemi debba sempre essere lo ‘straniero’
Ottobre pare essere un mese cruciale per questo Paese. La marcia su Roma nel 1921, il Plebiscito del 21 ottobre 1860 e ora la prima premier donna e di un partito di destra vera, legittima ma destra. La prima fu nefasta per la storia patria, l’ultima è appena trascorsa e il futuro ci dirà cosa ci porterà ma se si rievoca il Plebiscito di annessione del Regno delle due Sicilie, uno dei momenti fondanti del Bel Paese, c’è imbarazzo e reazioni scomposte.
Noi no, e ne parliamo perché un popolo senza memoria, o peggio con una memoria selettiva, rimane sempre incerto sul proprio futuro perché non ha mai fatto i conti con il proprio passato.
Di fronte ai referendum di annessione alla Russia dei territori di Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhya e Kherson il paragone con il plebiscito di annessione del Regno delle Due Sicilie al Piemonte, di cui ieri 21 ottobre è stato il 162esimo anniversario, per molti meridionali è stato naturale.
Tra tutti spicca il tweet dell’eurodeputato ex M5S Pedicini: “Tutti si affannano a dichiarare farlocchi i referendum in Ucraina. In Italia, nel Sud, è avvenuto lo stesso, se non peggio! “.
Apriti cielo! Scatta subito la reprimenda del tutore del pensiero unico Enrico Mentana. Poffarbacco! Ci mancherebbe pure che si paragoni il Risorgimento con le vicende russo-ucraine!
Ed è con un semplice punto che il prode direttore ha condiviso con un post su Facebook un articolo di Open del 4 ottobre relativo al tweet dell’europarlamentare. Come a dire: “Ho detto tutto!” Ma, caro direttore: “Tutto che?”
Nel Ducato di Modena, retto dal dittatore, carica per lui istituita da Cavour, Luigi Carlo Farini i voti favorevoli all’annessione nel Plebiscito dell’11 e 12 marzo 1860 furono superiori al numero dei votanti e aventi diritto. A fare il miracolo fu Filippo Curletti, il capo delle spie di Cavour, stufo di dover raccogliere elettori a suon di legnate che si nascondevano terrorizzati.
Curletti lo ritroviamo a Napoli, dove tesseva rapporti con e tra Liborio Romano, primo ministro di Francesco II, e la camorra. Quando il 6 settembre 1860 il Re lasciò Napoli il suo primo ministro, non essendo sicuro dell’accoglienza che i napoletani avrebbero riservato a Garibaldi, nominò il camorrista Salvatore De Crescenzo a capo delle guardie. In una notte le guardie diventarono carcerati e i carcerati guardie. Da allora al Sud qualche difficoltà a fidarsi dello Stato ci è rimasta. Arrivò a Napoli anche l’Esercito Meridionale, che da Mille era diventato di qualche decina di migliaia di garibaldini. Molti di questi, insieme ai camorristi, si dedicarono a saccheggi, grassazioni e a depredare la Reggia, che Re Francesco aveva lasciato linda e pinta. Napoli precipitò nel caos e nel caos rimase, tanto che Vittorio Emanuele II la trovò ingovernabile e la Reggia lorda e spoglia. Si fece così una pessima opinione dei napoletani e di Napoli, sigh! e la lasciò nelle mani proprio del Farini, che inaugurò la tragica e sanguinaria storia delle luogotenenze napoletane.
A suon di legnate De Crescenzo organizzava pubbliche collette, assaltava i commissariati mettendoci i suoi fidi e, sempre a suon di legnate, convinse i napoletani a votare al plebiscito. Non c’era il suffragio universale e per votare era necessario essere di sesso maschile e con censo adeguato. Ci fu una eccezione. Marianna De Crescenzo, la prima donna a votare in Italia, pretendendo di essere iscritta anche alle liste elettorali. Era una sanguinaria cugina di Salvatore. Di questa ‘eroina’ risorgimentale conservo la vaga memoria di una illustrazione su un libro di testo delle elementari dove alzava il tricolore sulle barricate. Ebbe una lauta pensione per i servizi resi.
Per votare c’erano due schede prestampate: una con il SI e una con il NO. Si prendeva la scheda sfilando innanzi al seggio e la si metteva in una urna aperta. Il tutto in plein air. A votare furono anche i militari dell’esercito sabaudo, già presenti a Napoli.
Nei giorni del plebiscito si segnalarono tumulti in tutto il Mezzogiorno e in molti paesi di quelle zone che divennero teatro del brigantaggio fu ristabilito l’ordine borbonico. Ne ho immaginato lo svolgimento nella fitta trama del mio romanzo La congiura delle passioni .
Nelle province Napoletane i voti validi furono 1.312.376, con una percentuale di favorevoli del 99,21. Il risultato tondo dovrebbe spingere Mentana almeno a nutrire gli stessi dubbi di Massimo D’Azeglio “… fino a giungere a porre in dubbio nella lettera al senatore C. Matteucci la sincerità del plebiscito meridionale (2 ag. 1861)” (cit. Treccani).
Ignorare le dinamiche su cui è nato lo Stato unitario non ci aiuta a capire perché nel nostro DNA ci sia sempre l’idea che a risolvere i nostri problemi debba sempre essere lo ‘straniero’, che basti l’uomo o la donna sola al comando per risolvere i problemi, sia che si chiami Draghi sia che si chiami Meloni, così poca fiducia nei confronti dei processi democratici, nella affidabilità dello Stato nella lotta alla criminalità e che a comandare siano sempre i soliti.