Studente muore a 18 anni durante uno stage, schiacciato da una lastra di metallo: perché?

17 settembre 2022 | 12:43
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Studente muore a 18 anni durante uno stage, schiacciato da una lastra di metallo: perché?
Giuliano

Si chiamava Giuliano, sognava di trovare un lavoro in questa società incivile. Si riapra una riflessione sulla sfida di civiltà nel nostro tempo. La scuola non deve servire a formare “omini” per la produzione

Incidente sul lavoro in un’azienda che produce stampi per materie plastiche a Noventa di Piave, in provincia di Venezia. Un giovane stagista 18enne è morto schiacciato da una lastra di metallo. È accaduto ieri, 16 settembre.  Giuliano aveva compiuto 18 anni il mese scorso, “sognava la patente, voleva concludere la scuola e trovare un lavoro.” È morto mentre stava concludendo la seconda di tre settimane di stage avviate con la sua scuola, l’Istituto tecnico Da Vinci di Portogruaro. È l’ennesima vittima di un sistema che mette al centro dell’esistenza il dogma del lavoro. “La scuola serve per lavorare, l’esperienza serve per lavorare, ti sposi se lavori, avrai un tetto per dormire e il cibo sulla tavola se lavori, andrai in vacanza, se lavori, con la tua auto comprata a rate, se lavori hai dignità, identità, se lavori esisti”. Tragiche sciocchezze.

Era il sogno di Giuliano, lavorare, il sogno di molti ragazzi e ragazze. La maggioranza di loro va a scuola per realizzare quel sogno. E dunque ben vengano uno stage, un tirocinio, o un mese di alternanza scuola-lavoro, possono servire a camminare spediti su quel sogno. Magari bisogna recuperare qualche credito formativo. Ma si può anche morire, morire non solo fisicamente.

Saremo una società civilizzata quando nessuno sarà costretto a lavorare per mangiare, quando i giovani sogneranno un’esistenza felice, una vita degna di essere vissuta. Il lavoro molesto, faticoso, alienante è incompatibile con la natura umana. Saremo un Paese civile quando al centro dell’esistenza ci saranno, l’amore, la solidarietà, l’arte, la bellezza, la natura, non l’impiego nei magazzini del supermercato o nella cava di silicio. Saremo una società civilizzata quando il lavoro sarà “non lavoro”, perché scelto, perché nobilita la mia esistenza rendendola non solo vivibile, ma felice.

Invece, milioni di persone sono costrette alla catena di montaggio, in miniera, nei campi, ore e giorni sottratti alla vita. Saremo una società civilizzata quando tutti saranno liberi dal lavoro non scelto. Quando tutti saranno liberi dalla trappola produzione-lavoro-denaro-consumo-sopravvivenza. In una società civilizzata nessuno dovrebbe essere costretto a fare un lavoro qualunque, pesante, usurante, per il solo scopo di mangiare. In un Paese civile la scuola non dovrebbe formare “omini” per la produzione.

La sfida di civiltà è liberare le persone dal lavoro così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi due secoli e come ancora lo conosciamo oggi: “…che nessuno sia tenuto ad accettare un impiego pubblico o privato e una durata di lavoro imposti sotto la minaccia della necessità materiale assoluta. Non c’è gioco democratico possibile al di fuori del potere di dire di no, e questo è annullato se implica il pericolo immediato di morire di fame”. (Alain Caillé,1991). Giuliano non doveva morire, doveva essere felice.