Basilicata. Gli scenari dopo il voto: dall’accanimento energetico all’autonomia differenziata

26 settembre 2022 | 17:53
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Basilicata. Gli scenari dopo il voto: dall’accanimento energetico all’autonomia differenziata

Hanno perso tutti, tranne Meloni: adesso la nostra regione rischia di più

Il primo “partito”, con il 41% è rappresentato dall’astensionismo. Tuttavia il popolo dei “disertori” non è un partito. E se lo fosse, sarebbe inutile. Eppure, 187mila lucani su 447mila aventi diritto non hanno votato. La disaffezione dalla politica cresce e la responsabilità non è di chi decide di disertare le urne. Ma questa è un’altra storia.

Fratelli d’Italia anche in Basilicata è vincitore assoluto di questa competizione elettorale. Tutti gli altri, rispetto alle politiche del 2018, arretrano, nonostante le manifestazioni di felicità di alcuni esponenti politici. Il M5S arretra di almeno 18 punti, Forza Italia di almeno 4 punti, la Lega al Senato perde 10 punti, il Pd ne perde almeno 4. Al contrario, Fratelli d’Italia ne guadagna 15 di punti. Le formazioni a sinistra del Pd, già povere di consensi nel 2018, si impoveriscono ulteriormente.

Detto questo, lasciamo da parte le analisi “più profonde” sulle ragioni del voto e cerchiamo di capire quali tendenze politiche, economiche e sociali potrebbero mettersi in moto con l’esito elettorale. I risultati dei partiti perdenti, compreso il M5S primo partito, non sono destinati ad impattare sul futuro prossimo della Basilicata. A parte la resa dei conti dentro il centrosinistra e dentro il centrodestra per i mutati rapporti di forza interni. Ne risentirà la Giunta Bardi? Chissà. La Lega perderà altri pezzi in consiglio regionale? Quelli di Fratelli d’Italia alzeranno il tiro su nomine incarichi e assessori? Chissà.

Certo è che a livello nazionale sembra ormai conclusa l’esperienza di Salvini nella Lega e di Letta nel Pd. Nulla sarà come prima dentro questi partiti. Tuttavia il rischio che, nonostante tutto, nonostante un mutamento di leadership, nulla cambi o cambi in peggio rimane altissimo.

L’impatto sulla Basilicata

L’impatto ci sarà, ma per causa di un governo nazionale a guida della destra di Giorgia. La destra governerà in presenza di un’opposizione debole e piuttosto divisa. Dunque, il programma elettorale potrebbe essere applicato, quasi tutto, almeno nelle parti che non devono fare i conti con i vincoli esterni (Europa, Nato, Mercati finanziari, ecc.).  Il federalismo fiscale, l’autonomia differenziata, pace fiscale, norme in materia di immigrazione, estensione di voucher di lavoro, abolizione del reddito di cittadinanza, incremento della produzione energetica, nucleare pulito e sicuro, sono alcuni dei propositi che potrebbero avere un impatto diretto sulla Basilicata. Un impatto negativo o positivo che sia, dipende dai punti di vista.

Certo è che la Basilicata, come il resto del Mezzogiorno, avrebbe tutto da perdere dall’autonomia differenziata. Avrebbe tutto da perdere da un affondamento, senza alternative serie, del reddito di cittadinanza. Ancor più critica anche la tendenza all’accanimento energetico che vede la Basilicata tra le regioni più esposte al rischio di un ulteriore impoverimento dei suoi asset naturali. In questo quadro di allineamento tra il Governo regionale e quello nazionale, cresce la possibilità che la Basilicata ospiti il deposito unico delle scorie nucleari. Con il centrosinistra non sarebbe cambiato molto rispetto a questi scenari, ma adesso la strada è più agevole per chi governerà.

Gli eletti e la servitù al governo centrale

Lontanissimi i tempi dei parlamentari di spessore e tuttavia genuflessi al governo centrale. Oggi, siamo di fronte a eletti il cui spessore politico è discutibile e comunque non paragonabile con quello dei loro predecessori della prima Repubblica o della fase postunitaria. In comune con i vecchi rappresentanti del popolo di allora avranno l’obbedienza alla “ragion di Stato” che quasi sempre coincide con gli interessi del Nord e del governo centrale. Insomma, che fossero stati eletti Pasquale Pepe o Marcello Pittella o Vito De Filippo, oppure altri esponenti di Fratelli d’Italia invece che Caiata o Rosa, o altri al posto di Casellati, non sarebbe cambiato nulla rispetto all’approccio nei confronti della Basilicata e del Governo centrale. Terra utile ai soliti interessi di parte, pista di decollo e atterraggio di carriere personali giocate nell’obbedienza al governo centrale a sua volta vocato a tutelare gli interessi di alcune regioni a discapito di altre. Il Sud esce male da questa elezione, la Basilicata ancora peggio. Da mesi è ripartito l’esercizio di genuflessione di personaggi aspiranti a nomine e carriere, pronti ad abbandonare lo sconfitto per entrare nelle benevolenze del vincitore. I saltatori di quaglia sono sempre in allenamento.

Un accenno all’Italia: lo scossone che potrebbe rilanciare il riscatto della sinistra che non c’è

A questo punto, la netta vittoria della destra può rappresentare, per una futura alternativa tutta da costruire, l’occasione sempre mancata negli ultimi tre decenni: la costruzione di un fronte sociale e politico che abbia caratteri e ideali nettamente di sinistra. Senza ambiguità, senza rincorse al compromesso con il voto dei moderati, senza ricorso al riformismo debole. Un fronte sociale e politico che abbia un pensiero rivoluzionario e agisca con intenzioni radicali, ma che nello stesso tempo sappia farsi capire dal popolo escluso, emarginato, impaurito. Chi ci ha provato, in queste elezioni, ha miseramente fallito. Perché? Perché l’alternativa alle destre, al neo liberismo, al capitalismo predatorio, non si costruisce con quattro candidati che si nutrono di slogan senza contenuti. Non si costruisce con personaggi creati dalla televisione in cerca di spazi personali, con tanti galli senza pollaio, con “tutti generali” e nessun soldato. Sarà un percorso lungo, faticoso, ma senza intelligenza e cultura politica non si va da nessuna parte. Senza forti riferimenti ideali ogni tentativo è destinato a fallire. È necessario creare un fronte umanista che abbracci nell’idea di destino comune intellettuali, operai, insegnanti, studenti, precari e che metta al centro della politica milioni di poveri e di esclusi. Se non ve ne siete accorti, Meloni ha provato a fare proprio questo, ma da una prospettiva reazionaria e conservatrice.

Certo, questa è roba vecchia, dal sapore ormai utopistico. Tuttavia, mai come oggi quella roba bisogna tirarla fuori dalla cantina e rispolverarla con rispetto per riadattarla alle prospettive di un nuovo futuro. Perché, come ha scritto di recente Edgar Morin, “Non è solo la crisi dei partiti di sinistra in rovina, né soltanto la crisi della democrazia che imperversa in tutto il mondo. Ora siamo al cuore della crisi e la crisi è nel cuore dell’umanità. Civilizzare la Terra, trasformare la specie umana in umanità, diviene l’obiettivo fondamentale e globale di qualunque politica che aspiri non solo al progresso, ma alla sopravvivenza dell’umanità”. Nessuno capirà tutto questo se nessuno lo spiega o sia in grado di spiegarlo. Nessuno capirà tutto questo se chi dovrà capire non è in grado di capire. E allora, sempre con Morin: Urgente “una politica dell’istruzione che dia nuovo impulso alla laicità e restituisca agli insegnanti la loro grande missione umanista. Una politica mirata alla formazione di menti interrogative, in grado di problematizzare e di dubitare, capaci di autocritica e di critica.” Eppure tutti, destra e pseudo sinistra, guardano ancora alla scuola come a una palestra per l’ingresso nel mondo del lavoro che non c’è e non ci sarà, al mondo della produzione banale e del consumo inutile.

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