Stellantis Melfi: “Noi monoreddito, i più poveri di tutti, come faremo?”
La disperazione dei lavoratori più incapienti che chiedono un diretto intervento dello Stato e della multinazionale. “Chiedere aiuto ai sindacati ormai a che serve”?
“Non è neanche il mare ai bambini, che poi qualche domenica a Margherita di Savoia sempre riusciamo a portarli, è più il dopo che ci spaventa, con una situazione aziendale sempre più incerta, con sempre meno giornate di lavoro e meno soldi in tasca”.
A parlare è il cuore degli operai a San Nicola di Melfi. Padri e madri di famiglia monoreddito, che hanno visto la loro condizione economica crollare all’improvviso e senza speranze concrete nel futuro visti i tagli, i ridimensionamenti, gli esuberi paventati da Stellantis. E con le settimane lavorative sempre più corte, quando non del tutto assenti.
“E’ questo il momento caldo. Stato e azienda ci aiutino ora” Ormai i conti si fanno in tasca, sino all’ultimo centesimo. “Per noi che lavoriamo alla Stellantis e che abbiamo figli piccoli e un solo stipendio in casa – spiega un operaio del Montaggio – questo è il momento più complicato che stiamo attraversando negli ultimi decenni”. Una tempesta perfetta. Ingresso dei francesi lo scorso anno nel bel mezzo di una pandemia, numeri di vendita ballerini e in netta discesa nell’ultimo trimestre, crisi dei semiconduttori e guerra in Ucraina. “Tutti prenderemo l’una tantum prevista dal Governo Draghi per luglio (200 euro, n.d.r.), ma cosa ce ne facciamo – incalza l’operaio, con le lacrime agli occhi – tra di noi siamo in molti ad avere un solo stipendio, una famiglia e figli da sostenere e pensieri sempre più offuscati sul futuro, visto che si parla di migliaia di esuberi col passaggio all’elettrico”. Viene il mal di testa solo a pensarci. “Abbiamo case, mutui, spese correnti, bambini da mandare a scuola, non dico in vacanza, ma almeno a scuola”. Situazione sempre più difficile da sostenere visti i pochi giorni di lavoro negli ultimi mesi. “E’ ora di chiedere allo Stato e all’azienda di sostenere il momento difficile – incalza il lavoratore – d’altronde basta vedere l’Isee e si capisce quanti siamo in questa precaria condizione”
“Siamo anche disposti a pagare più tasse quando ci riprenderemo” In questo zoccolo duro di padri e madri di famiglie monoreddito che lavorano sulla linea ci sono tantissime unità, anche qualche migliaio. “Non si tratta di chiedere l’elemosina a nessuno, semplicemente chiediamo un aiuto i questo momento specifico, sperando che domani il mercato si riprenda e potremmo anche versare le tasse in più domani, quando magari saremo meno tormentati”. In questa platea c’è chi non accetterebbe mai l’incentivo all’esodo proposto dalla multinazionale. “Come si fa con un solo stipendio e due o tre figli da crescere a pensare di prendere l’incentivo e ripartire daccapo. È impossibile. Ci sono esigenze impellenti, non prorogabili, possiamo mica farci pignorare le case dove abitiamo”. Nulla contro chi, tra colleghi, se la passa meglio, ma c’è un dato oggettivo che non si può confutare. “Dove entrano due stipendi, perché uno dei due coniugi ha un’attività, o fa un altro lavoro, già è diverso, anche questi fermi produttivi hanno un sapore diverso. Si può aiutare la moglie o il marito che ha un negozio, quindi si riesce a far quadrare i conti anche quando qui in fabbrica non si lavora. Ma noi monoreddito invece, come dobbiamo fare nei mesi che verranno?”
“Inutile affidarsi ai sindacati, perché ormai…” Il ragionamento scivola, inevitabilmente, anche sul sistema sindacale che dovrebbe fare gli interessi dei lavoratori in questo momento d crisi. “Lasciamo perdere – è l’amara sintesi dell’operaio – Ora sono in difficoltà anche i nostri rappresentanti che devono capire cosa fare di qui a qualche anno, inutile rivolgersi a loro e far valere i nostri bisogni di sottoproletariato di fabbrica. Non ci proviamo neanche più”. L’ultimo appiglio è rendere nota la “nostra condizione” e chissà che qualche risposta concreta possa arrivare. “Chiediamo allo Stato e all’azienda di valutare la condizione di chi è più ‘povero’ in fabbrica e oggi non ce la fa, sperando, ma poco, che anche la classe sindacale si accolli questo problema serio e che intervenga nelle sedi idonee”.