Transizione ecologica e transizione energetica: in pericolo il destino della Basilicata
Senza una classe dirigente all’altezza delle sfide l’unica trasformazione che coinvolgerà da protagonista questa regione sarà il passaggio dalla marginalità all’esclusione, dalla servitù alla schiavitù
La transizione ecologica senza dubbio passa attraverso quella energetica. La trasformazione di un sistema produttivo non sostenibile in un modello che riesce ad avere come punti di forza la sostenibilità ambientale, economica e sociale, sarà impossibile senza il passaggio da un sistema di produzione di energie basato soprattutto sulle fonti fossili alle fonti rinnovabili. Il passaggio alle fonti rinnovabili non riguarda soltanto l’approvvigionamento, o la produzione, ma riguarda soprattutto il modo in cui l’energia viene impiegata, usata, consumata. Dunque transizione ecologica ed energetica sono due processi indissolubili. Su questo, credo, siano tutti d’accordo.
Tuttavia le variabili critiche di queste due transizioni risiedono nella sostanza rivoluzionaria che le caratterizza da cui sorgono alcune domande circa i mutamenti dell’assetto geopolitico e geoeconomico mondiale e, soprattutto, del posizionamento delle oligarchie economiche nei mercati internazionali.
In sintesi non si tratta di un semplice passaggio dalle fonti fossili alle rinnovabili, ma di una rivoluzione dei sistemi energetici che avrà profonde e imprevedibili implicazioni sociali, economiche e politiche sugli attuali equilibri mondiali.
Le grandi potenze politiche ed economiche sono già in corsa per assumere il primato nel controllo della produzione delle applicazioni e delle materie prime necessarie alla transizione. In tutto questo restano aperte due questioni cruciali: la complicata riconversione dei sistemi industriali ad alto consumo di fonti fossili e l’impatto sociale sui livelli occupazionali. La partita al momento pare giocata esclusivamente dagli Usa, dalla Cina, dal Giappone e dall’Europa. Un’ incognita rimane l’atteggiamento che assumeranno i Paesi maggiori produttori di petrolio e gas. Ancora nell’ombra il ruolo del continente africano in tutta la vicenda. Che ne sarà dei Paesi del Golfo e della stessa Russia? Che ne sarà delle loro attuali leadership?
Esistono alcuni rischi che, pare, nessuno stia analizzando: un’ulteriore divisione del mondo tra Paesi ricchi e poveri, tra Paesi sfruttatori delle risorse naturali necessarie alla produzione delle applicazioni “verdi” e Paesi sfruttati. In breve, un pericoloso allargamento delle disuguaglianze economiche e sociali nel mondo.
Un’altra criticità riguarda il comportamento delle oligarchie petrolifere: tireranno la corda fino a quando i profitti drenati nel mercato energetico attuale non saranno rimpiazzati dal nuovo sistema alternativo. La loro attenzione è concentrata sulla “transizione dei profitti”. Ad ogni modo, e per tante altre ragioni, il petrolio sarà centrale nell’economia e nelle relazioni internazionali per molti anni ancora.
L’inganno possibile
In tutto questo dibattito e nel pieno di una competizione mondiale, la sensazione è che rimanga ai margini la vera questione: il modello dei consumi, specie in occidente e nei Paesi più ricchi e il modello economico-sociale fondato sulle ragioni ideologiche del neo liberismo e della struttura neo capitalistica dei mercati.
Non ci sarà una vera transizione ecologica senza un rovesciamento delle logiche di dominio che ingabbiano il mondo. Senza il passaggio dal profitto alla condivisione, dalla competizione alla cooperazione, dagli interessi nazionali agli interessi del Pianeta; dagli attuali paradigmi del mercato e delle società di mercato all’umanizzazione dell’economia. Il dogma del lavoro, la divisione sociale delle ricchezze, le disuguaglianze, le povertà, i conflitti etnici, religiosi, economici, il ridimensionamento sostanziale delle democrazie, sono tragiche variabili che ostacoleranno qualunque transizione comunque la si chiami. Soprattutto se, nera o verde, la strada sarà sempre quella dell’accaparramento egoistico delle risorse. Senza, ripeto, il superamento dell’attuale modello capitalistico di sviluppo fondato sull’ideologia neo liberista, tutto sarà più difficile o impossibile. È questo il nodo.
I rischi per la Basilicata
Nel frattempo, aperta la crisi con la guerra in Ucraina, i falchi del petrolio rilanciano sulla necessità di accelerare le estrazioni, da ultimo Michele Marsiglia, presidente di Federpetroli: “Con le nuove tecnologie, non solo in Basilicata e in Lombardia, ma in quasi tutte le regioni ci sono possibilità di estrarre petrolio e gas, sfruttando pozzi a terra… Serviva una guerra per far capire all’Italia quanto sia importante sfruttare i propri giacimenti di idrocarburi o costruire una politica energetica chiara?”
Dunque, intanto che aspettiamo le transizioni energetica ed ecologica, la Basilicata sembra destinata a soccombere all’inevitabile necessità di incrementare la produzione di energia fossile, “per il bene del Paese”. Nel processo di trasformazione verso la nuova prospettiva energetica ed ecologica è probabile che, nell’attesa, alcuni territori dovranno sacrificarsi. Tra questi vi è la Basilicata dove “le potenzialità produttive di petrolio, gas, sole e vento non sono ancora tutte sfruttate.” Se queste insistenze da parte di politici, governi, opinion leader, imprese locali e multinazionali, troveranno positivo riscontro nei prossimi anni tutte le chiacchiere intorno allo sviluppo di questa piccola regione se le porterà via una sola tempesta.
Piano strategico, Pnrr, ammesso che siano teoricamente destinati a funzionare dovranno fare i conti con una realtà che marcia in senso contrario. Basilicata terra di produzione di petrolio e gas al servizio della Nazione. Il mondo andrà lento, molto lento nel cammino verso la transizione energetica ed ecologica, figuriamoci in questa fragile e addormentata Basilicata. Se l’industria estrattiva continua con le emissioni inquinanti (perché tali sono) proseguirà a danneggiare la salute delle persone, l’economia dei luoghi e il patrimonio naturale. La stessa cosa vale per gli altri impianti impattanti e inquinanti. Se questo accadrà ancora nei prossimi 30 anni, senza che ci sia un intervento massiccio e radicale nel presente, il cerchio-bersaglio (l’obiettivo) di una crescita sostenibile e di uno sviluppo armonico, si sposterà sempre più avanti allontanandosi nel tempo. E sarà più difficile usare l’arco da quella distanza.
Il rischio che la Basilicata resti al palo, o comunque in grave ritardo sui processi di transizione è altissimo. Senza una classe dirigente all’altezza delle sfide, l’unica transizione che coinvolgerà da protagonista questa regione sarà la transizione dalla marginalità all’esclusione, dalla servitù alla schiavitù, dalla povertà alla miseria.