La Basilicata dei burattini senza burattinai

1 febbraio 2022 | 15:42
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La Basilicata dei burattini senza burattinai

Siamo una regione di marionette manovrate da fantasmi: la vicenda dell’ultimo scandalo sulla sanità ci suggerisce alcune domande

Leggendo la sentenza “sanitopoli”, quella in cui diverse persone sono state condannate, ho avvertito un senso di stupore. Oltre 250 pagine che assomigliano alla sceneggiatura di un film sul malaffare, io che di potere e malaffare in Basilicata ho consumato fiumi di inchiostro, proprio io sono rimasto sorpreso.

Un andazzo incredibile di abusi, falsificazioni, compiacenze, raccomandazioni per favorire nei concorsi e nelle selezioni i vari tizi destinati a vincere per occupare postazioni delicate nel sistema sanitario regionale. Gente che non aveva titoli né competenze è riuscita a scavalcare coloro che invece ne avevano in quantità.

Acqua calda, nessuna novità. In parte è vero, ma ciò che mi ha sorpreso è la “normalità” con cui si assumevano decisioni assolutamente illegittime. Il senso dell’impunità che avvertivano i protagonisti, la facilità con cui decidevano di falsificare o distruggere documenti, e la pervasività del sistema che, direttamente o indirettamente, ha coinvolto diverse articolazioni dei poteri che contano.

Tuttavia, scorrendo quelle pagine non ho potuto evitare una domanda: possibile mai che in questa regione esistano marionette senza i burattinai? Alla fine del film questa domanda è d’obbligo. Ho provato a darmi delle risposte. Non è da escludere che i burattini ad un certo punto del loro percorso siano in grado di manovrarsi da soli. D’altronde la Basilicata è la regione delle fate, dei folletti e delle capre che fanno ciao. Non è nemmeno da escludere che siano talmente invisibili i fili dei manovratori per cui sei portato a credere che non esistano. Ci sarebbe un’altra risposta: i burattinai sono macchinisti espertissimi, conduttori a distanza di trame invisibili e il più delle volte la loro centrale di movimentazione è nelle sedi politiche e istituzionali. L’ultima possibile risposta però chiama in causa il legame di convenienza, di fede, di sacrificio tra burattino e burattinaio. Quando la faccenda si fa dura e pericolosa qualcuno deve sacrificarsi e quel qualcuno di solito è un fedelissimo burattino. Passata la tempesta il mal capitato sarà ricompensato: uno scatto di carriera, una postazione di prestigio e meglio remunerata. In fondo è un eroe e se lo merita.

Se inneschiamo questa vicende in tutte la altre che hanno caratterizzato la Basilicata negli ultimi 30 anni almeno, mi viene in mente un modello settecentesco di governo: quello soprattutto dei monarchi francesi e spagnoli. Sia Luigi XIV, sia Filippo V, e quelli prima di loro, per esempio, erano interessati più alle loro dinastie, alle loro corone che non alla nazione. La loro politica, i loro affari sacrificavano il Paese a vantaggio del re, della sua famiglia e dei codazzi di aristocratici di ogni specie. D’altronde erano re per grazia di Dio, mica per volontà della nazione! Asburgo e Borbone “si ritenevano i legittimi e assoluti proprietari dei loro Reami che consideravano un bene di famiglia, di una famiglia il cui bene era molto più importante di quello del popolo”.

Ecco, questo modello, calato nell’ultimo trentennio lucano di gestione delle istituzioni e della cosa pubblica, pare abbia funzionato alla perfezione. Vi è da dire, però, che quelle monarchie hanno fatto una brutta fine. La Basilicata, invece, continua ad avere i suoi reami, ducati, marchesati, in lotta tra loro, in un vortice di alleanze, inganni e tradimenti come nell’Italia all’epoca del Duca di Savoia e Principe di Piemonte. La Basilicata è il premio per chi vince, ogni volta.