Biomasse, Legambiente: la Regione Basilicata abolisce il requisito della filiera corta
“Un provvedimento sbagliato e dannoso per l’ambiente e per il settore economico”
Con l’articolo 18 della legge n. 59 del 15 dicembre 2021 (Collegato alla Legge di Stabilità regionale 2021), la Regione Basilicata ha abrogato uno dei requisiti tecnici minimi previsti per gli impianti di produzione energetica a biomasse contenuto nel PIEAR (Piano di indirizzo energetico ambientale regionale, Legge regionale n. 1 del 2010). In sostanza viene abolito il requisito della filiera corta e pertanto d’ora in poi gli impianti alimentati a biomasse non avranno più limiti spaziali per l’approvvigionamento della materia prima laddove, fino ad oggi, il funzionamento di tali impianti poteva essere garantito solo da biomasse ottenute nell’ambito di attività agricole, forestali ed industriali condotte entro un raggio di 70 km dall’impianto.
“Si tratta – dichiara Antonio Lanorte – di un provvedimento a nostro avviso profondamente sbagliato e dannoso poiché è evidente che se viene meno il requisito della filiera corta si mina alle fondamenta il principio di reale sostenibilità delle biomasse a fini energetici, dichiarandole di fatto, in un solo colpo, fuori dall’ambito delle fonti energetiche rinnovabili”.
“Infatti – continua Lanorte – al di là delle definizioni normative, le biomasse possono essere considerate sostenibili se: (1) provengono da una filiera di prossimità che non implica lunghi viaggi, (2) non si tratta di culture dedicate, che competono con altri usi e rappresentano una forzatura del naturale ciclo di assorbimento/liberazione di CO2, (3) si tratta di scarti che non troverebbero una miglior sistemazione, (4) il ritmo di sfruttamento non è superiore al tasso di ricrescita. Sull’ultimo punto, in particolare, bisogna considerare che, sebbene in Italia la copertura boschiva sia in aumento, è anche vero che siamo ben lontani da una neutralità carbonica e quindi da una gestione forestale ottimale affinché i boschi contribuiscano in modo più efficace agli obiettivi di mitigazione climatica”.
“In più – secondo Lanorte – questo provvedimento è in netta controtendenza rispetto alla nuova Strategia europea per le foreste per il 2030 che si pone l’obiettivo di migliorare la qualità delle produzioni forestali e l’efficienza delle filiere foresta-legno e foresta-energia in cui l’utilizzo della biomassa forestale per produrre energia rinnovabile a uso termico, può avvenire a condizione di rispettare il principio di uso a cascata delle risorse agroforestali (prima legname da falegnameria, poi ad uso edilizio e industriale, dopo il recupero e riciclo ed infine biomasse a uso energetico) provenienti da filiere corte e tenendo conto delle emissioni in atmosfera che questi impianti provocano. In questo contesto e degli sviluppi normativi in atto è anche evidente il ruolo determinante che gioca la presenza di una centrale a biomasse come quella del Mercure ubicata in provincia di Cosenza ma anche vicinissima alla Basilicata. Legambiente ha sempre avuto un giudizio critico sulla realizzazione di questa centrale: già dieci anni fa infatti sottolineava come la grande taglia dell’impianto avrebbe richiesto di drenare materiale da un territorio molto ampio, con un’incidenza significativa del trasporto, in termini di emissioni e consumi di combustibile, chiedendosi se nei 70 km di raggio previsti esistesse realmente una quantità di biomassa sufficiente ad alimentare l’impianto. Adesso vediamo le conseguenze di quella scelta che però condizioneranno pesantemente tutto il settore delle biomasse in Basilicata”.
“L’assessore regionale all’Ambiente ed Energia – sostiene ancora Lanorte – ha presentato l’abrogazione della filiera corta nel settore delle biomasse come un grande passo in avanti per la competitività contrattuale delle imprese lucane del settore rispetto alle imprese extraregionali. Si potrebbe discutere a lungo di questo aspetto che forse però compete ad altro Dipartimento. Di sicuro questa legge non è una buona notizia per chi ha a cuore la tutela dell’ambiente in Basilicata, ma non lo è neanche per un settore economico, quello delle biomasse agricole e forestali, sul quale si dovrebbero programmare altre linee di sviluppo. Infatti, le agroenergie possono essere l’occasione per ricostruire, assieme a lavoratori e imprenditori del settore, un modello agricolo, forestale e zootecnico più sostenibile ecologicamente, socialmente ed economicamente. A patto però di seguire pochi e chiari criteri che decidono della sostenibilità o meno di un impianto: la filiera corta che utilizza le risorse disponibili localmente; l’utilizzo di sottoprodotti della produzione agricola che altrimenti sarebbero trattati come rifiuti, l’utilizzo solo in misura marginale di colture dedicate e stando bene attenti al consumo di acqua ed energia, all’incremento di sostanza organica nel suolo e all’impatto sulla biodiversità. E naturalmente è necessario assicurare tutte le garanzie per la salute delle persone e dell’ambiente. Bisogna quindi valutare il potenziale energetico del nostro territorio sulla base di un censimento delle biomasse (agricole, forestali, agroindustriali, urbane, ecc.) disponibili localmente; stimare la quantità di biomassa effettivamente ritraibile dal bosco per fini energetici (solo la frazione del tasso naturale annuale di accrescimento del bosco, dunque mantenendo la riproducibilità della risorsa); definire i criteri igienici e ambientali, la potenza energetica globale, la tipologia e l’eventuale dislocazione territoriale degli impianti. E’ necessario operare secondo i principi della bioeconomia circolare e sostenibile per evitare conflitti di domanda e offerta e cambiamenti nella disponibilità di terreno per la produzione di cibo, biomateriali e bioenergia mantenendo le risorse al loro massimo valore il più a lungo possibile attraverso l’utilizzo a cascata della biomassa e il riciclo, assicurando la conservazione del capitale naturale. E, come sempre, coinvolgere i cittadini in veri processi di partecipazione, che aiutino a capire meglio i possibili effetti, positivi e/o negativi, della eventuale localizzazione di impianti”.
“Ci auguriamo – conclude Lanorte – che sul tema in generale e sulle conseguenze dell’art. 18 della legge 59 si possa aprire una discussione e riflessioni più approfondite, valutando tutte le conseguenze negative di tale provvedimento e le opportune modifiche”.