Matera, scoperte altre quattro chiese rupestri nei Sassi
Segnalati anche consistenti residui pittorici e architettonici relativi ad altri luoghi di culto
Sono state rese note oggi al pubblico importanti novità circa il patrimonio rupestre cittadino, emerse nel corso del 2021 nei Sassi di Matera. In particolare, la scoperta di quattro chiese rupestri inedite, quali Sant’Eugenia in Via D’Addozio, San Cataldo al Lombardo in via Rosario, Sant’Andrea alla Civita nei pressi di Via Civita e San Bartolomeo vecchia nell’omonima via. Si sono inoltre segnalati consistenti residui pittorici e architettonici relativi ad altri luoghi di culto, precedentemente solo superficialmente censiti, e che dunque non erano mai stati indagati, né fotograficamente documentati.
È prevista una conferenza di presentazione alla città, a ingresso libero, mercoledì 22 dicembre alle ore 18:00 all’Istituto Sant’Anna in via Lanera a Matera (in concomitanza con la consegna dei Premi Antros). Un corposo speciale dedicatovi è nel numero 18 della rivista Mathera, in distribuzione dal 21 dicembre.
Le scoperte si sono rese possibili grazie alla concomitanza di due fattori: da un lato la pubblicazione del volume Riflessi storici e toponomastici di Matera, ove sono confluite le pluriennali ricerche storiche di Marco Pelosi e Gianfranco Lionetti, e d’altro lato la revisione e l’ampliamento delle schede del Catasto dei Beni culturali del Comune di Matera, a opera di Francesco Foschino e Raffaele Paolicelli, che saranno online nei prossimi mesi. Ciò ha dato occasione a questi ultimi di effettuare estesi e capillari sopralluoghi nei siti già censiti, e soprattutto di poter allargare l’indagine a quei siti inediti che erano suscettibili di corrispondere a chiese rupestri, sulla base delle fonti archivistiche svelate da Pelosi e Lionetti, e da loro ricerche in atto. A seguire, la descrizione delle chiese rupestri scoperte.
Sant’Eugenia in Via D’Addozio. Situata di fronte i giardini di S. Agostino, il suo ingresso fu quasi totalmente interrato nei primi anni del Novecento, in quanto fu realizzato un terrapieno per diminuire la pendenza della costruenda via D’Addozio. Nel Catasto dei beni culturali del 1998 fu segnalato che la cavità contigua presentasse architetture tipiche dei luoghi di culto. Nei loro studi, Lionetti e Pelosi hanno ipotizzato la prosecuzione della chiesa anche in cavità contigue a questa, e individuandola come la chiesa -nota in fonti medievali- di Sant’Eugenia. Foschino e Paolicelli, tramite un varco residuale dell’accesso murato, e l’utilizzo di una scala telescopica, hanno effettuato un sopralluogo calandosi all’interno, e così verificando la correttezza dell’intuizione. Nonostante le divisioni interne risultino oggi azzerate da successivi riutilizzi, si può leggere come la chiesa disponga di due cappelle laterali (una delle quali presente nella cavità contigua, segnalata nel 1998) e due absidi. Le cappelle laterali presentano conche absidali con triplice cerchio concentrico, e tre archi ciechi dotati ciascuno di una tripla ghiera. Le due absidi principali sono affiancate. Quella di destra riprende lo schema delle conche absidali delle due cappelle. L’abside di sinistra, al contrario, rappresenta un unicum assoluto delle chiese rupestri italiane. Difatti la conca, oltre al triplo cerchio concentrico sommitale e agli archi ciechi con tripla ghiera, offre tre fasce concentriche di bassorilievi con motivi triangolari che vanno a concatenarsi alternati. All’interno di questi spazi, decori di diversa foggia completano quello che è senza dubbio la più spettacolare abside aniconica del patrimonio rupestre nazionale.
San Cataldo al Lombardo. È situata in via Rosario, quasi sulla verticale della chiesa della Mater Domini, a un livello inferiore. Non è mai stata segnalata in precedenza, pur se la medesima dedicazione fu assegnata ad altri siti, che invece non si rivelano chiese. In esterno vi è un arco a tutto sesto con ghiera a segnalarne l’ingresso. L’individuazione è stata possibile grazie agli studi di Lionetti e Pelosi, che ne hanno dedotto l’ubicazione sulla base di fonti archivistiche, e il primo sopralluogo è stato effettuato da Foschino e Paolicelli. La chiesa è oggi divisa in tre distinti ambienti, ciascuno dotato di autonomo accesso, ricavati murando i varchi di passaggio originari fra le diverse aree della chiesa. All’ingresso è presente un sontuoso vestibolo, sul quale si aprono tre archi con ghiera, che permettevano il passaggio alla parte presbiteriale (quello frontale) e alle cappelle laterali (gli altri due). Fra l’ingresso principale e l’arco laterale destro, dunque all’angolo della controfacciata, fu realizzata una conca absidale molto raffinata, perfettamente orientata a Est. Si tratta di quella che in letteratura viene definita “nicchia orientata”, realizzata per ottenere un altare canonicamente orientato a Est, in un luogo di culto diversamente orientato. La planimetria è complessa e di non facile ricostruzione in seguito a rimaneggiamenti e murature, ma si presenta di pregevole fattura, con una navata centrale, cappelle laterali (o forse due navate laterali) e una nicchia orientata.
Sant’Andrea alla Civita nei pressi di Via Civita. Quando nel 1904 un rovinoso crollo interessò Via Civita, il Genio Civile ritenne di modificarne il percorso, sacrificando alcune cavità artificiali, che furono murate e quindi interrate. È la sorte toccata a questa, che oggi è raggiungibile con modalità alquanto disagevoli. Va infatti prima raggiunta una cavità sospesa sul vuoto, che dal Genio Civile fu risparmiata inglobandola all’interno di un arco ricavato nella possente muratura della nuova e sovrastante strada. Da questa, un’irregolare breccia nella parete rocciosa consente uno scomodo ingresso nella nostra chiesa. La scoperta è avvenuta durante i sopralluoghi di Foschino e Paolicelli, interessati a ricercare la chiesa di Sant’Andrea alla Civita, che sulla base degli studi di Lionetti e Pelosi era ubicata proprio nella zona oggetto del vecchio crollo della via. Si tratta di una chiesa ad impianto basilicale, dove la lettura del sito non è immediata per la presenza di numerosi detriti, precipitati da una botola del calpestio superiore, e di alcune murature realizzate allo scopo di rinforzarne la struttura al momento del suo interramento. La qualità dello scavo è eccelsa, raffinata e monumentale.
La navata sinistra, parzialmente inagibile, offre sul fondo un’abside alla materana, con tre archi ciechi concentrici. Numerosi varchi offrono passaggi fra le navate, costituiti da precisi e alti archi a tutto sesto. L’abside della navata centrale è particolarmente slanciata, ed è munita di ghiera sommitale. La parete sinistra della navata centrale ha chiari ed estesi lacerti di affreschi, che si presume di maggiore estensione, pur se celati da varie concrezioni. La navata destra pare presentare una tomba ad arcosolio, in parte rimaneggiata. La campata presbiteriale ha una calotta a mo’ di cupola.
San Bartolomeo vecchia in Via San Bartolomeo. Foschino e Paolicelli, nel corso delle loro ricerche, hanno ipotizzato la presenza di una chiesa rupestre medievale dedicata a San Bartolomeo, sita in prossimità alla chiesa costruita avente la medesima dedicazione. Quest’ultima, convertita ad abitazione negli anni Trenta, era già nota, ma presenta fattezze tipicamente post-medievali, e dunque non poteva coincidere con la chiesa di San Bartolomeo di cui parlano plurime fonti medievali, fra le quali un documento del 1189. L’ipotesi da verificare era che la chiesa rupestre medievale fosse stata sostituita da una sua riedizione, costruita nelle immediate vicinanze. Si sono quindi esplorate le cavità a queste contigua, e difatti si è rinvenuta in una di queste la chiesa rupestre ricercata, di cui è interamente superstite la parte presbiteriale. Questa è preceduta da un arco a tutto sesto e di presenta con forma trapezoidale. L’abside è arricchita da una ghiera, e su entrambe le pareti laterali di aprono due nicchie cieche. La scialbatura dell’ambiente e il tompagno che le rettifica non permettono di verificare eventuale presenza di affreschi.
Datazione. Al momento degli studi non è semplice sbilanciarsi, ma si può congetturare che la chiesa di San Bartolomeo sia certamente del XII secolo, e le altre tre del XIII secolo. Sant’Eugenia, Sant’Andrea alla Civita e la chiesa rupestre di San Bartolomeo risultavano già in disuso al tempo della visita di Antinori del 1623. Pochi decenni dopo anche la chiesa di San Cataldo fu adibita a usi profani.
Oltre alla scoperta di quattro chiese totalmente inedite, altre novità hanno riguardato siti già censiti, dei quali era nota solo l’ubicazione. Nel dettaglio, si sono fotografati affreschi rinascimentali di elevata fattura in una chiesa anonima in via Madonna delle Virtù (erroneamente nota come San Benedetto), residui di affreschi e pregevole architettura nella chiesa di Santa Cesarea (segnalata dalla Bracco negli anni Trenta ma mai oggetto di indagine in quanto murata per decenni), si è proposta una ricostruzione virtuale per una chiesa costruita presente nell’agro, a pianta centrale circolare e absidata, verosimilmente dedicata a San Martino. Inoltre, si sono approfondite le fonti e indicato le corrette dedicazioni per un cospicuo numero di chiese, come riportato in Riflessi storici e toponomastici di Pelosi e Lionetti. Altri siti invece, non si sono rivelati luoghi di culto, come impropriamente censiti in precedenza (Cappuccino nuovo, San Giacomo, San Leucio, grotta del brigante Padovani, Santuario di Larienzo e altre). Il dettaglio degli studi è pubblicato nel numero 18 della rivista trimestrale Mathera, in distribuzione dal 21 dicembre.