La moglie del prefetto indagata per caporalato: lui si dimette
Inchiesta dei Carabinieri e procura di Foggia, 5 persone arrestate. La ministra Lamorgese ha accettato le dimissioni
Blitz contro il caporalato la notte scorsa a Manfredonia e in altri comuni della provincia di Foggia. Le forze dell’ordine hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 16 persone (due in carcere, tre ai domiciliari e undici tra obblighi di dimora e obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria). Una misura riguarda anche la moglie del capo Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, già prefetto di Reggio Calabria, che ha rassegnato le proprie dimissioni dall’incarico.
La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha accettato le dimissioni del prefetto dall’incarico di capo dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione presentate a seguito dell’inchiesta giudiziaria che coinvolge anche sua moglie.
I cinque provvedimenti di arresto, da quanto apprende l’Adnkronos, hanno riguardato persone con precedenti penali. Gli altri undici indagati, tra cui la moglie del prefetto, sono stati sottoposti a misure meno afflittive e cioè obbligo di dimora oppure obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. I due sottoposti agli arresti in carcere sono cittadini extracomunitari.
Come retribuzione per il lavoro prestato nei campi, venivano pagati 5 euro per ogni cassone di pomodori riempito, lavoravano privi dei previsti dispositivi di sicurezza e sotto controllo serrato, non risultavano sottoposti alle visite mediche prescritte e venivano trasportati sui campi con mezzi non idonei e fatiscenti, ‘in pessime condizioni d’uso, pericolosi per la circolazione stradale e per la incolumità degli stessi lavoratori’. E’ quanto, i carabinieri che hanno svolto le indagini contro il caporalato hanno appreso dagli stessi migranti impegnati nel foggiano in particolare nella raccolta dei pomodori, spesso da mattina a sera.
Alcuni dei lavoratori individuati erano privi di ogni contratto di lavoro. Tali accertamenti, unitamente alle attività tecniche disposte dalla Procura di Foggia, hanno permesso di avviare l’indagine, attiva da luglio a ottobre 2020, grazie alla quale è stato possibile far luce sul sistema di selezione, reclutamento, utilizzo e pagamento della manodopera messo in piedi dai caporali e dai proprietari delle aziende, indagati per Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
In sostanza, attraverso è stato verificato che per diverse aziende agricole, ben 10 in totale, il gambiano 33enne, già individuato come caporale, coadiuvato per gran parte delle sue illecite attività da un 32enne senegalese, anch’egli domiciliato nell’ex pista di Borgo Mezzanone, era “l’anello di congiunzione” tra i rappresentanti delle varie aziende operanti nel territorio nel settore agricolo e i braccianti. Alla richiesta di forza lavoro avanzata dalle aziende, i due extracomunitari si attivavano e reclutavano i braccianti all’interno della baraccopoli, provvedevano al loro trasporto nei terreni e li sorvegliavano durante il lavoro, pretendendo, sia 5 euro a testa per il trasporto, sia 5 euro da ogni bracciante per l’attività di intermediazione. Ancora, è stato accertato che il principale dei due reclutatori si occupava anche di dare specifiche direttive ai braccianti sulle modalità di comportamento in caso di accesso ispettivo da parte dei carabinieri.
Oltre a essere sfruttati nei campi con paghe basse, orari inumani e mancata sicurezza, i braccianti migranti reclutati dai ‘caporali’ nel foggiano vivevano all’interno della ‘ex pista’ di Borgo Mezzanone, in “pessime condizioni igienico sanitarie” e in forte stato di bisogno. L’accampamento ospita “circa 2000 persone”.
Caporali, titolari e/o soci delle aziende agricole, che facevano parte dell’ingranaggio, avevano messo in piedi un apparato quasi perfetto, che andava dall’individuazione della forza lavoro necessaria per la lavorazione dei campi, al reclutamento della stessa, fino al sistema di pagamento, risultato palesemente difforme rispetto alla retribuzione stabilita dal Contratto collettivo nazionale, nonché dalla tabella paga per gli operai agricoli a tempo determinato della provincia di Foggia.
Le buste paga, infatti, sono risultate non veritiere, poiché nelle stesse venivano indicate un numero di giornate lavorative inferiori a quelle realmente prestate dai lavoratori, senza tener conto dei riposi e delle altre giornate di ferie spettanti. I lavoratori, tra l’altro, non venivano neanche sottoposti alla prevista visita medica.
Agli indagati viene contestato, a vario titolo, l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, come previsto dall’articolo 603 bis del codice penale, poiché, quali intermediatori illeciti e reclutatori della forza lavoro, quali utilizzatori della manodopera, addetti al controllo sui campi dei braccianti, in concorso, assumevano, utilizzavano o comunque impiegavano manodopera costituita da decine di lavoratori africani, allo scopo di destinarla alla coltivazione di terreni agricoli di proprietà, o comunque nella disponibilità delle imprese e società, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie e dalla circostanza che essi dimorano in baracche e ruderi fatiscenti all’interno della “ex pista” di Borgo Mezzanone, pretendendo dagli stessi anche del denaro sia per il trasporto che per l’intermediazione, con l’aggravante di aver commesso il fatto impiegando un numero di lavoratori superiori a tre. (Adnkronos)