Impianto rifiuti, a Tortora una Marcia per dire “No” alla riapertura di San Sago
Legambiente: “Insieme a cittadini, studenti e sindaci per chiedere la delocalizzazione dell’impianto”
In una nota Legambiente annuncia la marcia che si terrà domani, 17 dicembre, per dire no alla riapertura dell’impianto di trattamento rifiuti di San Sago al confine tra Calabria e Basilicata.
Dopo un paio di rinvii a causa delle condizioni atmosferiche, venerdì 17 dicembre, alle ore 10 a Tortora, con partenza dal lungomare, Legambiente organizza la Marcia per la delocalizzazione dell’impianto di San Sago: migliaia di piedi, di braccia, di cuori e di bocche per dire No alla sua riapertura. Ma evitando di cadere vittime della sindrome Nimby (Non nel mio giardino). L’obiettivo della manifestazione è, infatti, porre con forza il tema dell’idoneità di quel sito ad ospitare quel tipo di impianto, valutando tutte le alternative possibili e sostenibili dal punto di vista ambientale.
L’impianto di eliminazione di rifiuti pericolosi e non pericolosi ubicato in località San Sago nel Comune di Tortora a pochi metri dal Fiume Noce e quindi dal confine tra Calabria e Basilicata, è una struttura che nasce oltre 30 anni fa come impianto pubblico autorizzato al trattamento dei reflui urbani comunali e nel corso degli anni viene riconvertito ad impianto privato autorizzato, appunto, al trattamento dei rifiuti speciali pericolosi e non. L’impianto come è noto dovrebbe trattare svariate tipologie di rifiuti speciali liquidi e fangosi provenienti da industria tessile, chimica, meccanica, conciaria, macelli, lavanderie industriali, tintorie, stamperie, industria del legno, industria dei detersivi, etc., nonché percolati prodotti dagli impianti di discarica. Pertanto stiamo parlando di una piattaforma industriale che ha avuto nel corso degli anni una radicale modifica della sua destinazione d’uso senza una sostanziale evoluzione tecnologica, collocata in un sito che se 30 anni fa, cioè nel secolo scorso, poteva avere un senso, oggi, negli anni venti del ventunesimo secolo, appare del tutto inidoneo ad ospitare un impianto di questo tipo e con queste funzioni.
La sede non è idonea oggi e probabilmente non lo era nemmeno nel 2009 quando la Regione Calabria concesse l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) poi sospesa temporaneamente nel 2013 quando l’impianto fu sottoposto a sequestro preventivo (e mai più riaperto da allora) per una serie di violazioni per le quali fu instaurato un procedimento penale e poi nel 2018 in seguito a inosservanza, da parte della società che gestisce l’impianto, del blocco delle attività in seguito al sequestro del 2013.
Le vicende giudiziarie hanno certamente un loro peso specifico nella storia dell’impianto di San Sago e, tuttavia, un verdetto definitivo potrà uscire solo dal processo attualmente in corso che giudicherà l’operato di chi ha gestito la struttura in questo trentennio. Ora però ci interessa di più motivare la nostra opposizione alla riapertura dell’impianto valutando le opportunità di delocalizzazione in un sito più adatto, puntando ad una piattaforma industriale più moderna e possibilmente anche funzionale a processi di economia circolare così necessari nell’ottica della transizione ecologica in coerenza con le politiche europee sul tema del riciclo e recupero di materia dai rifiuti.
Il parere positivo di Valutazione d’Incidenza (Vinca) rilasciato nei mesi scorsi dalla Regione Basilicata in relazione ai potenziali impatti dell’impianto sul sito ZSC (Zona Speciale di Conservazione) “Valle del Noce” costituisce certamente, purtroppo, un elemento favorevole alla riapertura dell’impianto, tuttavia, nemmeno può rappresentare l’atto fondamentale in base al quale prendere decisioni, vista l’assoluta genericità dei contenuti della Vinca stessa rilasciata dagli uffici regionali e la loro sostanziale ininfluenza in relazione ad un’oggettiva valutazione della compatibilità dell’impianto con gli habitat protetti della Zona Speciale di Conservazione.
Rilevanza del tutto diversa avrà invece l’AIA che ci auguriamo non verrà concessa dalla Regione Calabria sulla base di una valutazione oggettiva dell’impatto delle attività previste ma soprattutto in virtù di una oggettiva analisi dell’inopportunità di consentire tali attività in un’area evidentemente non idonea.
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