Scuola, lavoro, ignoranza: la ricetta del ministro Cingolani per il futuro dei giovani
Lo Stato abbia a cuore lo sviluppo delle conoscenze e della cultura dei propri cittadini. La scuola non deve sfornare omini per la produzione, ma uomini per la vita
Abbiamo trasformato ogni cosa inseguendo il dogma del denaro e della ricchezza. Bernard de Mandeville ne La favola delle api, ci avvertiva: la ricchezza più sicura consiste in una moltitudine di poveri laboriosi. E così è stato: un problema sociale – i poveri – trasformato in una miniera d’oro – i poveri laboriosi. Siamo agli albori della prima rivoluzione industriale. Una delle più grandi invenzioni della borghesia e del capitalismo: il lavoro. E così il lavoro diventa un dogma e, senza che l’umanità civilizzata dal capitalismo se ne renda conto, si trasforma nella causa di tutte le disgrazie del Pianeta.
La Bibbia ci avvertiva: il lavoro è una maledizione. A nulla sono serviti anche gli avvertimenti dei filosofi e dei poeti dell’antichità: il lavoro svilisce l’uomo. Lo sanno quei piccoli e ormai emarginati popoli scampati alla “civilizzazione capitalistica”.
Continuo a chiedermi come faccia certa sinistra a costruire ragionamenti sul futuro senza considerare la necessità di una critica radicale al modello di società costruito sul dogma del lavoro. Eppure, la critica senza sconti al lavorismo sarebbe una delle condizioni fondamentali per indicare una prospettiva di miglioramento del mondo contemporaneo. Se sul lavoro è stato costruito il capitalismo, se sul lavoro si è sviluppata la società consumistica, se il lavoro è stato ed è origine di ingiustizie e di privazioni di diritti, allora è il lavoro che va messo in discussione così come abbiamo imparato a conoscerlo nella cultura occidentale e nella civiltà capitalistica negli ultimi due secoli.
L’uscita del ministro Cingolani sull’inadeguatezza del sistema scolastico, è l’ennesima conferma di quanto sta accadendo di tragico, da decenni, in questo Paese e nel mondo occidentale, in continuità con l’inganno degli ultimi secoli: “Basta studiare quattro volte le guerre puniche, serve più cultura tecnica per preparare i giovani alle professioni del futuro”. E no, ministro, è esattamente il contrario: serve più cultura umanistica, filosofica, sociologica, storica, artistica per tutti. Il bravo tecnico, ma ignorante, è funzionale alla produzione, non serve allo sviluppo, alla democrazia, alla vita, all’affermazione dei diritti, al pensiero critico, alla formazione delle coscienze, all’alfabetizzazione digitale e all’approccio critico all’uso di internet.
Le abilità tecniche per la produzione siano a carico delle aziende non dello Stato. Lo Stato abbia a cuore lo sviluppo delle conoscenze e della cultura dei propri cittadini. Le aziende si preoccupino dell’addestramento al lavoro. Uno Stato civile e democratico non addestra nessuno, ma promuove le condizioni affinché le persone abbiano cultura. La scuola non deve sfornare omini per la produzione, ma uomini per la vita.
Tornando a Bernard de Mandeville e parafrasandolo, possiamo dire che Cingolani e quelli come lui ci avvertono: “la ricchezza più sicura per il neo capitalismo digitale consiste in una moltitudine di ignoranti laboriosi e tecnicamente addestrati”.