Il racconto di Atefa: i talebani hanno spento la voce delle giornaliste afghane
Intervistata per Basilicata24, la giovane reporter racconta del suo sogno spezzato: “Per loro non siamo esseri umani”
“Le giornaliste che lavorano nei media visivi come la televisione, devono indossare il velo, il hijab, islamico. Vietato trasmettere drammi e soap opera con donne”. Arriva una nuova serie di “linee guida religiose” emanate dal Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, che ha sostituito il Ministero degli affari femminili dopo che, lo scorso agosto, i talebani hanno preso il potere in Afghanistan. Le nuove regole, emanate domenica 21 novembre, stabiliscono nuove restrizioni per tv e radio afghane confermando, ancora una volta, che le donne vanno cancellate. Le nuove restrizioni dunque potrebbe scoraggiare anche le poche giornaliste rimaste, costrette a lavorare sotto copertura e con pseudonimo. Nei 100 giorni di governo talebano oltre il 70% dei media è rimasto paralizzato nel Paese. I pochi giornali e agenzie di stampa ancora attivi sono diventati portavoce dei talebani.
Atefa Haidari è una giovane giornalista che ha perso il lavoro. Il suo sogno di bambina è stato spezzato dagli studenti coranici. Con lei ripercorro i sacrifici e gli sforzi fatti per affermarsi come giornalista in un Paese in cui le donne hanno dovuto faticare per conquistare il diritto a lavorare. Atefa è nata in un remoto distretto della provincia di Ghazni, ma a causa di difficoltà la sua famiglia è stata costretta a trasferirsi nella provincia di Kandahar dove la giovane ha studiato e dove, già prima di terminare gli studi, è riuscita a trovare lavoro in una radio locale. “Da bambina -mi racconta-guardavo la Tv, qualche volta ascoltavo la radio, e sognavo di diventare giornalista. Ricordo quando posizionando il telecomando davanti a me, fingevo di essere un giornalista che parlava al microfono”.
E’ stato otto anni fa, che finalmente Haidari ha realizzato il suo sogno iniziando a lavorare come giornalista in una stazione radio locale di Kandahar. All’inizio, a causa delle differenze etniche e linguistiche i suoi colleghi l’hanno ridicolizzata e umiliata. E non solo. All’epoca non c’erano reporter donna nei media di Kandahar e questo ha reso tutto più difficile. Ma Atefa ha ignorato maltrattamenti e umiliazioni dei suoi colleghi e si è impegnata a migliorare sul lavoro. Il suo obiettivo principale era quello di dare voce alle ragazze e delle donne di Kandahar e ci era quasi riuscita. Negli ultimi otto anni, la giovane reporter ha lavorato per diverse stazioni radio e produzioni locali a Kandahar e per un giornale di Kabul. Il suo obiettivo professionale era di poter entrare in un popolare canale televisivo, Tolo Tv, e diventare una giornalista famosa. La caduta dell’Afghanistan nelle mani dei talebani il 15 agosto, che ha riportato indietro di vent’anni il Paese, le ha tolto ogni speranza.
“Non voglio più essere un giornalista- mi dice- Quello che i talebani dicono non è quello che mettono in pratica. I talebani non hanno risparmiato nemmeno le vaccinatrici. Fondamentalmente, non accettano le donne come esseri umani”.
Vale la pena ricordare che, già prima dell’arrivo al governo degli estremisti islamici, un certo numero di giornaliste aveva lasciato il lavoro nelle province meno sicure dell’Afghanistan. Pochi mesi prima della caduta di Kabul, avevo intervistato Rangina Anwari, l’unica giornalista donna della provincia di Kandahar che produceva servizi televisivi. È stata costretta a dimettersi a causa di minacce e a lasciare il giornalismo dopo che Malala Maiwand, sua collega e migliore amica, è stata uccisa dai talebani.
Nella provincia di Kandahar, solo il 5% delle giornaliste che lavoravano ha avuto modo di farlo in modo professionale perché il lavoro femminile era comunque considerato una vergogna. Tuttavia con il governo precedente, era garantita una serie di libertà individuali. Dopo l’avvento dei talebani, non solo le giornaliste sono state costrette a lasciare il lavoro ma anche ai media di Kandahar non è permesso trasmettere la voce delle donne alla radio e alla televisione.
“Non è possibile lavorare in una situazione così pericolosa -spiega Atefa- ed è per questo che non voglio più farlo in Afghanistan”. Come lei centinaia di altre giornaliste hanno perso il lavoro, alcune sono riuscite a lasciare il Paese, quelle che rimangono sono costrette a vivere nascoste e soprattutto senza alcuna prospettiva per il futuro. I talebani hanno cancellato i loro volti e spento le loro voci.روایت یک دختر خبرنگار در ولایت کندهار