Bari, nel saggio di Palmisano le dimensioni dolenti di una città

15 novembre 2021 | 10:55
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Bari, nel saggio di Palmisano le dimensioni dolenti di una città
La copertina del libro

“La città spezzata” è una geografia sincera delle piaghe profonde, frutto di un’aratura sociologica attenta e circostanziata, dalle ultime decadi del secolo scorso ai giorni nostri

“La città spezzata” di Leonardo Palmisano (Fandango Libri, 2021) posa uno sguardo onesto sulle dimensioni dolenti di una città, Bari, intimamente percorsa da violenze, disperazioni, discriminazioni, visibili e invisibili.

È una geografia sincera delle piaghe profonde, frutto di un’aratura sociologica attenta e circostanziata, dalle ultime decadi del secolo scorso ai giorni nostri. Un rendiconto della proliferazione capillare di clan mafiosi dediti al controllo puntuale di ogni attività, dall’usura che scarnifica la vitalità originaria della città, oggi troppo spesso poggiata su risorse altrui, al racket, la droga, le armi, la prostituzione, fino all’ingerenza nelle questioni pubbliche, attraverso pressioni e adesioni politiche di convenienza, puntando sulle coalizioni vincenti. Le dettagliate pagine de La città spezzata disvelano il “micidiale incrocio di vita e di morte, di pace e di vendetta” annunciato senza mezzi termini in quarta di copertina. Da barese, ignoravo – tra le altre cose – le storie di commistione politico-mafiosa che fecero da sostrato alla violenta uccisione del giovane militante comunista Benedetto Petrone, nel 1977.

Scrive Palmisano, “come da tradizione barese, mondo malavitoso e mondo fascista sono imparentati, collaborativi”. Una città che ha perso identità, se non in alcuni ambiti della città vecchia, esposta a continui tentativi di deportazione. Una città che si infrange sui confini tra i rioni, dove si fa purulenta la ferita della povertà, humus prediletto per molte forme di sfruttamento, abusi, sopraffazioni. Tutti dettagliatamente illustrati dal saggio, che dà voce a persone che restano sistematicamente invisibili, mentre su quel che resta della proverbiale vitalità “levantina” imperversano nuove forme di imprenditori “strani”, con valigie piene di soldi, dediti allo sciacallaggio commerciale. E in troppi lavorano “ringraziando”, ossia pagando una quota del proprio stipendio al clan per lavorare: compensi alleggeriti sui banconi dei bar come nelle campagne.

Responsabilità della politica, tendenza scriteriata all’edificazione selvaggia, attraversamenti dei terroristi della jihad, la pletora di famiglie mafiose che, a vari livelli, hanno approfittato di una “alegalità diffusa” in città. Mentre “il mondo intellettuale locale raramente ha preso posizione aperta contro la mafia del territorio”, scrive l’autore. Una mafia, quella barese, poco studiata, negata persino, da personaggi politici molto influenti, ormai suddivisa su base rionale, con impostazioni camorristiche o ‘ndranghetistiche. Ma, a quanto leggiamo, non ancora gestita da un’unica cupola. Ai giovani con kalashnikov, Palmisano fa sapere che “non c’è welfare criminale per i piccoli delinquenti in pensione, solo solitudine e attesa. Come non c’è salvezza per i poveracci che si sottraggono alle angherie dei capiclan”. Non si tratta, tuttavia, di un libro della disperazione bensì un testo che punta alla diagnosi, alla lettura di quel confine labile e grigio, spesso in ombra, su cui può sorgere una nuova città, libera dal cancro delle mafie, del fiancheggiamento silente e della sopraffazione.