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Dializzati maltrattati dalla sanità lucana: “Siamo malati, non pedine da spostare a piacimento”

28 ottobre 2021 | 16:13
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Dializzati maltrattati dalla sanità lucana: “Siamo malati, non pedine da spostare a piacimento”
Cesare

Cesare, pensionato di Forenza, costretto alla dialisi tre giorni a settimana, dopo la chiusura dell’ospedale di Venosa, da un anno è costretto a recarsi a Rionero. Ora con l’interdizione al traffico della strada Oraziana e l’inverno alle porte diventa tutto più difficile

“Siamo come pedine da spostare nella dama. Ma è possibile che le Istituzioni siano così indifferenti e senza pietà nei confronti di chi è debole e malato?”. Cesare, un garbato pensionato di Forenza (Potenza), lo incontriamo all’ingresso dell’ospedale di Rionero in Vulture. Tre giorni a settimana è costretto alla dialisi. “Per quattro ore stai attaccato ad una macchina e quando torni a casa molte volte hai solo la forza di distenderti sul letto”, racconta. Ma il tema non è la malattia in sé, già per altro dura da gestire. Al centro del suo appello, infatti, quella che ritiene una scelta sbagliata da parte delle autorità sanitarie regionali. “Fino ad ottobre dello scorso anno mi recavo a Venosa, per me più vicina, e quando in inverno il tempo atmosferico si metteva male, potevo anche rimanere la notte in ospedale”. Poi lo scorso anno, ad ottobre, complice il covid, al San Francesco di Venosa il servizio dialisi è stato sospeso, come quello per malati Alzheimer. E ancora: “Per un periodo limitato si poteva anche accettare, ma visto che la nostra entrata era al primo piano ed era separata rispetto al resto dell’ospedale, ci chiediamo perché a distanza di un anno il servizio non sia stato ancora ripristinato. Non ce l’hanno mica con Venosa per qualche motivo che ci sfugge”?

“Ci spostano come pedine della dama”. Come Cesare, per dovere di cronaca, ci sono altri 25 utenti che abitano nell’Alto Bradano e quindi in prossimità del più centrale (per loro) nosocomio venosino. “Ti senti come una pedina della dama che dall’alto viene spostata a piacimento”, ribadisce Cesare con un tono di voce che colpisce, perché tenue ma insieme perentorio. E aggiunge: “Chi è più debole, per motivi di salute, dovrebbe essere trattato con un occhio di riguardo dalle Istituzioni, ti aspetteresti un briciolo di pietà. Invece niente, la più cupa indifferenza”.

“Chiusa l’Oraziana ora mi tocca attraversare il bosco” . A peggiorare il quadro, la chiusura della strada Oraziana, che collega Venosa e l’Alto Bradano con Rionero e quindi con l’ospedale Crob. E qui il racconto di Cesare sfiora l’assurdo. “Tre volte la settimana devo recarmi a Rionero e poiché l’Oraziana ora è interrotta per lavori, devo percorrere la strada del Bosco di Forenza”. Si tratta di 30 chilometri bellissimi per gli amanti della natura, delle escursioni, ma di difficile impatto per chi, come Cesare, non sta bene e deve raggiungere “per forza” Rionero il martedì, il giovedì e il sabato. “Ora che siamo in autunno già mi viene l’ansia. Su quel tratto spesso piove, la strada si dissesta, poi arriverà l’inverno, la neve, come verranno a prendermi, con l’elicottero?”. E ancora: “Il ciclo di dialisi non lo puoi saltare, se salti un solo giorno a settimana, puoi rischiare l’arresto cardiaco, la morte. Come si fa a non capire”.

“Il mio grido arriva fino al cielo”. Tanta saggezza mista a una logica disperazione, nelle sue parole. “Tra un po’ arriva l’inverno. Mi viene l’angoscia solo a pensare che dovrò affrontare quel ‘Bosco’ un giorno sì e un giorno no”. Cesare si affida alla fede, come appiglio. “Qui quando arriva la neve, capita che anche lo spartineve ha difficoltà a percorrere il tratto, come farò io?”. E poi fa segno verso l’alto. “Il mio grido e di chi è nelle mie condizioni, arriva fino al cielo, con la speranza che i mesi invernali siano clementi, che non portino calamità, dissesti. E neve”. Non possiamo che raccogliere il grido di Cesare e indirizzarlo a quelle “Istituzioni indifferenti e senza pietà” di cui parla questo garbato signore di Forenza. Già, la “pietas”. Quella sconosciuta!