Nazifa, la giornalista afghana che ha rischiato la morte per amore
La giovane donna e suo marito, in fuga da pregiudizi etnici e religiosi, attraverso varie peripezie, sono arrivati in Europa: nel bagaglio soltanto il loro amore
Anche essere innamorati della persona “sbagliata”, in Afghanistan, può causare pericolo di morte. Nazifa Rahmati, giovane giornalista afghana, ha sfidato le rigide regole familiari e sociali per amare un collega di etnia e religione diverse. Ho raccolto la sua storia di coraggio a dimostrazione che, in una società in cui ancora esistono discriminazioni di questo tipo, per amare bisogna avere un cuore da leone e un fegato da leopardo.
“Sono passati quasi cinque anni da quando, alla fine dei miei studi universitari, ho preso consapevolezza dell’interesse di un mio compagno di facoltà nei miei confronti. Non pensavo che una cosa del genere potesse accadere, nemmeno nel più bello dei sogni. Noor Ali è della provincia di Daykundi e io della provincia di Logar ed eravamo entrambi studenti all’Università di Kabul. Noor Ali mi ha contattato attraverso il profilo facebook di una ragazza. Prima di scoprire la sua vera identità ci siamo scritti a lungo, fino a quando mi ha chiesto se fossi fidanzata e di che etnia e religione fossi. A quel punto ho sospettato che fosse un ragazzo e ho minacciato di bloccarlo. Così lui ha ammesso la sua vera identità e mi ha confessato di essere innamorato di me dal primo giorno di università. A quel punto ho ricordato che il primo anno mi aveva mandato un messaggio su facebook dal suo vero account che io però avevo subito bloccato dimenticandomi di lui. Noor Alì invece non aveva rinunciato a cercarmi.
Così mi ha supplicato di sbloccare il suo vero account dicendomi che se avessi ascoltato quello che aveva da dirmi, non mi avrebbe più disturbato. Lui però non si è mai arreso e ha proseguito a mandarmi numerosi messaggi, scritti e audio, che io spesso cancellavo spinta dalla paura di quello che poteva accadere essendo di etnie e religione diverse. Noor Ali, al contrario, non ha mai avuto alcun timore. Io sono tagika e sunnita, lui è hazara e sciita. Gli ho sempre detto che a causa di ciò tra noi non sarebbe mai potuto succedere nulla, ma lui non ha voluto sentire ragioni. Le nostre famiglie non avrebbero mai permesso che ci amassimo liberamente. Pertanto, ho continuato a tenerlo a distanza e gli ho detto che al termine degli studi lo avrei bloccato di nuovo da facebook e che tutto sarebbe finito.
E’ stato il giorno che ho discusso la mia tesi di laurea che tutto è cambiato Era inverno e pioveva a dirotto: quel giorno, nel campus, mi sono accorta che Noor Ali mi stava rincorrendo. Quando si è avvicinato mi ha detto: “Ti amo, farò tutto ciò che è necessario per te”. Gli ho risposto che doveva smettere di corrermi dietro, ed è stato allora che si è seduto a terra, sotto la pioggia, e ha cominciato a piangere. In quel momento ho capito che il mio cuore non sopportava più di vederlo così. Mi sono resa conto di quanto sinceramente e umilmente mi amasse. Da allora siamo diventati amici e piano piano mi sono innamorata di lui”.
La sua famiglia mi ha accettato ed ha approvato il nostro amore, la mia invece non era a conoscenza della nostra relazione. Accadde però che in quei giorni la madre di Noor Ali si ammalò; così, i suoi genitori dovettero venire a Kabul dalla provincia di Daykundi affrontando un viaggio lungo e molto difficile. Il Daykundi, infatti, è una delle province più remote e svantaggiate dell’Afghanistan centrale. Per arrivare a Kabul, bisogna attraversare strade dissestate e all’epoca anche molto pericolose per la presenza degli insorti talebani pashtun, i quali spesso controllavano i viaggiatori e uccidevano quelli di etnia hazara.
Una volta a Kabul, Noor Alì ha insistito affinché con i suoi genitori potesse venire a casa dei miei per informarli della nostra relazione. Nessuno della mia famiglia sapeva del nostro amore, tranne mia sorella e mia madre. Quando mio padre lo ha saputo, ha espresso netta contrarietà così come hanno fatto i miei fratelli, gli amici di mio padre e tutti quelli che erano presenti. Mio padre si è arrabbiato con me dicendomi che lo avevo messo in imbarazzo e che non avrebbe potuto più parlare con i nostri amici e parenti dopo quanto accaduto. Con il cuore infranto ho chiesto scusa a mio padre e sono riuscita a convincerlo a parlare un’ultima volta con Noor Alì per poi prendere la decisione finale.
Alla fine, mio padre ha accettato la mia richiesta chiedendo di parlare da solo con Noor Ali e dopo un’ora di conversazione sono usciti dalla stanza in cui si erano ritirati ed entrambi hanno pianto di gioia. Sì! Alla fine, mio padre ci aveva dato la sua benedizione e accettato il mio fidanzato come suo genero. Tuttavia la mia felicità non è durata a lungo: una notte il resto della mia famiglia si è riunito e ha dissuaso mio padre dalla sua decisione di acconsentire al mio matrimonio con Noor Alì. Io, invece a quel punto ho detto che se non mi fossi sposata con lui non lo avrei fatto con nessun altro. La mia caparbietà è stato un valido motivo per far accettare la mia decisione alla mia famiglia. Ma in una società come quella afghana non sempre ciò accade infatti non è raro che ragazzi e ragazze vengano uccisi dai loro familiari per un amore non approvato.
La nostra piccola festa di matrimonio si è svolta di notte, di nascosto dai miei fratelli e da coloro che si opponevano alla nostra relazione. Tuttavia, dopo la cerimonia, i miei fratelli mi hanno proibito di vedere Noor Alì e un giorno, mentre stavamo parlando in un vicolo vicino casa, mio fratello maggiore ha tentato di ucciderci entrambi. Non essendoci riuscito ha poi picchiato Noor Alì costringendomi a rientrare in casa per poi cacciarmi via. Sono stata insultata e maledetta più volte dai miei fratelli per il mio amore, e anche quando sono andata via di casa hanno continuato a farlo, loro e altri parenti, al punto che siamo stati costretti a lasciare il nostro Paese e fuggire in Pakistan. Successivamente, per cercare condizioni di vita migliori siamo andati in Azerbaigian, ma ahimè, anche lì non è cambiato nulla.
Prima di fuggire dall’Afghanistan lavoravo come giornalista a Kabul, avevo molto successo nel mio lavoro. Tuttavia era diventato difficile vivere sotto costante minaccia e senza possibilità di integrarsi nella società: mio marito ed io siamo stati insultati e umiliati ovunque a Kabul. Noor Ali, è laureato in giornalismo, ma a causa dei pregiudizi etnici non è riuscito a trovare lavoro: il popolo hazara in Afghanistan è vittima di discriminazioni e persecuzioni. Alla fine, abbiamo deciso di lasciare l’Afghanistan per sempre. Poi, con la testimonianza e la conferma di mio padre e di un nostro compagno di classe abbiamo ricevuto il nostro certificato di matrimonio dalla corte di Kabul, dopodiché siamo emigrati in Azerbaijan con i pochi soldi che avevamo e quelli presi in prestito dai nostri amici.
Siamo rimasti quasi due anni in Azerbaijan, non conoscevamo nessuno ed è stato davvero duro per noi. Ci siamo rivolti anche all’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, ma non ci ha prestato attenzione e non ha indagato sui nostri problemi. Ci hanno solo detto eravamo autorizzati a lavorare ed essere accettati legalmente nel Paese. Pertanto, anche lì la nostra formazione e la nostra esperienza lavorativa non hanno avuto alcun valore.
In Azerbaijan abbiamo vissuto nella miseria. Mio marito ha fatto l’operaio edile guadagnando quanto bastava per l’affitto e il cibo per sopravvivere. Avendo una bambina di 9 mesi eravamo preoccupati per il suo futuro: se fossimo rimasti non avremmo potuto garantirle altro che condizioni di vita precarie, se fossimo tornati in Afghanistan avremmo dovuto rischiare la vita avendo contro i miei fratelli e altri parenti. Nonostante ciò alla fine siamo tornati a Kabul. Dopo alcune settimane però l’Afghanistan è crollato nelle mani dei talebani e con la presa di Kabul la città e il Paese sono precipitati nel terrore assoluto”.
E così, ancora una volta, questi due giovani innamorati, discriminati a causa della loro religione e dell’etnia sono fuggiti dalla loro città. Noor Ali e Nazifa Rahmati sono stati evacuati dalle forze francesi perché la signora Rahmati è una giornalista. Padre, madre e figlia sono riusciti ad entrare nell’aeroporto di Kabul il 21 agosto 2021. Nazifa racconta cosa è accaduto all’ingresso dell’aeroporto: “Era così affollato che era impossibile entrare. Molte persone, soprattutto donne e bambini, sono state ferite o calpestate dalla folla. E’stato molto difficile per noi entrare. La mano di mia figlia Laleh si era lussata e poiché piangeva per il dolore le guardie alla porta d’ingresso ci hanno fatto passare”.
Noor Ali e Nazifa, con la loro bambina, sono riusciti a prendere l’aereo che li avrebbe portati in Francia. Qui sono rimasti per qualche tempo, cercando di avviare lo status di rifugiati, senza riuscirci: nessun funzionario francese né l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati in Francia ha risposto alla loro richiesta. Alla fine, i due giovani sposi hanno lasciato la Francia per la Germania, dove attualmente vivono in un campo di accoglienza per immigrati.
Noor Ali sarebbe pronta a spostarsi in qualsiasi parte del mondo per salvare la sua famiglia, anche se è stanca dopo tanto peregrinare. “Anche mia zia vive in Germania e così abbiamo deciso di rimanere, ma siamo ancora in una situazione disperata e di disagio nel campo in cui viviamo. Spero che un giorno il dolore e i problemi di tutti i rifugiati nel mondo siano superati.”
Nazifa è ottimista sul futuro di sua figlia Laleh, lei e suo marito vorrebbero solo poter vivere in pace, senza minacce e crescere la loro figlia in Germania. Non nasconde che a volte le manca molto la sua famiglia d’origine nonostante non le abbia permesso di vivere liberamente la sua relazione d’amore. Here for the English text
Nazifa Rahmati con suo marito e sua figlia
Nazifa ha raccontato la sua storia anche sul Subhekabul che puoi leggere in lingua originale cliccando qui.
*Asadullah Jafari “Pezhman”, che ha raccontato questa storia è un traduttore/interprete freelance dall’inglese al persiano/dari e viceversa , ricercatore e attivista sociale ed ex membro dell’esercito nazionale afghano. Per la maggior parte del tempo svolge ricerche e traduzioni su questioni relative all’Afghanistan e al Medio Oriente. Su Telegram Via t.me/ajafaripezhman , su twitter via Twitter.com/asadpezhman
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