Kabul, la storia di Abdul Nasir Omer: da giornalista a venditore di patate e cipolle
Il 33enne di Kabul, dopo aver lavorato con i media più popolari del Paese, è stato costretto dai talebani a lasciare il suo lavoro
Da quando sono arrivato in Italia seguo le notizie dell’Afghanistan attraverso i social media. Qualche giorno fa, come al solito, sono andato su Facebook per vedere cosa fosse successo di nuovo. Stavo sfogliando la pagina, quando ho visto la foto e il post di un giornalista che ha perso il lavoro con l’avvento dei talebani e ora, per sopravvivere, vende patate e cipolle per strada.
Abdul Nasir Omer, 33 anni, con la caduta di Kabul ha dovuto smettere di fare il giornalista. Per provvedere alle necessità quotidiane della sua famiglia è costretto a fare l’ambulante dopo ver lavorato, negli ultimi dieci anni, con alcune delle testate più popolari del Pese, tra cui 3Sport TV, Arezo TV, Mitra, Khorshid e Tolo tv.
Abdul Nasir Omer e altri giornalisti/ Kabul
In un’intervista a Basilicata24, spiega che la sua attività era per lo più limitata alla produzione di programmi politici e dibattiti televisivi e che ha lavorato anche nel settore dello spettacolo e del sociale. Dopo essersi ritirato dalla televisione nel 2017, è stato assunto come consulente stampa al Ministero degli Interni afghano. Dopo un anno ha perso di nuovo il lavoro. Dopo sei mesi di disoccupazione ha iniziato a lavorare per Tolo News. Con la caduta di Kabul in mano ai talebani è stato costretto a lasciare il lavoro.
“A causa delle pressioni dei talebani, non ho potuto collaborare più con ToloNews. Dopo di che, ho fatto domanda per un lavoro più di 100 volte in posti diversi. Ma non ho avuto risposta”.
Alla fine, il 33enne è stato costretto a iniziare il lavoro di venditore ambulante a causa di gravi problemi economici e gli arretrati con l’affitto. Dopo aver preso in prestito da un amico una piccola somma di denaro per acquistare la merce da rivendere da circa tre settimane, fa il venditore ambulante in una strada di Kabul, e deve lavorare dalle 6 del mattino alle 7 di sera per guadagnare i pochi soldi per vivere. “Devo andare avanti-ci racconta- vendendo uno spicchio d’aglio, guadagno 10-15 afgani, una cipolla, 5-7 afgani”. A fine giornata riesce a portare a casa circa “70 afghani”. “Dove lavoro c’è il sole e non posso nemmeno comprare un ombrello”.
Nei giorni scorsi, sui social media erano circolate immagini che mostravano anche alcuni professori universitari e dipendenti del governo impegnati in lavori pesanti.
I sostenitori dei media ci hanno lasciati soli! Dopo la caduta di Kabul in mano ai talebani, diversi paesi hanno annunciato che avrebbero aiutato le cateorie più vulnerabili a lasciare il Paese, compresi i giornalisti e altro personale dei media ma, a lasciare il paese sono stati i sostenitori dei media con le loro famiglie. Anche Abdul Nasir Omer ha cercato in tutti i modi di uscire, con la sua famiglia, dall’Afghanistan, ma tutti i suoi sforzi sono stati vani. Secondo lui, la comunità internazionale ha usato due pesi e due misure: “molte persone hanno lasciato il Paese grazie alla mediazione e alla conoscenze”.
“Il primo gruppo a lasciare l’Afghanistan sono stati i funzionari delle organizzazioni di supporto dei media- racconta Omer-“Attualmente non esiste alcuna organizzazione a sostegno dei media. Alcune di esse hanno ricevuto finanziamenti da 5-6 milioni di dollari negli ultimi mesi che sarebbero dovuti servire per aiutare i giornalisti a mettersi al sicuro. Abbiamo documenti che dimostrano, invece, come nelle prime settimane dopo l’ascesa al potere dei talebani, queste organizzazioni hanno fatto partire i loro familiari invece degli operatori dell’informazione”.
Sardar Dahi, giornalista da sei anni, è uno di quelli che a causa del suo lavoro rischia la vita. Dahi racconta di aver inviato molte richieste di aiuto a organizzazioni di giornalisti e celebrità che hanno promesso di aiutarlo, ma ad oggi nulla è accaduto. Più volte con la sua famiglia, nei primi giorni dell’avvento degli studenti coranici, è andato in aeroporto per cercare una via d’uscita ma nessun Paese è stato disposto proteggerlo. “Eravamo all’aeroporto al momento dell’esplosione-ricorda- siamo caduti tutti a terra, abbiamo perso tutti i nostri documenti e le attrezzature di lavoro tra la folla e siamo tornati a casa in pessime condizioni”.
Sardar Dahi, all’aeroporto di Kabul
Il Comitato per la sicurezza dei giornalisti afghani ha recentemente affermato in un rapporto che con la caduta di Kabul sono aumentati i casi di violenza contro i giornalisti da parte di individui e forze affiliate ai talebani. Diverse le testimonianze di maltrattamenti subiti dagli studenti coranici. E Omer conferma l’ostilità: “quando parlo con loro e dico che sono un giornalista, non reagiscono in modo appropriato”.
Minacce e restrizioni dei talebani hanno costretto i media in Afghanistan a cessare le attività.Su 30 reti televisive, circa 20 rischiano il collasso. I giornali non vengono più stampati e continuano la loro attività solo online, limitandosi a pubblicare solo le notizie quotidiane. روایتی از کابل- خبرنگاری که دست_فروشی می_کند