I giovani lucani lo hanno capito presto il marciume che si respira a queste latitudini pure se l’aria è buona
Chi non accetta compromessi ne ha le scatole piene di questo sistema Basilicata che funziona solo per i predestinati
Un ragazzo, un minore, un giovane, insomma uno che ha molti anni, tanti anni meno di quelli che sono grandi, non ci fa più caso alle parole. Lo hanno preso in giro da quando è nato con promesse mai mantenute, da Babbo Natale alla Befana, ai tanti “vieni qui che non ti faccio niente”, quando lo hanno portato dal dottore con la promessa mai mantenuta che quell’ago non gli avrebbe fatto niente. E via discorrendo. Insomma tutta quella gente che i grandi chiamano con l’appellativo informe e indistinto di “futuro”, non si fidano. Sono nati con la diffidenza del Dna. Sono cresciuti in un clima di sospetto che si annida in quel mondo in cui presto o tardi (essi sperano il più tardi possibile), faranno parte anche loro, solo che loro sono certi (non tutti, forse, ma la stragrande maggioranza) che non diventeranno mai così, che le bugie che hanno dovuto ingoiare non le racconteranno mai, che vorranno essere sempre schietti, leali, sinceri.
Lo sanno che saranno costretti a dire qualche bugia a fin di bene, ma sulle questioni fondamentali lo hanno capito bene che mentire equivale a tradire. E loro sono stati traditi sempre, per potersi oggi fidare. Oggi quando? Oggi che è arrivato il momento di fare delle scelte per la cosa più importante per le loro vite. Quella parola che si sono sentiti tirare appresso tantissime volte, adesso sentono che sta per bussare alla loro porta ed è arrivato per loro il momento di aprire quella porta e prendere una decisione. Ma in cuor loro la decisione l’hanno già presa. Ove non fossero inseriti in quel ristretto numero di predestinati, lo sanno da tempo che dei grandi non possono fidarsi. I grandi mentono da una vita, spudoratamente, vigliaccamente, sconsideratamente. “Il futuro siete voi”, continuano a ripetere mentre questi ragazzi si guardano l’un l’altro e poi guardano chi quell’affermazione l’ha fatta, e tutti assieme, come fossero un coro dell’Antoniano ma con le voci non più così bianche, rispondono con una domanda: “Noi chi?”
“Quale futuro”, continuano a chiedersi mentre stanno dietro quella porta aspettando che quello che ha bussato il campanello si qualifichi. Nel frattempo hanno già preparato la valigia e la porta non la aprono per fare entrare qualcuno, ma per varcarla l’ultima volta. Perché stavolta non si tratta più di credere a Babbo Natale o al primo dentino caduto che si è preso il topolino: qui il topolino rischia di prendersi le loro vite, lasciandoli indietro per anni, per decenni, “a meno che”… A meno che un cazzo.
Non ne vogliono accettare compromessi come hanno fatto i loro padri, i loro fratelli maggiori: li hanno visti i loro volti mortificati da qualche capobastone che telefona a casa a qualunque ora pure per farsi portare l’asciugamano da bidet. E ne hanno le scatole piene di questo sistema Basilicata che funziona solo per i predestinati, loro che predestinati non lo saranno mai, e se potessero esserlo, neppure lo vorrebbero. La questione spopolamento si gioca tutta qui. Su una fiducia il cui significato i nostri giovani non conoscono da quando sono venuti al mondo. Lo hanno capito presto il marciume che si respira a queste latitudini pure se l’aria è buona, ma è un’aria nella quale la politica gestisce e sovrintende ad ogni cosa, dai nominati negli Enti fino alla festa dell’ultimo domicilio conosciuto di questa terra lacrime e sangue.
La porta di casa si apre, ne escono fiumi di ragazzi ogni anno che se ne vanno non voltandosi più indietro. Se non hanno amore, né stima, né riconoscenza per la terra che abbandonano, e se non danno alcun significato a quella parola senza senso che si sentono ripetere da quando sono venuti al mondo, non è affatto colpa loro.
Dino De Angelis, scrittore