I giorni della disfatta di Kabul: il racconto verità di Abdurraziq Ekhtiarbig
Il giornalista del quotidiano “Subhekabul”: ho perso il lavoro e il mio Paese, costretto a fuggire perché mi occupavo dei crimini dei talebani contro le donne
Come di consueto nella riunione mattutina di redazione, si distribuiscono i compiti ai giornalisti. Sembrava una giornata di routine ma abbiamo dovuto occuparci della “imprevedibile” e veloce caduta delle province nelle mani dei talebani, oltre a preparare reportage dai campi di battaglia. La nostra giornata è iniziata come sempre: ma quel giorno non sarebbe finito come gli altri. Quello che è successo per il popolo afghano è stato incredibile per tutti noi e ha sconvolto il mondo.
“I talebani sono entrati a Kabul”. Siamo rimasti sorpresi nell’apprendere questa notizia dalle nostre fonti locali. Ho guardato il mio orologio: le 9:30 di domenica 15 agosto. Fino a quel momento, 22 delle 34 province erano cadute nelle mani dei talebani. Non potevamo accettare questa realtà sia noi giornalisti del Subhekabul sia il popolo afghano.
La notizia dell’arrivo dei talebani nella Capitale si è presto diffusa in tutta la città, così la gente ha cercato in tutti i modi di tornare nelle proprie case. E siccome la circostanza appariva sempre più reale, chiamo Mohammed Amiri, vice portavoce del presidente Ghani, e gli chiedo conferma della notizia, ma lui risponde con assoluta certezza: “No”, Kabul non cadrà mai: secondo l’accordo, i talebani non entreranno nella Capitale.”
Anche i ministeri della Difesa e degli Interni, attraverso comunicati separati, ripetono continuamente che i talebani non entreranno a Kabul e invitano la gente a mantenere la calma. Con il passare del tempo la situazione si fa più caotica e il direttore del giornale concede ai colleghi di rientrare nelle loro case.
Due colleghi ed io restiamo in redazione per seguire gli eventi. Intorno alle 14, alcuni utenti dei social media scrivono che il presidente Ghani ha abbandonato il paese. Una fuga che ha lasciato l’intera nazione nella più totale disperazione. Una fuga che ha annientato vent’anni di sacrifici e conquiste del popolo afghano.
E mentre la notizia della fuga viene confermata, i combattenti talebani entrano in città. La sera occupano il palazzo presidenziale e issano la loro bandiera al posto di quella dell’Afghanistan.
Non voglio parlare, delle cause e delle altre conseguenze di quanto avvenuto quasi tre mesi dopo che gli Usa hanno annunciato il ritiro della presenza militare in Afghanistan che è costata 2,26 trilioni di dollari. Secondo la US Brown University, negli ultimi 20 anni, 241mila persone sono state uccise: 47.247 civili e 69.000 membri dell’esercito e della polizia afghani, oltre 84.191 combattenti talebani.
Subito dopo il crollo, la vita nel Paese è cambiata, gli uffici governativi hanno chiuso e anche le istituzioni private sono state temporaneamente costrette a cessare la loro attività. Inoltre, i programmi televisivi hanno modificato contenuti e impostazione editoriale e la pubblicazione dei giornali è stata sospesa: i media da quel momento hanno riportato solo le notizie del crollo dell’Afghanistan, sostenendo i talebani.
Quasi tutti i dipendenti del governo si sono dimessi e molte aziende sono state chiuse a causa del cambio di regime e della confusione. Il sistema bancario è stato gravemente danneggiato. Nel frattempo i media e i giornalisti sono sempre più a rischio. Secondo l’ultimo rapporto della federazione internazionale dei giornalisti pubblicato a settembre, 153 testate sono state costrette a cessare le loro attività, lasciando senza lavoro 7mila operatori dei media: la maggior parte donne.
Mentre Kabul cadeva, in pieno caos, moltissimi afghani, soprattutto quelli a rischio di ritorsioni, hanno cercato di uscire dal Paese in qualunque modo possibile. Alcuni sono riusciti a raggiungere un luogo sicuro utilizzando elicotteri militari, altri sono morti per raggiungere l’aeroporto di Kabul. Altre decine di migliaia sono tornati a casa disperati.
Io, soprattutto come giornalista che ha trascorso cinque anni della sua vita tra mille difficoltà, sono stato costretto a lasciare il mio lavoro e il mio paese. Sono una delle persone a rischio alto. Nel mio giornale mi occupavo soprattutto di diritti delle donne e dei crimini dei talebani contro le donne. Migliaia di altri cittadini afghani ed io abbiamo lasciato il nostro paese mentre le nostre famiglie e i nostri cari sono rimasti lì. I talebani potrebbero mettere in pericolo le loro vite in qualsiasi momento a causa della loro violenta ideologia e il loro spirito di vendetta.
Tutto questo accade proprio quando i cittadini afghani dopo 20 anni hanno fatto grandi passi avanti nei settori dell’istruzione, della salute e dei diritti delle donne. L’aspettativa di vita è aumentata, il tasso di mortalità materna si è dimezzato e la presenza delle donne nella politica e nelle istituzioni è aumentata.
Benvenuto a Abdurraziq Ekhtiarbig che da oggi è ospite della nostra redazione. Si occuperà di tenere aperta una finestra sull’Afghanistan e sui cittadini afghani giunti nella nostra regione e nel nostro Paese. Il nostro collega avrà così modo di continuare il proprio lavoro in libertà informandoci sulle condizioni dei suoi concittadini in patria e in Italia.
Nel testo tradotto è stata modificata la cronologia dei paragrafi. Nella pagina successiva il testo in inglese così come scritto dall’autore.
The chronology of the paragraphs has been changed in the translated text. On the next page, the text in English as written by the author.
Nella foto, Abdurraziq Ekhtiarbig
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As usual in the morning meeting, the daily responsibilities determine for our colleagues in Subhekabul newspaper. We had to cover successive fall of provinces by Taliban, plus prepare reports from the battlefields. Our day started out normal; but that day was not supposed to end normally. What happened that day for the people of Afghanistan, was unbelievable and convulsive for all of us and the world.
“Taliban have entered to Kabul.” We were surprised by hearing this news from our local sources. I looked at my watch; it showed around 9:30 AM-Sunday, August 15th. This fact was not acceptable not only for me, but also to none of my colleagues and the people of Afghanistan. However, till that time, 22 out of the 34 provinces had fallen by the Taliban.
The news of the Taliban’s arrival in Kabul soon spread throughout the city, so the people tried to go to their homes in every possible way. As the news- the news Kabul fallen by the Taliban-became more and more serious, I called Mohammed Amiri, pres Ghani’s deputy spokesman, and asked him whether Kabul would really fall by Taliban,but he responded with complete confidence:”No”, Kabul will never fall- according to agreement, Taliban are not going to enter to Kabul city.
In addition, Afghan ministries of defense and interior have repeatedly issued separate newsletters stressing that Taliban will not enter Kabul, so the people should keep calm.
As the time passed, the situation became more chaotic, in this case, the Editor-in-chief of the newspaper permit the colleagues to go to their homes.
Two colleagues and I stayed in office to cover the events. Around 2:00 PM, some of the social media users wrote that President Ghani left the country. An escape that left a nation and a country in utter despair. An escape that annihilated twenty years sacrifice and acheivememt of Afghan people.
Simultaneously with the confirmation of this news, Taliban fighters entered in Kabul city. In the evening of that day, they captured presidential palace and raised their flag instead of Afghanistan Flag.
After the collapse of Afghanistan, life in the country has changed, governmental offices closed and also the private institutions were temporarily forced to cease their operation. In addition, Television programs Mostly lost their normal course and newspaper publication were disrupted-the media only covered the news of Afghanistan collapse, which was mostly in support of the Taliban.
In this memo, I don’t want to talk about the causes and consequences of the fall; but I would like to say that this event happened almost three months after, USA announced end of their 20 years military presence in Afghanistan, a presence that cost 2.26 trillion dollars. In addition, according to US Brown University, in the past 20 years, 241,000 people have killed in Afghanistan. This includes 47,247 civilians and 69,000 members of Afghan Army and police. Plus 84,191 Taliban fighters also killed during these times.
This fall comes as afghan citizens have made great strides in the areas of education, health and women rights over the past 20 years. Life expectancy had risen, the maternal mortality rate has halved and women have high presence in the political areas.
It’s worth mentioning that at the same time with the fall of Kabul, there was lots of chaos, Afghan people were trying to get out of Afghanistan in any way possible. Nearly all the government employees have resigned, and many businesses have been shutdown due to regime change and confusion. The banking system has been severely damaged. Meanwhile the media and journalists were/are increasingly at risk. According to the latest report by the international federation of journalists who published in September, 153 media outlets forced to cease their activities after the collapse of Afghanistan.in the same time 7000 media workers affected by the Taliban. Most women journalist lost their jobs.
All these factors caused that most of Afghanistan citizens, especially the vulnerable, try to leave the country, some were able to reach a safe place by using military helicopters, and some other died to reach Kabul airport. Tens of thousands more returned home in despair. Like other vulnerable people, and especially as a journalist who has spent five years of his life as a journalist with thousands of difficulties, I was forced to leave my job and my country.
I and thousands of other Afghan citizens left our country while our families and loved ones stayed there, and the Taliban may endanger their lives at any moment due to their violent ideology and sense of revenge.
Abdurraziq Ekhtiarbig