Il “Premio Basilicata” sul podio dell’ambiguità

5 agosto 2021 | 16:57
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Il “Premio Basilicata” sul podio dell’ambiguità
Lucania 61 di Carlo Levi

Questa terra ha bisogno di panni stesi al sole. Ridateci Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Ernesto De Martino e tutti gli altri “falsari” della storia

“…Nell’idea genetica del premio itinerante vi era dunque implicita una presa di posizione critica e civile contro l’attuale storiografia cristallizzata su posizioni ideologiche. Nei circa venti anni di peregrinatio del Premio Basilicata nella provincia, abbiamo potuto rilevare che la rappresentazione della nostra regione nella  storia “ufficiale”  è falsa: scritta dai piccoli/grandi uomini, pretesi storici,  che, baloccandosi con la civiltà contadina, con le lotte operaie, con le “masciare”, hanno descritto il popolo lucano chiuso e isolato sui monti inaccessibili,  immerso nell’ignoranza e nella superstizione, incapace di partecipare alla vita civile della nazione, crocifiggendolo nell’assurda rappresentazione di un popolo senza storia, anzi fuori del processo storico, secondo la concezione di Levi, per il quale la Basilicata è ‘terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre’. A Levi ancora si ispirano in modo acritico cultori di storia patria.”

Questo è un passaggio della presentazione del progetto per il cinquantenario del Premio Basilicata che, a mio modesto parere, richiede una spiegazione più convincente, un chiarimento. Se è vero che la rappresentazione della nostra regione nella storia “ufficiale” è falsa, allora qualcuno del Premio Basilicata ci dica qual è la storia vera e chi mai l’abbia scritta. Sarebbe interessante conoscere in che modo, con quale metodo storiografico, con quale azzardo si sia giunti a questa conclusione. Sarebbe interessante sapere perché e in che modo Leopoldo Franchetti, Zanotti Bianco, Rossi Doria, Rocco Scotellaro, Carlo Levi, Ernesto De Martino e altri abbiano favorito una storiografia cristallizzata su posizioni ideologiche. Se capisco bene, sono loro sul banco degli imputati.

Quelli del Premio Basilicata hanno scoperto che “la cultura lucana si presenta policentrica: 131 piccoli e grandi paesi sono altrettanto centri depositari di cultura, tradizione, storia che, pur affondando le radici e alimentandosi di un comune humus, per ragioni storiche ciascuno presenta una particolare fisionomia; ma sono anche custodi di grandi ricchezze di opere d’arte, architettoniche, di tradizioni e di bellezze paesaggistiche affascinanti. Hanno scoperto quello che tutti sanno: è scritto anche sui dépliant delle agenzie turistiche. I promotori del Premio Basilicata hanno scoperto le bellezze paesaggistiche dei 131 paesi, ma in questi 50 anni si sono mai accorti dello scempio e delle violenze a cui sono state sottoposte quelle bellezze?

Quando quei piccoli/grandi uomini descrivevano il popolo lucano chiuso e isolato sui monti inaccessibili, immerso nell’ignoranza e nella superstizione, incapace di partecipare alla vita civile della nazione, non raccontavano frottole, raccontavano la realtà a loro contemporanea e sancita nei documenti d’archivio. Dire oggi che sbagliavano o che erano spinti da furore ideologico è grave e va spiegato. La diagnosi del male serve per curare. Nascondere o falsificare le “cartelle cliniche” non è utile alla Basilicata. L’approccio ideologico è di chi non reagisce ai violentatori della bellezza. L’approccio ideologico è di chi narra le res gestae dei Baroni e nasconde le frustate sulla schiena dei contadini. La Basilicata di Carlo Levi, quella “terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre” esiste ancora grazie anche a chi vorrebbe che la storia indossasse l’abito da sera e nascondesse il pastrano.

Provare scientificamente quanto valore il Premio abbia portato  a questa regione sarebbe la cosa utile da fare dopo 50 anni. E sarebbe altrettanto utile chiedere ai 500mila lucani se abbiano avvertito in questi decenni gli effetti formidabili del Premio Basilicata. E perché no, chiedere se per caso i lucani, di questo Premio, abbiano sentito parlare nelle fabbriche, nei campi, nei pascoli, tra i pozzi di petrolio, tra le foreste di pale eoliche e in mezzo ai tralicci di alta tensione.

La Basilicata ha i suoi lati oscuri che taluni circoli elitari provano grottescamente a mantenere nel buio della conoscenza. Mentre l’uva puttanella descriveva la realtà qualcun altro favoriva la prostituzione delle vigne. Mentre qualcuno narrava di masciare qualcun altro si allenava ai giochi di prestigio del Potere. Quelli del Premio Basilicata dovrebbero chiarire che cosa intendono per storia ufficiale senza virgolette e che cosa ci sia di falso in quella con le virgolette. Non abbiamo bisogno di grotte che brulicano di ombre: questa terra ha bisogno di  panni stesi al sole.