Fisco, negli ultimi 20 anni più tasse per 166 miliardi

3 luglio 2021 | 10:51
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Fisco, negli ultimi 20 anni più tasse per 166 miliardi

L’Ufficio studi Cgia: quasi 9 euro su 10 prelevati dallo Stato, briciole agli enti periferici

Negli ultimi 20 anni le tasse in Italia sono aumentate di 166 miliardi di euro. Se nel 2000 l’erario e gli enti locali avevano incassato 350,5 miliardi di euro, nel 2019 il gettito, a prezzi correnti, è salito a 516,6 miliardi. In termini percentuali, la crescita in questo ventennio è stata del 47,4 per cento, 3,5 punti in più rispetto all’aumento registrato sempre nello stesso arco temporale dal Pil nazionale espresso in termini nominali (+44,2 per cento). A segnalarlo è l’Ufficio studi della Cgia. L’inflazione, sempre in questo arco temporale, è aumentata del 37 per cento, 10 punti in meno rispetto alla crescita percentuale del gettito. ”Qualcuno può affermare con cognizione di causa che con 166 miliardi di entrate in più la nostra macchina pubblica ha funzionato meglio e i contribuenti italiani hanno ricevuto più servizi, oppure questo prelievo aggiuntivo li ha impoveriti, contribuendo a non far crescere il Paese?”, chiede la Cgia. ”Noi non abbiamo dubbi; propendiamo senza esitazioni per la seconda ipotesi”, risponde.

”Nonostante contiamo un numero spropositato di tasse, imposte e tributi, le prime 20 voci (per importo prelevato) incidono sul gettito tributario totale per il 93,7 per cento”, spiega la Cgia. Solo le prime 3 (Irpef, Iva e Ires) pesano sui contribuenti italiani per un valore complessivo pari a 320,6 miliardi di euro. Un importo, quest’ultimo, che “copre il 62 per cento del gettito complessivo”. In vista della prossima riforma fiscale, ”oltre a ridurre il carico in capo a famiglie e imprese, appare sempre più necessario semplificare il quadro generale, tagliando gabelle e balzelli che, per l’erario, spesso costituiscono più un costo che un vantaggio”, osserva l’associazione.

Per le imprese il peso del fisco raggiunge i livelli massimi, secondo quanto emerge dagli ultimi dati statistici dell’Ocse, da cui emerge che all’interno del club che racchiude i 37 Paesi più industrializzati al mondo, l’Italia è al 4° posto a pari merito con l’Austria (42,4 per cento) per incidenza della pressione fiscale sul Pil. Superata da Danimarca (46,3 per cento del Pil), Francia (45,4 per cento), Belgio e Svezia (entrambe al 42,9 per cento).

La Germania presenta una pressione fiscale inferiore a quella dell’Italia di 3,6, la Spagna di 7,8 e il Regno Unito addirittura di 9,4 punti. Al di là dell’Atlantico, gli Usa contano quasi 18 lunghezze di peso fiscale inferiore a quello italiano, mentre la media dei Paesi Ocse è inferiore di 8,6 punti. ”Se siamo saldamente la settima economia del mondo, questo risultato non lo dobbiamo certo alle performance della nostra pubblica amministrazione che mediamente funziona poco e male, nemmeno al ruolo delle grandi imprese che nel nostro Paese si contano sulle dita delle mani, ma alle prestazioni delle nostre Pmi”, sottolinea la Cgia. ”Anche per questo, assieme ai propri lavoratori, meritano una tassazione più giusta, più equa e più leggera”.

Sebbene oltre la metà della spesa pubblica italiana sia in capo a Regioni ed enti locali, le tasse degli italiani continuano in massima parte a confluire nelle casse dello Stato centrale, destinandone quasi 9 euro ogni 10 di tributi. Nel 2019, ad esempio, l’85,4 per cento del totale del gettito tributario è stato prelevato dall’erario: praticamente 441,4 miliardi su un totale di 516,6. Per contro, agli enti periferici sono andate le ‘briciole’: praticamente poco più di 75 miliardi, pari al 14,6 per cento del totale, segnala ancora l’Ufficio studi della Cgia. (AdnKronos)