Se un lavoratore è costretto a restituire in contante una quota del suo salario al padrone, che si fa?
Dietro le quinte di certi abusi potrebbe nascondersi un sistema criminale più vasto e pericoloso
Ci sarebbero aziende che impongono al lavoratore la restituzione in contante, di una quota del salario, variabile in base all’ingordigia del titolare o alla liquidità necessaria per altre esigenze “familiari”. Immaginate un’impresa dell’indotto Eni a Viggiano o a Tempa Rossa che con 200 dipendenti chiede a tutti la restituzione di 300 euro: 60mila euro al mese esentasse e dunque truffa, evasione, estorsione. Ci sarebbero aziende protette da politici, protezione che dovrebbe avere un prezzo. Se il politico oltre a ricevere oboli sotto forma di consenso elettorale, ha altre esigenze, nessun problema: tanto il nero lo forniscono gli stessi lavoratori.
Se questa condizione fosse vera, la domanda che ci porrebbero alcuni è: ma come si fa a fermare tutto questo? Come è possibile far emerge fenomeni di abusi, prepotenze, ricatti, piccole corruttele, compiacenze, ritorsioni?
Una possibilità esiste: aiutare chi vorrebbe, ma non può, scoperchiare il malaffare. E come possiamo aiutare queste persone? Ecco che la realtà si fa avanti e sgomita tra chiacchiere, retorica e ipocrisie.
Confindustria, Francesco Somma non si tirerebbe indietro, dimostri di rappresentare e tutelare davvero le “imprese buone e gli imprenditori onesti.” Il sindacato faccia meglio il suo mestiere, la politica e le istituzioni regionali diano una mano. Niente protocolli di intesa per cui i protocolli restano e l’intesa scompare, niente di tutto questo.
Un fondo di solidarietà per i lavoratori che denunciano, con riscontri e documentazione, ogni abuso. Insomma metteteci i soldi per affrontare un processo e mettete sul piatto la garanzia che il lavoratore eventualmente licenziato abbia già a disposizione un’altra offerta di lavoro. Confindustria metta insieme una rete di aziende buone e di imprenditori onesti per l’assunzione del lavoratore in caso di licenziamento dall’azienda “cattiva”. Il sindacato contribuisca al Fondo di solidarietà e assista – come già fa di solito – il lavoratore in un eventuale processo. I consiglieri regionali e gli assessori destinino al Fondo una quota di 500 euro al mese, della loro indennità. Il Fondo sarà gestito da un’Associazione tra gli aderenti all’iniziativa, costituita allo scopo. Tutto su base volontaria, naturalmente: le imprese che ci stanno, i consiglieri che ci stanno, i sindacati che ci stanno. E saremmo curiosi di sapere chi ci starebbe e chi no. Lasciamo a volenterosi tecnici del diritto, a volenterosi commercialisti, lo studio delle forme e delle modalità di funzionamento del meccanismo. Lasciamo a volenterosi consiglieri regionali la proposta politica in sede assembleare.
Dunque, un lavoratore è costretto a restituire una quota del suo salario al titolare? Quel lavoratore se denuncia sa di avere le spalle coperte, e dunque è molto probabile che si esponga. Un disoccupato è vittima di richieste illegali e incivili? Se denuncia sa di avere le spalle coperte. Vale anche per tutti gli altri abusi, naturalmente. Il lavoratore ha bisogno di aiuto nella produzione di riscontri documentali? Gli inquirenti siano a disposizione.
Qualcuno si chiederà quanti soldi ci vorranno e quanti posti di lavoro occorreranno? Pochi. Sarebbero sufficienti una decina di denunce sulle quali la magistratura potrebbe intervenire con indagini accurate, ampie, multidirezionali, per scoperchiare fatti e vicende degne della galera. Gli inquirenti bravi sanno che anche da un piccolo episodio si può risalire a un sistema criminale più grande.
È una proposta provocatoria? Forse. È un sistema difficile da applicare? Forse. Non sarebbe legale incentivare la delazione? Chissà. C’è un problema di garanzia dei diritti costituzionali? Chissà. Si aprirebbe una stagione di denunce anche false per ragioni di vendetta o per aspirare a un altro posto di lavoro migliore? Chissà. Ci sembra che da qualche parte qualcosa di simile sia già in funzione. Anche Unioncamere potrebbe fare la sua parte.
Aspettiamo una controproposta o una proposta alternativa, come volete. Intanto, chi nulla fa è complice anche suo malgrado.
Si tenga a mente questa affermazione: “Ma come faccio a denunciare! Mi offri un posto di lavoro? Mi paghi l’avvocato?” Vorremo tanto rispondere sì. Ecco, le associate di Confindustria diano il posto di lavoro, i consiglieri regionali paghino l’avvocato, il sindacato si dia da fare, gli inquirenti indaghino. Il dibattito è aperto, per chi ritiene seria la questione.