Itrec, “per Arpab inquinamento chimico anche all’esterno del sito”. Associazioni si rivolgono alla magistratura
Si faccia luce sulla “mancata adozione di misure finalizzate a contenere la fuoriuscita di inquinanti”
Le associazioni ambientaliste Mediterraneo No Triv, Cova Contro e Medici per l’Ambiente in una conferenza stampa svoltasi ieri, 1 aprile, in modalità video, hanno annunciato di aver inviato all’Autorità giudiziaria una nota formale sulla “mancata adozione di misure finalizzate a contenere la fuoriuscita di inquinanti dal sito Itrec-Enea di Rotondella.
Le associazioni hanno illustrato, in un excursus temporale, cosa è accaduto in merito alla “rilevante e grave contaminazione da sostanze chimiche nell’area del Centro di ricerca Enea” a Rotondella, al cui interno sorge l’impianto Itrec (impianto di Trattamento e Rifabbricazione di Elementi Combustibili), un impianto nucleare sorto ed utilizzato per la conservazione e sperimentazione del ritrattamento del combustibile nucleare derivato da un ciclo torio – uranio.
Contaminazione interna ed esterna al sito. Già nell’anno 2017 –hanno ricordato le tre associazioni- con una denuncia alla stazione dei Carabinieri di Policoro, avevamo segnalato che dal 2003 la società di Stato Sogin spa si occupa dello smantellamento dell’impianto nucleare di Rotondella e della gestione dei rifiuti radioattivi presenti nel sito e che, purtroppo, negli ultimi anni sono stati accertati molteplici gravi episodi di inquinamento: rottura della condotta di scarico a mare nel 2003, poi sostituita nel 2008; percolamento di liquido acquoso da una parete esterna di un monolite in cemento armato contenente rifiuti radioattivi, nel 2014; anomalie rilevate dall’Arpab nel corso della bonifica relativamente alla fossa 7.1, in aggiunta a 13 precedenti anomalie / incidenti già censiti da Enea, senza contare il percolamento di liquido radioattivo verificatosi nel monolite della fossa irreversibile nell’agosto 2014. Successivamente, ed in particolare a far data dal giugno 2015, la stessa Sogin, unitamente all’Enea, aveva pubblicamente diffuso la notizia del ritrovamento di sostanze inquinanti, altamente cancerogene, nelle acque di falda superficiali all’interno del perimetro dello stabilimento (cromo esavalente, idrocarburi, trielina etc.) riconoscendo un’avvenuta e rilevante contaminazione chimica. Purtroppola contaminazione chimica si è estesa anche all’esterno del perimetro Eenea, sia per la matrice suoli che per le falde annoverando altri inquinanti non presenti in falda ma rilevati da Arpab e Sogin nella matrice suoli (vanadio, berillio e tallio ).
Le ammissioni dell’Arpab. La stessa Arpab -ricordano Cova Contro, Mediterraneo No Triv e Medici per l’Ambiente- con nota formale del 1.9.2017 aveva sottolineato la preoccupante circostanza del superamento di cromo esavalente nel piezometro SP35 ubicato a valle idrogeologica sul confine di proprietà del Sito Itrec-Enea e che ciò rendeva necessario e urgente predisporre una tempestiva misura di sicurezza per le acque sotterranee al fine di scongiurare la migrazione del cromo esavalente verso l’esterno del sito, considerato che il piezometro CM1 esterno al sito ubicato parallelamente al tracciato della condotta a mare dello scarico Itrec fa registrare una concentrazione di cromo nell’acqua sotterranea quasi prossima al limite previsto. L’ Arpab aveva evidenziato la presenza di superamenti delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) dei limiti normativi previsti nel d. lgs n. 152/2006 non solo relativamente alla matrice acqua sotterranea ma anche al suolo profondo e superficiale.
In particolare, dalla nota dell’Agenzia per l’Ambiente, si desumeva una significativa contaminazione da alifati clorurati cancerogeni (in prevalenza tricloroetilene) e da cromo esavalente; il Tricloroetilene presentava concentrazioni fino a quasi 500 volte superiori al limite normativo previsto (703 ug/l rispetto al limite stabilito nel d. lgs. 152/2006 di 1,5 ug/l) mentre il Cromo VI aveva concentrazioni al disopra del limite normativo (18 ug/l rispetto a 5 ug/l nel piezometro C08 e 9 ug/l rispetto a 5 ug/l nel piezometro SP21).
Sempre nel 2017 l’Arpab sottolineava la preoccupante circostanza del superamento di cromo esavalente nel piezometro SP35 ubicato a valle idrogeologica sul confine di proprietà del sito Itrec-Enea il che rendeva “necessario e urgente predisporre una tempestiva misura di sicurezza per le acque sotterranee al fine di scongiurare la migrazione del Cromo esavalente verso l’esterno del Sito, considerato che il piezometro CM1 esterno al sito ubicato parallelamente al tracciato della condotta a mare dello scarico Itrec fa registrare una concentrazione di Cromo VI nella acqua sotterranea quasi prossima al limite previsto.
L’urgenza di provvedereveniva sottolineata anche nell’elaborato del 2 dicembre 2017 “Analisi di Rischio sanitario-ambientale sito specifica del sito potenzialmente contaminato della Trisaia (Mt)” pubblicato sul sito istituzionale del Comune di Rotondella; nelle conclusioni infatti si evidenziava “la necessità di prevedere un intervento di messa in sicurezza operativa e di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino all’esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente.
Tuttavia, nonostante queste importanti prescrizioni a cui dar seguito al fine di scongiurare la migrazione, a valle e off-site, degli inquinanti, con relazione Arpab del 15 ottobre 2020 e come pubblicato sul sito istituzionale del Comune di Rotondella, emerge un dato di assoluta gravità: il monitoraggio del laboratorio Arpab aveva messo in evidenza la presenza di superamenti delle CSC non solo nei piezometri interni al sito ma anche in quelli esterni (CM1 e SPB6 ubicati sotto la statale Jonica 106).
L’Agenzia per l’Ambiente infatti testualmente riportava: “Emerge così chiaramente che la diffusione degli inquinanti, tutti di assoluta pericolosità per la salute, ha raggiunto il punto esterno del sito inquinato,e nello specifico il parametro del tricloroetilene nel pieziometro CM1 è raddoppiato passando da una concentrazione di 1,2 ug/l a quello di 2,4 ug/l mentre quello normato è di 1,5 ug/l.”
Perchè non si è agito? A questo punto – sottolineano le associazioni ambientaliste- è necessario comprendere e individuare ragioni e omissioni che hanno impedito, a chi di competenza, di adottare quanto specificato nel documento Analisi del Rischio Sanitario Ambientale: “tutti gli interventi di bonifica dovranno essere progettati e attuati tenendo conto dell’attuale configurazione del sito e della possibile tendenza di migrazione degli inquinanti in aree esterne al sito, principalmente in direzione del flusso di falda”, precisazione opportuna questa per comprendere che con l’analisi del rischio era stata ampiamente sottolineata l’importanza, nonché urgenza, di realizzare una serie di interventi da mettere in atto in via transitoria fino all’esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente.
In sostanza, se le misure, da adottare anche in via transitoria per impedire la diffusione degli inquinanti in aree esterne al sito, sono state eventualmente adottate e rispettate nella modalità di esecuzione e della tempistica (valutazioni non accertabili per la mancata pubblicazione sui siti istituzionali del Piano Operativo di Bonifica), per le associazioni ambientaliste “si rende opportuno comprendere e quindi indagare sulle ragioni e/o le omissioni che hanno determinato la presunta violazione delle prescrizioni da adottare e per impedire quanto poi è accaduto, ossia la diffusione degli inquinanti in aree esterne al sito, con particolare riferimento a quanto è stato disposto ed eseguito dai vari direttori disattivazione impianti Sogin e Enea”.
La gravità della situazione è anche connessa all’evidente e accertata pericolosità delle sostanze chimiche sopra indicate e nello specifico con relazione del Ministero della Salute che evidenzia la pericolosità delle predette sostanze chimiche.
Ambiente e salute a rischio, la magistratura faccia chiarezza. Alla luce di tutto ciò e anche in considerazione dell’accertata pericolosità delle sostanze riscontrate nell’area interna ed esterna al sito di Rotondella, ma soprattutto per le gravi ripercussioni che simili episodi possano aver causato e causare ancora al territorio circostante ed alla salute degli esseri viventi, le associazioni hanno inviato una nota formale all’Autorità giudiziaria affinché si faccia piena luce su quella che appare una sostanziale inerzia delle pubbliche amministrazioni al rispetto degli obblighi di legge. Spiegano ancora le associazioni: “a tutt’oggi e a fronte dei gravi rilievi sopra esposti, non appare essere stato aggiornato e/o modificato il Piano di Caratterizzazione e il Piano di Analisi del Rischio a seguito dell’accertata migrazione degli inquinanti in area esterna al sito contaminato.
Come sono stati utilizzati i soldi delle compensazioni ambientali? Una nota a parte -affermano ancora le tre associazioni- merita la preoccupante situazione delle rilevanti compensazioni ambientali che i vari comuni ricevono e per adottare anche misure di tutela delle risorse idriche e bonifica dei siti inquinati. Con una delibera del Consiglio Comunale di Policoro n. 31 del 20.11.2017 era stata approvata la mozione del 20.11.2017 con cui si impegnavano il Sindaco e la Giunta a destinare tutte le somme necessarie, provenienti dalla “Ripartizione indennità compensativa rifiuti radioattivi” e “per dotare il territorio di un sistema di monitoraggio ambientale da intendersi quale sistema di controllo autonomi, per tutta la durata delle operazioni di bonifica del sito Itrec, e oltre , se ritenuto opportuno, con l’obbligo di periodica e tempestiva diffusione sul sito istituzionale”. Sono passati ben tre anni da queste belle promesse e nulla è stato fatto. Quindi, non solo il monitoraggio non è stato adottato, ma neppure troviamo pubblicate sul sito istituzionale del Comune di Policoro, i predetti dati, il tutto mentre la contaminazione chimica ha superato il perimetro del sito Enea e ha raggiunto la parte esterna. A questo punto-concludono- ci chiediamo, ed è lecito domandare, come sono stati utilizzati quei soldi?