Il ministro dell’Esitazione ecologica e la Basilicata delle chiacchiere
La Giunta regionale sembra un manipolo di scolaretti nell’aula di Confindustria, i cui insegnanti provengono dalle file del management delle multinazionali del petrolio e dai loro vari think tank
In altri tempi, molto lontani, uno come il ministro Cingolani sarebbe stato assediato da folle indignate davanti al ministero. Ma erano altri tempi. Oggi è sufficiente una frase di disappunto, di dissenso o un insulto sui social per marcare la distanza da una decisione scellerata: sette permessi di estrazione per undici pozzi. È vero, i permessi non ricadono nella moratoria prorogata fino a fine settembre perché si tratta di rinnovi o nuovi progetti all’interno di concessioni esistenti, ma questo rende ancora più grave la faccenda. Nel pieno rilancio della retorica sulla transizione ecologica, la notizia fa notizia. Ma c’è una domanda da fare ai tanti “ribelli” della domenica che si indignano. La domanda è: voi vi indignate, e quindi?
Cingolani ha dato 7 permessi di estrazione e dunque? Niente. Si sta come le parole liquide in un secchio rotto. Delle indignazioni sui social, al ministro dell’Esitazione ecologica non importa alcunché.
In che mondo siamo?
Molta gente non ha capito in che mondo siamo e con chi abbiamo a che fare. In tanti credono che basterebbe protestare dal salotto di casa o anche facendosi notare con una bandiera in spalla nelle piazze, sempre più vuote, per ottenere risultati.
Nel panorama della dialettica e dei conflitti politici e sociali sembrano scomparse le forme di lotta più radicali. Quelle che hanno consentito in passato la conquista di diritti e di riforme fondamentali per la vita delle persone: presìdi, occupazioni ad oltranza, blocchi, boicottaggi e sabotaggi, naturalmente non violenti. Con certi poteri, il dialogo, il confronto non reggono alla verità della Storia. Sono forme ingannevoli e illusorie di resistenza e non di lotta. Forme tipiche in questi tempi di atomizzazione del dissenso e di dilatazione delle potenzialità “esplosive” della società civile.
Alcuni “guerrieri” dell’ecologia, siano essi politici o cittadini più o meno organizzati, non hanno capito fino in fondo che “i programmi di crescita nazionale, le carriere, il potere politico dipendono ancora dalla continuazione del flusso di grandi ricavi legati ai combustibili fossili.”
“Lo sviluppo di tecnologie per rimuovere il carbonio dall’atmosfera è di primaria importanza, eppure, per i venture capitalists della Silicon Valley, investire in progetti a lungo termine senza particolari prospettive di grandi profitti è molto meno interessante che aggiungere nuovi fronzoli e lustrini agli iPhone.” (Chomsky, 2020)
Qualcuno crede davvero che sia una passeggiata la transizione verso le energie alternative? Che sia sufficiente avere ministri o politici “sensibili”, che siano sufficienti piani a medio e lungo termine che possano camminare da soli? E che si tratti semplicemente di sostituire il petrolio con il vento e il sole? Ingenuità.
Il capitalismo incoronato dal neoliberismo, che voglio ricordare è la religione laica che guida gran parte delle società del Pianeta, è ricerca del profitto. Punto. La posta in gioco è legata ai profitti privati legati ai combustibili fossili. “Le aziende del settore sanno che entro i prossimi trent’anni potrebbero cessare di esistere o perlomeno saranno drasticamente ridimensionate.” E qualcuno crede che nel frattempo questa gente lascerà correre tranquillamente tutti i programmi dei Governi che puntano alla definitiva scomparsa del fossile?
La Basilicata a rischio
In Basilicata la faccenda riguarda alcune compagnie petroliere le quali provano a dormire sonni tranquilli poiché le riserve ancora da estrarre saranno esaurite, probabilmente, in prossimità della presunta fine del fossile. Eni, Total e compagnia bella, qui non hanno problemi seri con la transizione energetica, magari altrove, ma qui no. Nel frattempo il tentativo è di aggiungere “l’utile al dilettevole”, proponendo investimenti sul green con l’intenzione di a) incassare denaro pubblico; b) dare la sensazione che si stiano muovendo nella direzione ecologista; c) dimostrare che fanno sul serio quando dicono che intendono investire in Basilicata. Intanto, devastano e incassano.
Soprattutto qui, dove “il conflitto e la protesta si esprimono nell’assenza di una chiara lotta sociale, anzi in presenza di un’interiorizzazione da parte dei lavoratori e di gran parte della popolazione, di una cultura industrialista e lavoristica, per cui valgono slogan come “meglio inquinati che affamati”. Soprattutto qui dove la composizione della forza lavoro è legata a logiche di cooptazione, clientelistiche e poco trasparenti, in cui anche i sindacati fanno fatica a muoversi.
Tuttavia, se queste multinazionali non vedono all’orizzonte prospettive di profitto, ad un certo punto della storia raccoglieranno la cassetta degli attrezzi e saluteranno la Basilicata con un “grazie e senza arrivederci”. Lasceranno sul terreno, ai posteri, tutta la devastazione di cui saranno stati capaci. E se quelle prospettive di profitto fossero realistiche, siamo sicuri che riguarderebbero settori di business compatibili e coerenti con percorsi di sviluppo sostenibile a cui la Basilicata può e deve aspirare? Siamo sicuri che non riguarderebbero l’ennesima devastazione, seppure più gentile e seducente?
Crediamo davvero che questi signori del petrolio siano degli affidabili interlocutori?
Ma la domanda più necessaria in questo momento è: interlocutori di chi? Di Vito Bardi, di Gianni Rosa, di Francesco Cupparo? Con tutto il rispetto per le persone, sul piano politico siamo all’anno zero. L’inadeguatezza dimostrata fino ad oggi, nonostante gli sforzi comunicativi dell’assessore all’Ambiente e del presidente della Giunta, rappresenta una delle più forti criticità sul tappeto.
Le decisioni di oggi avranno un impatto inesorabile sul futuro della Regione. Identità dello sviluppo, visione, missione nel quadro delle prospettive nazionali e internazionali. Chi sta discutendo su questi titoli? A quanto pare nessuno. La maggioranza che governa la Regione sembra essere alla scuola elementare sui temi dello sviluppo. Scuola i cui insegnanti provengono dalle file del management delle multinazionali del petrolio e dai vari Think Tank ad esse legati. La Giunta regionale sembra un manipolo di scolari nell’aula di Confindustria. Tutto qui. È inutile dire che i maestri sanno molto di più degli alunni. Ed è inutile ripetere che cosa insegnano quei maestri.
Come se ne esce?
Almeno in Basilicata tutte le forze, anche quelle minoritarie, che aspirano a un futuro di sviluppo identitario, sostenibile, ecologicamente sano, dovrebbero concentrarsi sui titoli a cui abbiamo accennato provando ad inquadrarli anche in un campo di valori. Alla discussione dovrebbe seguire una stagione di lotta, vera, di lotta sociale, svincolata dagli interessi corporativi e da atteggiamenti autoreferenziali. È sul terreno politico e sociale che si gioca la partita non su quello economico, né su quello dell’ambientalismo protestatario, settario e solitario. Sembra paradossale ma è così. Se i movimenti politici, sindacali, associativi, studenteschi non convergono su una visione di sviluppo per la Basilicata, magari inquadrandola in una cornice di valori fondamentali, il futuro ci perderà di vista. Se non parte un movimento sociale capace di aprire una vertenza generale sostenuta da lotte radicali, rischiose, telluriche, continueremo a sopravvivere fino alla completa disfatta. Chi può farlo? Dobbiamo ripeterci anche in questo caso. Tutte le piccole energie vitali, magari minoranze, “devianti”, divergenti, “eretiche”, insieme con le forze più organizzate del sindacalismo autentico e della politica che ancora conserva ideali e valori spendibili in una battaglia per l’emancipazione.
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