Filosofia dell’ipocrita: il lucanico col dito medio alzato

21 febbraio 2021 | 13:41
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Filosofia dell’ipocrita: il lucanico col dito medio alzato

Lavorano tutti: lui, la moglie, figli e figlie, generi e nuore, affini e collaterali piazzati in qualunque postificio pubblico. Il lucanico è molto stimato nel bordello dei verginelli nella città dell’apparenza

Nella maggioranza dei casi si tratta di un raccomandato in un impiego pubblico statale, parastatale o regionale: alla Regione all’anas, alla rai, all’ospedale, all’acquedotto, al genio civile e così via. È un amicone, accumula un bel capitale di relazioni a destra e a manca. In base alla posizione assunta negli enti e nelle aziende, sempre pubbliche, il nostro lucanico aiuta gli amici, i parenti e quelli più potenti di lui: un favore a tizio e un altro a sempronio, naturalmente ricambiato all’occorrenza. Una pratica veloce, una marchetta alla Tgr, una spintarella nel concorso. E’ double face: usa la lingua per leccare il potente e il didietro per farsi leccare dai più deboli.

Lo trovi quasi sempre allegro, col sorriso largo e pronto alla solita pacca sulla spalla. E già, per lui la vita scorre come il fiume nelle fiabe. Lavora lui – si fa per dire –  lavora la moglie, magari nello stesso palazzo o in quello attiguo. I figli studiano e poi, bravi o non bravi, eccoli piazzati all’Asl, alla Provincia, all’Acquedotto o in un qualunque postificio pubblico.

Così il nostro lucanico, che ha sempre nella testa il dito medio alzato verso gli altri “fessi”, fa anche tombola. Quando va in pensione, sistemati figli e figlie, generi e nuore, nipoti, affini e collaterali, eccolo in qualche associazione benefica, caritatevole che aiuta i poveri e i disgraziati. Lui, nonno amorevole, si preoccupa degli altri “meno fortunati”.

Capita che tra quei poveri c’è una giovane, bravo, laureato, multilingue, rimasto disoccupato per causa dell’esclusione dal concorso vinto da uno dei figli del nostro lucanico. Costretto a restare in questa terra perché i suoi genitori, poveri e malati, non hanno nessuno che li accudisca. Poveri perché hanno dato tutto per far studiare il figlio, malati perché sacrificandosi non hanno badato alla salute. Poveri perché nella loro vita hanno sempre aiutato gli altri poveri, dividendo persino il poco pane che avevano sulla tavola. Loro credevano di vivere in un mondo in cui nessuno avesse il dito medio alzato nella testa, ma si sbagliavano. Si nutrivano dell’orgoglio di essere lucani e sono sati gabbati da un lucanico.

Ebbene, il nostro lucanico, impostore della morale, gode dell’approvazione sociale, stimato nel bordello dei verginelli nella città malata. Egli è considerato un bravo professionista, uno che ci sa fare, uno che può ancora dispensare qualche favore, che può darti visibilità in quegli ambienti dove il vestito firmato e il ristorante di grido sono un must.

Il giovane povero e la sua famiglia neanche esistono. O forse sì, esistono per tenere accesa la fiamma dell’ipocrisia che avvolge la città. Grazie a loro l’associazione caritatevole, di cui il lucanico è membro di prestigio, ha qualcosa da fare, da mostrare, per tenere duro il dito medio alzato ancora a lungo.