Basilicata, l’odore di marcio e il profumo dei soldi

8 gennaio 2021 | 21:28
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Basilicata, l’odore di marcio e il profumo dei soldi

La Basilicata avrebbe meritato barricate bipartisan anni fa e invece è stata abbindolata dai sogni di chi ha aperto i cassetti solamente per nascondere tesori che puzzavano di morte e di elemosina

Arde ancora il fuoco barricadero, in Basilicata, a pochi giorni dalla pubblicazione della Carta che individua i siti idonei ad ospitare il deposito unico di rifiuti radioattivi. La paura fa 90 e quella per il nucleare di più. “Ne decreterebbe la morte” -sostengono i più- “abbiamo già dato”- tuonano quelli che improvvisamente hanno perso la memoria di quando, nelle postazioni di potere, consegnavano la loro terra, oggi improvvisamente sacra, a chi ne ha fatto scempio.

La Basilicata terra incontaminata non esiste più da tempo. Ha cominciato a morire quando si è sacrificata la sua naturale vocazione sull’altare dell’industria devastatrice: da quella chimica a quella petrolifera. L’odore dei soldi ha aperto la strada al business fatto sulla pelle dell’ambiente e della salute dei lucani.

L’odore di morte l’ha avvinghiata questa terra quando si è spacciato l’incubo della chimica per un sogno che avrebbe portato ricchezza nella Valbasento. Pensare che diventare operaio in una fabbrica di veleni fosse più vantaggioso che continuare a fare il contadino trova giustificazione nella miseria predominante nella Lucania degli anni Sessanta.

Oggi però è chiaro che quel sogno, gestito nelle stanze del potere che su questa terra ha governato da sempre, si è trasformato in un incubo. La valle che costeggia il fiume Basento non è solo l’esempio vivente del fallimento dell’industria petrolchimica in Basilicata ma è un cimitero da cui esala morte.

Certo, quando nel luglio del 1961 nella piana di Contrada Sant’Angelo, a Pisticci, vi fu la posa della prima pietra dello stabilimento Anic (poi Enichem) alla presenza di Amintore Fanfani, Emilio Colombo ed Enrico Mattei, i lucani accorsi per il grande evento neanche lontanamente immaginavano quello che sarebbe accaduto dopo pochi anni. Con i circa 6mila assunti, una delle aree più povere del Mezzogiorno, cominciò a sognare il riscatto trasformatosi poi, nella seconda metà degli anni Settanta, in rivendicazione del posto di lavoro. La crisi del settore chimico sancì la fine del miraggio facendo spazio alla disoccupazione e all’inquinamento. Quello stabilimento, come abbiamo raccontato in un’inchiesta, ha causato la morte di 160 operai.

Quei veleni che avrebbero dovuto emanciparci dalla povertà sono costati caro a chi in quelle terre ci viveva e ci vive. I tanti, troppi malati di cancro e altre patologie, ne sono testimonianza. I lavoratori in vita, che ancora oggi si incontrano, sono costretti a contarsi, e i conti sono sempre al ribasso.

Il sogno dell’industria chimica, in provincia di Potenza, a Tito Scalo, diventa incubo nell’area dell’ex Liquichimica. Anche qui veleni. Anche quest’area inserita tra i Sin come la Valbasento.

Dalle vasche di fosfogessi di Tito Scalo emergono ‘tracce di radioattività’. Nel 2013 anche Arpab, costretta da un’inchiesta di questo giornale, conferma la presenza di radio 226 sia accanto alla vasca sia nella falda sottostante. Il Consorzio Asi di Potenza avrebbe dovuto mettere in sicurezza l’area, però “ha scialacquato i fondi del Ministero e fatto lievitare i rischi ambientali”. I veleni sono rimasti al loro posto in balìa degli agenti atmosferici mentre i 7,8 miliardi delle vecchie lire che il Ministero aveva affidato alla Regione Basilicata per avviare caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica, trasferiti poi all’Asi si polverizzano in consulenze e prebende varie. E i venticinque ettari avvelenati restano a imperitura memoria dell’incapacità di salvaguardare ambiente e salute di chi ha governato la Basilicata.

La puzza di morte ha continuato a infestarla, questa terra, quando si è iniziato ad estrarre petrolio.

L’Oro nero lo chiamano. Nero come certe coscienze; nero come il futuro di chi è stato costretto a subire prima i morsi rabbiosi del Cane a Sei Zampe e poi quelli della Total; nero come il petrolio fuoriuscito dalle cisterne del Centro Olio di Viggiano. Secondo la Procura di Potenza, lo sversamento ha causato un grave disastro ambientale in nome di una scellerata politica ambientale dell’Eni che ha anteposto le esigenze della produttività all’intero ecosistema della zona. Nero come il fumo che si innalza dai camini dei Centro Oli della Val d’Agri e di Tempa Rossa. Disastri annunciati che, tranne poche eccezioni, non hanno scalfito i lucani.

Ci sono poi 23 bombe ecologiche in Basilicata. Discariche mai messe in sicurezza per cui l’Europa ha multato l’Italia. I signori della “monnezza” hanno ampliato e nutrito siti di stoccaggio (e non solo) che hanno accolto di tutto in attesa di un Piano rifiuti rimasto sulla carta per anni. Chi ha governato nell’epoca della corsa all’oro sporco la puzza non l’ha voluta sentire, mentre si inebriava l’olfatto con l’odore dei soldi.

“È pulito, non emana cattivi odori”. Si affaccia così nel 2013 l’affare del vento che cambierà per sempre il paesaggio di molti territori lucani. Spuntano, come funghi, i parchi eolici. Le torri del vento, che muovono gli appetiti di speculatori e politici mai sazi, costeggiano importanti strade di collegamento e lambiscono abitazioni. Catorci rigenerati che ogni giorno mettono in pericolo la vita dei cittadini e ne disturbano la normale esistenza.

La Basilicata “con il deposito unico di scorie rischierebbe la morte definitiva”, è vero, ma quello che è accaduto negli ultimi 50 anni l’ha ferita in modo indelebile, nell’indifferenza di chi oggi agita le forche di fronte ad un’ipotesi e soltanto perché un “deposito di scorie radioattive” evoca un pericolo che fa tremare i polsi di tutti i lucani.

La lotta di Scanzano del 2003 è una parentesi certamente di cui andare fieri ma va analizzata tenendo ben presenti le diverse ragioni che l’animarono.

Di quella sollevazione è rimasta traccia nella battaglia di quei pochi cittadini, che hanno abbracciato la causa ambientale e che sovente, accusati di fare “allarmismo”, hanno pagato un prezzo molto alto per non aver chiuso gli occhi di fronte a chi il veleno ce lo ha portato in casa.

La Basilicata avrebbe meritato barricate bipartisan anni fa e invece è stata abbindolata dai sogni di chi ha aperto i cassetti solamente per nascondere tesori che puzzavano di morte e soldi sporchi.