Basilicata: la transizione energetica e il salto della rana
La regione è pronta ad avviare il percorso verso la rivoluzione verde? Come utilizzerà le risorse del Recovery Fund e tutte le altre?
In questo approfondimento trattiamo un tema fondamentale: energia e transizione ecologica. L’ambizione è dare spunti di analisi e riflessione per favorire un dibattito più organico su quello che si intende fare o si farà con le ingenti risorse in arrivo dall’UE e da altre fonti in vista del dopo Covid. In questa fase emergono, a nostro avviso, alcune lacune sia nell’approccio sia nei contenuti.
Energia e green economy
La transizione energetica per il superamento del fossile in Basilicata registra alcune contraddizioni. L’eolico, considerata energia pulita, ha insediato sul territorio oltre 1500 impianti, con una produzione che supera di gran lunga gli obiettivi stabiliti dal Piano nazionale per l’energia e il clima. In vista autorizzazioni per altri impianti eolici e per una gran quantità di fotovoltaici. Intanto, gli impianti petroliferi di Tempa Rossa e di Viggiano continueranno ad estrarre per almeno i prossimi 20-30 anni.
Di quale transizione energetica si parli in Basilicata non è chiaro. Diventa ancor più nitido il dubbio se diamo un’occhiata alla situazione mondiale. Diversi osservatori, ma anche diversi studi scientifici spiegano che pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche sono dispositivi tecnologici fatti di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali.
Solo per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 TWh – terawattora – l’anno di energia rinnovabile, potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 TWh l’anno di energia fossile in più.
Scrive Enrico Mariutti – ricercatore e analista – che, si stima, “solo per convertire un settimo della produzione di energia primaria mondiale (25.000 TWh), potrebbe essere necessario triplicare la produzione di calcestruzzo (da poco più di 10 miliardi di tonnellate l’anno a quasi 35), quintuplicare quella di acciaio (da poco meno di due miliardi di tonnellate a poco più di 10) e moltiplicare di varie volte quella di vetro, alluminio e rame. E stiamo parlando di convertire alle energie rinnovabili neanche il 15% del fabbisogno energetico mondiale.”
La Basilicata ha favorito lo sviluppo di energia eolica con un approccio inspiegabile sul piano logico: gli impianti servono a nulla, consumano più energia di quella che producono, devastano il territorio.
Ora, questo è un dibattito scientifico che coinvolge direttamente interessi economici. A noi interessa l’aspetto politico e culturale. Comunque la si guardi la faccenda è legata al modello di crescita, di produzione e di consumo. Qualunque ipotesi o soluzione tecnica, qualunque svolta epocale venga lanciata da qualsiasi pulpito, la questione è un’altra: la crisi ambientale e climatica, economica e sociale, è legata alla crisi di crescita del modello capitalistico fondato sul consumo. Non sappiamo se Mariutti e altri abbiano ragione, ma sappiamo che la questione è molto complessa soprattutto se, anziché di transizione energetica, parliamo di transizione ecologica.
La Basilicata al bivio
Torniamo alla Basilicata. Il dibattito sulla transizione energetica, sull’economia green, sullo sviluppo sostenibile e così via, appare – come già detto – superficiale e a tratti contraddittorio. Si parla di un futuro di cui non si vede neanche un abbozzo e si tralascia appunto l’aspetto transitorio e attuale delle condizioni ambientali e sanitarie, oltre che economiche della regione. Vale a dire che nessuno sembra stia lavorando alla creazione delle condizioni di base necessarie affinché si realizzi in questo fumoso futuro green, un nuovo modello di sviluppo. Il sostantivo “transizione” sembra usato a casaccio. Il passaggio da una situazione a un’altra, sia in senso statico, come condizione intermedia definita, che in senso dinamico in quanto implica l’idea di un’evoluzione in atto, richiede ben altre condizioni strutturali. Oggi, di quel sostantivo cogliamo, e neanche in tutta la sua complessità, soltanto il senso statico, non abbiamo alcuna idea di evoluzione perché non abbiamo alcuna visione di sviluppo e di futuro.
Diamo un’occhiata alla relazione del presidente Vito Bardi in Consiglio regionale il 10 novembre scorso, riguardo alla predisposizione dei progetti strategici regionali, a valere sul programma Next Generation Eu e su altri Fondi. Bardi spiega che su tali basi è stato redatto un elenco di schede progettuali articolato per missioni tra le quali la missione “rivoluzione verde e transizione ecologica”
Si tratta di un titolo e di un numero, 5 milioni di investimenti, che non possono al momento fornire un quadro di visione chiaro su che cosa si intenda fare davvero. La visione, è una variabile centrale e strategica, che ci aiuta a mettere a fuoco il futuro. Dunque sarebbe sbagliato partire da “particulari” punti di vista politici o economici, da interessi contrapposti, da sollecitazioni suggestive provenienti dalla società lucana nelle sue diverse articolazioni associative. La somma di tutto questo, senza un coinvolgimento in forme inedite che vada oltre le figure “esperte” e i tradizionali stakeholder, non costruisce una visione ma una di-visione. Di identità e visione parleremo in un altro approfondimento. Ora ci basti dire che gli stakeholder più importanti di tutta la faccenda sono le bambine e i bambini.
Transizione ecologica
Bardi correttamente parla di transizione ecologica. È un concetto complesso, perciò di non facile comprensione. La transizione ecologia chiama in causa diverse variabili: culturali, economiche, sociali, ambientali nel quadro dei sistemi di produzione e consumo attualmente esistenti. Diciamo che oggi i sistemi di produzione e consumo puntano alla crescita del capitale economico distruggendo il capitale naturale – capitale sociale e umano compresi.
Se si continua in questa direzione – dicono molti esperti e osservatori – finiremo con non avere più nulla: crollo del capitale economico e distruzione dell’ecosistema. Insomma, andremo a sbattere.
Dunque, per transizione ecologica, in linea generale, dovremmo intendere il passaggio da questo sistema auto-distruttivo a un sistema capace di produrre “ricchezza” senza che venga depauperato il patrimonio naturale, anzi valorizzandolo e tutelandolo. Se si farà sul serio, tra un paio di generazioni, forse, la transizione sarà compiuta. In sintesi, occorre un rovesciamento di logica: dal consumo di ogni cosa, all’uso di ciò che è necessario.
Le variabili in gioco sono molte, interdipendenti, e complesse. È un cambiamento che deve essere desiderato, interiorizzato, compreso da tutti. Richiede, tra gli altri, interventi culturali a livello di massa, strutturali modifiche nei processi produttivi, nel modello economico e dei consumi. Si tratta di profondi mutamenti che chiamano in causa gli stili di vita individuali, le relazioni internazionali, le multinazionali in ogni settore, la scienza, la politica, le forme di mercato e il mercato del lavoro. Oltre che, ormai è scontato, le forme e le fonti di approvvigionamento energetico.
Non è difficile immaginare che tutta questa svolta epocale non possa non mettere in discussione il sistema capitalistico e l’attuale ordine mondiale dei rapporti di forza tra gli Stati. Ma questa è un’altra storia, citata solo per segnalare quanto sia complicata la faccenda.
Torniamo al punto. Quando si parla di “transizione” è importante conoscere e intervenire sulle condizioni di partenza e ipotizzare i passi da fare nella giusta direzione, senza creare ulteriori danni nel presente, altrimenti, come nel caso della Basilicata, il rischio è che al futuro ci arriviamo morti. Nel migliore dei casi faremo come Sisifo e le sue fatiche.
Se l’industria estrattiva continua con le emissioni inquinanti (perché tali sono) proseguirà a danneggiare la salute delle persone, l’economia dei luoghi e il patrimonio naturale. La stessa cosa vale per gli altri impianti impattanti e inquinanti. Se questo accadrà ancora nei prossimi 20 anni, senza che ci sia un intervento massiccio e radicale nel presente, il cerchio-bersaglio (l’obiettivo) di una crescita sostenibile e di uno sviluppo armonico, si sposterà sempre più avanti allontanandosi nel tempo. E sarà più difficile usare l’arco da quella distanza. Dunque, le risorse disponibili – di qualunque provenienza- andrebbero impiegate, nella quantità necessaria, per interventi sul presente che garantiscano le condizioni preliminari all’avvio di un percorso di transizione. Per la verità quelle condizioni preliminari sono esse stesse parte fondamentale del percorso.
A questo punto la domanda è: quali sono i primi passi che la Regione intende fare per avviarsi verso quella che Bardi definisce transizione ecologica e rivoluzione verde? Per esempio, a che punto è la bonifica di tutti i siti morti inquinati; si sta facendo qualcosa affinché tutti gli impianti inquinanti utilizzino tecnologie di cattura e stoccaggio del CO2? Si stanno immaginando investimenti nella produzione energetica da idrogeno? È previsto il blocco immediato di tutte le autorizzazioni per impianti eolici e fotovoltaici non domestici? Il Piano acque a che punto è? Chi più ne ha più ne metta. Nell’economia di questa riflessione, si è capito, non servono i dettagli, basta capirci sul fatto che in questi processi epocali di cambiamento il salto della rana è dannoso. Non si può passare dall’altra parte se non ci sono le condizioni per costruire un ponte di attraversamento.
Ma Bardi sembra affascinato dal guado. Nella stessa relazione, spiega che è importante “armonizzare gli interessi dell’intero territorio regionale con gli interessi nazionali nel campo dell’estrazione petrolifera” e aggiunge “che bisogna promuove azioni sempre più incisive di salvaguardia del paesaggio e del territorio.” Solo slogan, il primo assolutamente infondato e il secondo profondamente contraddittorio. Il salto della rana è sempre in agguato. Quello che bisogna armonizzare dunque non sono gli interessi del territorio con gli interessi nel campo petrolifero, ma il sistema economico, i processi di produzione, i modelli industriali con il capitale naturale del territorio. Capitale naturale sono le riserve o scorte di risorse naturali della Basilicata, che comprendono suolo, sottosuolo, aria, acqua, flora, fauna, paesaggio. Nel futuro, questo capitale sarà sempre più vitale di quanto lo sia già oggi per le popolazioni.
© Riproduzione riservata
Per chi voglia leggere altri approfondimenti nella sezione dedicata del giornale può cliccarequi