Covid, intera famiglia di Rionero in Vulture in isolamento dal 4 novembre: siamo prigionieri di un sistema che non funziona
Quattro persone in attesa che le autorità sanitarie si decidano a farsi sentire per il tampone di verifica al figlio risultato positivo. Non sarebbe l’unico caso
Quattro persone “in trappola”, non solo a causa del covid che ha colpito il figlio 19enne, ma anche per il completo abbandono da parte delle autorità sanitarie competenti. Telefoni che squillano a vuoto e in due settimane di isolamento nessun contatto per accertarsi delle condizioni di salute del ragazzo. Succede a Rionero in Vulture, nel Potentino.
La famiglia Nardozza, appresa la positività del ragazzo, si è messa in isolamento fiduciario.
Mio figlio- racconta il papà- ha fatto il tampone il 3 novembre in un laboratorio privato. Essendo rientrato da Milano ha deciso di sottoporsi volontariamente al test per non mettere a rischio nessuno. Il 4 novembre ha avuto il responso di positività. Da quando è rientrato vive in completo isolamento in una tavernetta che non è il massimo della comodità, mentre mia moglie, l’altro figlio ed io, siamo rinchiusi in casa.
Essendo trascorse due settimane dall’accertata positività abbiamo provato a contattare il numero dell’Asl specifico per chiedere informazioni e sollecitare il secondo tampone di verifica a mio figlio, ma non risponde mai nessuno, a qualsiasi ora si chiami. Ho contattato il numero verde e lì non sono in grado di dare informazioni utili, se non generiche.
In tutto questo tempo però nessuno ha mai contattato il ragazzo per chiedergli delle sue condizioni di salute, ma, cosa ancora più grave, nessuno ha chiesto a mio figlio con chi fosse venuto in contatto. Siamo stati lasciati alla nostra sensibilità individuale. Intanto mio figlio è in quella “gattabuia” e non riesce a venirne fuori.
Il nostro medico di famiglia-racconta ancora l’uomo- ha fatto tutto quello che poteva, e purtroppo ci ha spiegato che ha altre tre famiglie nella nostra stessa situazione”.
Il signor Nardozza e sua moglie sono ovviamente bloccati in casa, e stanno lavorando in smart working. In particolare l’uomo, dipendente di un’azienda privata, non può rientrare al lavoro se, giustamente, non certifica che il figlio ha superato la quarantena e quindi è negativo al tampone di verifica. Per certificare la negatività del ragazzo però occorre che il tampone sia fatto dall’Asp.
Pur volendo riservare tutta l’umana comprensione per chi in questo momento si trova a gestire questa emergenza– sottolinea Nardozza- mi riesce difficile pensare che, per quanto oberati di lavoro, non si riesca a fare nemmeno una telefonata ai positivi, o peggio che quando siamo noi a chiamare i telefoni squillino a vuoto.
Questa famiglia di Rionero insomma ha dovuto fino ad ora far da sé, anche studiando cosa prevede la normativa per capire come muoversi. Solo che tutto ciò non è bastato se poi, chi sarebbe dovuto intervenire per applicare il protocollo latita, ignorando che ci sono interi nuclei familiari prigionieri di una gestione dell’emergenza che ha mostrato ormai tutte le falle nel corso di una seconda ondata ampiamente prevista e prevedibile.
Abbiamo provato anche noi a chiamare il numero a cui si è rivolta la famiglia Nardozza, ma anche i nostri tentativi sono stati vani.